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venerdì 25 aprile 2008

Tra regno di Borgogna e sinistra degli speculatori

Non tutto è stato detto sul voto. Non per inavvertenza. Ma le cose taciute non sono meno importanti.

Bossi sposta Berlusconi al centro
Il ritorno del leghismo nella forma virulenta, razzista e localista, imporrebbe una riedizione della saggia politica di ricomposizione portata avanti dal presidente Ciampi. E porterà Berlusconi in prima fila sul fronte della pacificazione. Nessun presidente del consiglio potrà avallare le farneticazioni sull’ordine pubblico (ronde, espulsioni di massa, chiusura delle frontiere, localizzazione delle competenze). Né ovviamente un federalismo secessionista, neppure nella forma spagnola delle aree riservate. Su molte aree anzi bisognerà tornare a riferimenti nazionali: l’energia in primo luogo, poi i trasporti (le infrastrutture di trasporto: ferroviarie per le aree urbane, e viarie) e la sanità. Berlusconi potrebbe cominciare a recuperare la protesta semplicemente spiegando come i problemi di Milano e il mancato adeguamento delle infrastrutture nascono dal rigiso e parcelizzato localismo.
Bossi si era assunto questo ruolo, di controllo della protesta. Ma il voto sembra ora condizionarlo in senso oltranzista. Berlusconi dovrà supplire. Avrà abbondanza di strumenti per allentare la paura, che è l’esito di tutte le incertezze e non di una fobia razzista (la stessa violenza degli sradicati-immigrati che si vuole punire è, per così dire, nella norma, “fisiologica”): di politica economica (i prezzi soprattutto, i salari, il fisco), giudiziaria (processi rapidi e pene certe), e di rilancio delle aree metropolitane, consortili, cogestibili, per l'adeguamento delle infrastrutture.

Il voto del regno di Borgogna
Il leghismo, dentro e fuori la Lega, è il primo partito della Lombardia e le Venezie, ben oltre il 50 per cento. Dell’area cioè più ricca dell’Italia. Che configura con la Germania meridionale con la quale è in simbiosi produttiva, la Baviera e la Svevia, l’area probabilmente più ricca del mondo – una sorta di riedizione del regno transalpino di Borgogna, includendo l’area dell’omonimo vino in Svizzera e Francia. È anche l’area che più condiziona demograficamente il voto nazionale. Da sola la Lombardia pesa per il 16 per cento. Mentre l’ex quadrilatero rosso, Emilia, Toscana, Marche e Umbria, pesa per poco di più, il 17. La Lombardia con le Venezie pesano per il 26 per cento, un quarto del voto nazionale. La cosiddetta Padania, comprese cioè le province piemontesi e emiliane finitime al Lombardo-Veneto, per un terzo, il 30-33 per cento
Il voto leghista è sicuramente di protesta: di popolazioni che non sono ricche per le miniere e il petrolio, erano anzi povere fino a non molto tempo fa (dalle Venezie si emigrava fino a cinquant’anni fa) e hanno costruito il loro benessere con l’applicazione e la prudenza. E da un paio d'anni sono sotto pressione. Il “raiume” postelettorale devia il senso del voto sulla sicurezza (la pusillanimità dei ricchi), ma l’insoddisfazione riguarda le condizioni di vita e di produzione. Chiunque ci viaggi, anche solo per diporto, lo constata.
Le aziende si chiudono negli ultimi due anni a diecine di migliaia in Lombardia e nel Veneto. Per effetto della globalizzazione, impietosa. E dello Stato tiranno. Gli operosi assessori delle province venete e lombarde che ne hanno guidato la modernizzazione lo constatano a ogni ora del giorno: lo Stato è afflittivo, per fisco, burocrazia, ritardi, e per gli innumerevoli adempimenti, che non contrastano ma alimentano la corruzione. I trasporti sono intasati e ingovernabili. Le politiche economiche in sede Ue, monetarie e di cambio, sono rigide e punitive.

Assessori esperti di localismo feroce
Il leghismo, dentro e fuori la Lega, ha un ceto politico professionale. Senza nani né ballerine, né intellettuali compoiacenti. Che sa come funziona, e perché non funziona, l'amministrazione. Ma cosituzionalmente localistico. Il limite, già noto in Lombardia per il caso fortemente negativo di Milano, dell'area metropolitana milanese, si è esteso col boom al Veneto e al Friuli. Nulla di paragonabile, nell'area metropolitana di Milano, con la trete di trasporti parigina o londinese, o dell'asse Francoforte-Magonza, della regione di Stoccarda, dell'area amburghese. Ma nemmeno una metroplitana fino a Linate. Per non dire di Malpensa. Dove per portare il gas la Snam ha dovuto lottare con una serie di sindaci e comuni che hanno fatto a gare a sollevare inciampi. Lo stesso per l'autostrada, e per la metropolitana - che non c'è.
L'arrivo in forze a Montecitorio di questi amministarori leghisti, dentro e fuori la Lega, potrebbe dare loro una visione d'insieme. O comunque porre una soluzione settentrionale alla questione settentrionale, che è essenzialmente l'eccesso di autonomia.

Ancora un plebiscito al Sud
Il dato comincia a emergere: metà del Sud ha votato Milano. Ma emerge in chiave antimeridionale: Fini e Berlusconi sono l’ultimo approdo dell’assistenzialismo – della “lobby del Sud” secondo il “Corriere della sera”. Ora, può darsi che venti milioni di italiani siano stupidi, dal Garigliano in giù, e poveri, vivano ancora di elemosina. Ma alcune cose che si sanno dicono altro. Berlusconi non è Bossi, ma la sua Milano è per il Sud la stessa: la promessa - l’illusione - di liberare la vita quotidiana dall’incertezza e dalla sudditanza, politica, economica, giudiziaria, mediatica. Dalla morte per asfissia. A Napoli in tutta evidenza ma non solo. Il partito Democratico è stato calato da Roma, e molti ex democristiani se ne sono risentiti, in Puglia, Calabria e Sicilia. L’antimafia, che è naturalmente “democratica”, opera come camicia di forza politica, mentre la mafia prospera, nei vari comitati antimafia inclusi: il malgoverno dell’apparato repressivo, giudiziario .

Se la novità è trattare col sindacato
La grande novità all’insediamento di Emma Marcegaglia a capo della Confindustria è “negoziare col sindacato”. È il segno della vetustà dell’organizzazione degli imprenditori, che si è consumata anch’essa negli anni montezemoliani dalla guerra sterile – benpensantistica - a Berlsuconi. Del suo scollamento rispetto ai problemi reali, prezzi, salari, caro euro, caro Stato, e la strozzatura delle infrastrutture. Una Confindustria appesa peraltro alle mediocri ambizioni politiche dei suoi presidenti sul modello dell’aborrito Berlusconi, e alle balordaggini di Calearo e Colaninno jr. Una struttura burocratica tra le tante, ma la cui assenza pesa e peserà. Non c’è altro mediatore delle esigenze e della prospettive della produzione: nessun altro rilevatore e nessun altro indicatore.

La democrazia degli speculatori
Adesso che si può dire, non si figura più traditori: Calearo, il “grande industriale veneto” di Veltroni, produceva campanelli di biciclette, ora antenne per auto, Matteo Colaninno è solo il figlio di suo padre, capostipite della dalemiana “razza padana”, che ha caricato Telecom di 40 miliardi di debiti e il fisco di Visco di un miliardo e mezzo non pagato dalla sua Bell lussemburghese. Ma sono gli ultimi di una serie, gli imprenditori che patrocinano il partito Democratico sono i maggiori speculatori della Repubblica. Bazoli, il patron di una buona metà della banca italiana, che fu il maggior collocatore di titoli Parmalat fasulli con la sua Nextra -anche se né Bondi né la Procura di Milano ne perseguono la responsabilità oggettiva. E non solo Bazoli, tutti i maggiori banchieri, Profumo, Mussari, Modiano, sono schierati col Pd, qualcuno anche con la moglie. De Benedetti , scalatore della Fiat, dell’Ambrosiano, della Sgb, “un terzo del Belgio”, Scalfari annunciò trionfante, della Sme, della Olivetti due o tre volte, e dei soldi di molti investitori con CdbWebTech. Urbano Cairo, che l’ipercollocamento, il titolo è arrivato a 60 euro, se lo è preso in forma di superdividendo. Il Moratti dell’Inter, che per l’ipercollocamento della Saras in Borsa è finito sotto inchiesta – ma per caso, è vero: sarà assolto. E c’è chi, dopo dieci anni, ancora non s’è ripreso da Tiscali a cento euro, un titolo che forse ne vale uno: non sono pochi, e farebbero volentieri la festa a Renato Soru, che il giocattolo Tiscali ha creato, e ora fa il populista governatore della Sardegna che tassa i ricchi. Storicamente, la sinistra ha sempre avuto un debole per i grandi speculatori, Parvus, Stavisky, Maxwell, Soros. È gente evidentemente che dà lustro. Ma i voti? L’etica politica? La politica? Confondono i democratici presentandosi come l’opinione pubblica, compiacenti padroni dei grandi giornali.

La borghesia buona e quella cattiva
Perdura la denuncia classista dei borghesi contro la borghesia. Non è una novità, è così dai tempi di Marx, che era un grande borghese. Un tempo la critica era quella dei grandi borghesi contro i piccolo borghesi. Ora è quella della borghesia bella-e-buona contro la cattiva, all’incirca Berlusconi, con i suoi avvocati. Belli-e-buoni che però in nulla differiscono dai cattivi se non per l’empatia dei giudici, preventiva, un’assicurazione. Non ci sono più rimproveri da muovere a Berlusconi o Ligresti rispetto a De Benedetti o Tronchetti Provera. Anzi semmai il contrario: i cattivi non hanno mai fregato nessun azionista, i belli-e-buoni ne hanno fregato centinaia di migliaia, forse milioni, per cifre iperboliche.
Quella dei ricchi d’Italia contro Berlusconi si presenta come una reazione estetica, degli uomini di denaro racés contro un arricchito. Fanfarone, baüscia, barzellettiere, ladro di pubbliche frequenze. E bisogna purtroppo prenderne le difese: Berlusconi è solo un milanese. Che ha costruito case che ha saputo vendere, e ha saputo far “lavura’” le frequenze che altri invece dissipavano. Per il resto non è dissimile dai suoi colleghi. I Moratti sono cresciuti con l’Agip - i Moratti che dicono “stronzo!” all’arbitro, per qualche secondo in più di recupero, o in meno. I montezemoli non hanno mai lavorato e non si sa che sappiano fare. Tronchetti Provera ha spolpato Telecom di cinque anni di dividendi, lasciandola comatosa. Il bisnonno Agnelli evitò per superne influenze la galera per bancarotta. Del predatore De Benedetti, del gruppo di “Repubblica” incluso, la memoria è recente. Mentre Berlusconi è nato borghese anche lui. Ha le ville ma non ha gli yacht. Ha cinque figli in carriera, ma è meglio che averli disperati. Dice le barzellette ma non si porta le ragazze in casa. Il centro che il Pd vuole conquistare è quella che si diceva la borghesia. Ma sulla questione della buona borghesia non ci si raccapezza.

B&b e impuniti
Si crede a quello che si è. Si congratulavano per la sconfitta nel loft del Pd Veltroni, Bettini, Zingaretti, Morassut, lo stato maggiore, molto romano, del Partito. Solo la Finocchiaro non partecipava, guardando fisso fuori dalla finestra – e D’Alema, cospicuo per l’assenza. Mentre Bersani diceva le barzellette (pure lui?). Marini e Parisi non credevano ai loro occhi. Franceschini rimuginava ribaltoni. Rosy Bindi una vacanza, per la prima volta, all’estero.
La questione morale è tutta qui, nella superiorità incarnata dei belli-e-buoni, impunita si direbbe a Roma, autocertificata, che perde elezioni dopo elezioni, e si consola: “Quel porco!” Corazzata della superiore lucentezza del metallo che re Mida era condannato a lucidare. Basta leggere i loro giornali – che sono i nostri, purtroppo: gratificanti, incensatori, e pregiatori del mondo candido di chi si fa scudo dell’Olocausto e del Mozambico, delle pene del mondo. Escludendo ogni colpa, naturalmente. Solo imprecando contro il mondo ostile, i b&b si piacciono piagnoni. Luciano Canfora, che pure è ottimo scrittore, dice che bisogna contentarsi, gli onesti sono pochi, perché lo diceva il Medio Evo, “Qualis rex, talis grex”, quindi porci anche gli elettori, e già Demostene nelle “Filippiche”: “Invidiare chi si lascia corrompere, ridere se lo riconosce apertamente, assolvere chi è colto in flagranza di reato, odiare chi vorrebbe metterlo sotto processo” - Demostene che, come Canfora ben sa, non disdegnava lui stesso di “filippizzare”. E dunque è più buono, democratico - e intelligente – avere i banchieri al gazebo e non i bancari…
La buona coscienza peraltro vuol’essere, malgrado Demostene e i proverbi medievali, pure fraudolenta e bugiarda. Dopo il loft una lunga serie di bugie ha rimesso in corsa per il Campidoglio, allo scontato ballottaggio, lo spento Alemanno - uno che al faccia faccia di “Ballarò” s’è dimenticato il pezzo forte, i quattromila miliardi del governo Berlusconi a Rutelli per il Giubileo, che il sindaco non riuscì a spendere, restituendone la metà. L'incredibile denuncia "democratica" su Internet che documenta come lo stupro con ferimento di una ragazza del Lesotho sia stato opera di Alemanno: con avvocati missini (peraltro ex comunisti), salvatori aenniani, il bisogno di soldi dello stupratore, e la complicità della stuprata, dei medici, e dell'ospedale che la curano. Le chiusure dei campi di rom indesiderabili. Che non ci sono state. Le centinaia di espulsioni di stranieri indesiderabili. Che sono, forse, diecine. La regolamentazione del commercio abusivo. Che ovviamente non c’è stata, e non ci può essere. Il presidio delle stazioni metro e ferroviarie suburbane. Che non c’è mai stato, chiunque lo sa. L’invito pressante ai dipendenti del presidente del Porto di Civitavecchia, l’onorevole Pd Ciani, a onorare il comizio di Zingaretti, candidato Pd alla Provincia: “La massima partecipazione… Anche in divisa…Saranno rilevate le presenze di ognuno”. E la spiegazione: “I soci hanno scelto, senza imposizioni, di partecipare alla manifestazione, mettendo a disposizione proprio personale, anche in divisa, di cui sono state rilevate le presenze, al fine di retribuire il lavoro svolto”. Il "lavoro" di scaricare Zingaretti? La sinistra non è bugiarda.

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