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giovedì 24 aprile 2008

Vargas si diverte, il lettore meno

Il ritornello è semplice, nel delirio della vendetta: “Victor, malasorte, il domani è alle porte”. Ma come parlare, si chiede in “L’uomo dai cerchi blu” il commissario Adamsberg, “a ragione e diritto” (à tort et à travers”). Nella stessa opera enunciando un’ancora inesistente “metafisica del reale”.
A opera dello “spalatore di nuvole” Jean-Baptiste Adamsberg (Venusberg?). Che è san Giovanni Battista della Montagna di Adamo. Tante delle stelle che si vedono sul tavolo-acquario della protagonista sono morte da tempo: il vice di Adamsberg non ha idea di “dove si fermi l’universo, e soprattutto in che consista”.
“L’uomo dai cerchi azzurri” è il primo romanzo di Adamsberg. “Fred Vargas”vi inaugura la ricetta di due parti d’irreale, di metafisico nel senso di De Chirico, e una di degrado urbano alla Simenon, di gente senza destino – il delitto dei miti, la persecuzione del caso, l’ira dei buoni, il male ovunque. Ma è più brava in letteratura, nel metatesto, che nel plot. Lento, anche macchinoso e inerte, se uno non ama le storie di testa – la gioiosa ricercatrice di medievistica e zooarcheologia che si comincia a intravedere in foto per i cinquant’anni non avrà scelto lo pseudonimo Fred per freddo?
Fred Vargas, L’uomo dai cerchi azzurri, Einaudi, pp.238, €15,5.

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