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sabato 26 aprile 2008

Il mondo com'è (8)

astolfo

Buonismo – “Non è possibile che il nostro cuore si espanda in tenerezza per ogni uomo, né che sprofondi nella malinconia davanti a ogni miserie estranea; se fosse così l’uomo virtuoso, con tutta la sua benevolenza e fondendo senza posa in lacrime, come Eraclito, non sarebbe niente di più che un ozioso dal cuore tenero”. Non è tenero Kant, “Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime”, sez.II: “La seconda forma del sentimento di bontà che, per essere bella e amabile, non costituisce per questo una virtù vera, è il compiacimento, la voglia di riuscire graditi agli altri per l’affabilità, l’assenso ai loro desideri, e la conformazione della propria condotta al loro carattere. Questo fondamento di un’attraente socievolezza è bello, e l’elasticità di cuore attesta una buona natura. Ma non è per niente una virtù, al punto che, se principi più elevati non vengono a porre limiti a questa disposizione o a temperarla, tutti i visi possono trovarsi la loro origine”.

Femminismo – Non ha fatto i conti con la separatezza – insomma con la diversità, la peculiarità, la qualità - che è sempre un asset nei tre quarti dell’umanità.
C’è da fare una distinzione tra diritti e separatezza. L’islam è fortemente deficitario sui diritti, le sue donne lo sanno, gli uomini e i regimi ne restringono anzi ulteriormente gli spazi, dai talebani alla civile borghesia turca, in cui la donna può essere sommersa, oltre che da un abito nero a taglio intero, con una fessura millimetrica agli occhi, dai maschi della famiglia, marito, padre, suocero, fratelli, cognati. Ma questo islam fortemente deficitario sui diritti lo sa, lo sanno le donne e lo sanno gli uomini, e si salva grazie alla separatezza.
Non c’è senso di colpa nell’islam, e tuttavia la privazione dei diritti delle donne è qualcosa che molto gli si avvicina, perché è un cammino a ritroso che l’islam contemporaneo ha intrapreso su situazioni storiche già molto aperte, col divorzio, il lavoro, le autonomie individuali. Ma la separatezza è ancora ricercata e preferita dalle stesse donne, è la forza di questa sudditanza.
Non solo nell’islam, bisogna dire, la separatezza è il modo d’essere e l’ambizione dell’altra metà del cielo in più della metà del mondo. In tutto il mondo si può dire, eccetto l’Europa centro-occidentale, l’America del Nord, e l’Africa che la lunga colonizzazione ha europeizzato. Lo scià di Persia fallì la modernizzazione quando impose alle donne la parità in società, fino alla stretta di mano. In Giappone e in India maschile e femminile sono due universi paralleli, con due linguaggi diversi. Un’impressione analoga – certo da verificare, ma ben visibile – dà il mondo femminile in Cina, nelle tre Cine, comprese Taiwan e Singapore.
Troppo radicale è stato l’abbandono degli studi sul matriarcato e il patriarcato. Proprio quando gli strumenti si affinavano rispetto ai grossolani sistemi storici di un tempo.

Illecito dello Stato – Secondo Kelsen, non ci può essere un illecito dello Stato, “sarebbe come il peccato di Dio”. E invece lo Stato è, può essere, criminogeno. Per le bombe degli anni Settanta, per esempio, per non averle punite, se non per averle messe. Per l’uso parziale della giustizia, a scopi politici o economici. In Sicilia e in tutte le zone di mafia, che prospera alla luce del sole e lo Stato non persegue. Per la precarietà: cinquecentomila domande di assunzioni sono presentate da lavoratori stranieri, in regola, con un padrone cioè che ne ha bisogno, il governo ne consentirà solo cinquantamila

Iraq – La percezione di quanto avviene in Iraq, e il vantaggio propagandistico dei terroristi, si basano sul malinteso che si tratti di un jihad, una guerra religiosa contro gli infedeli, cioè contro gli Usa, mentre invece è una lotta tra fazioni per prendere il potere dopo Saddam. Di esse gli americani e gli altri occidentali sono, sì, il nemico, ma nell’ottica delle fazioni con cui stanno. La guerra è tribale, per questo ferocissima. Di cui gli occidentali sono il nemico culturale e non religioso, volendo essi imporre la detribalizzazione della vita politica, attraverso le cariche elettive e la rappresentanza. Un equivoco, e anche semplice: ma è qui la forza della grande leva della storia, nella manipolazione semplice della realtà. Dove tutte le fazioni concordano è nell’evitare la democrazia.
Il carattere religioso è nella guerra civile tra sunniti e sciiti. Di cui è impalpabile la percezione, ma rocciosa la durezza. Al Zawahiri (Al Qaeda) pone al centro dei suoi proclami la guerra agli sciiti prima ancora che ai “crociati”. L’Iran, il paese degli sciiti, ha sempre contestato la grande emprise dei sunniti sulla storia, l’11 Settembre, alimentando la copiosa letteratura che “dimostra” il bombardamento degli Usa un autogolpe degli americani e Al Qaeda una creazione della Cia, con filmati, registrazioni, assegni, false identità eccetera - altrettanto convincente dei “Protocolli di Sion”, di cui fa un calco.

Linguistica - È una scienza che tutti sanno, anche gli analfabeti: la verità delle parole, anche non dette. E della frase, e del contesto.
La linguistica di Riina e Provenzano, che, benché rozzi, sanno navigare nelle sottigliezze della politica nazionale, è affascinante – ma forse è la linguistica che non ha nulla di straordinario, solo l’ambizione.

Popolare (letteratura) – Non se ne parla più, della letteratura del popolo. Perché non ha una “sua” letteratura, ma la letteratura adatta secondo moduli popolari, la cantata, la nenia, la filastrocca. Non c’è una storia d’Italia scritta da un lavoratore. Non ci sono romanzi di lavoratori. I vari archivi popolari o della memoria, ora anche online, sono vasti depositi inutili, di roba inerte; Mass Observation, la memoria collettiva di lettere, opinioni, diari, creata dall'antropologo Tom Harrisson in Gran Bretagna negli anni 1940, o i bogliecci inconsultabili e illeggibili ammassati da Saverio Tutino a Sansepolcro.
E tuttavia una letteratura popolare c’è. Daffini e Ballistreri sono poetesse e lavoratrici, e la poesia estraggono dalla loro condizione sociale. O c’è letteratura popolare solo orale, del canto, nel senso di Vico e Rousseau?

astolfo@gmail.com

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