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sabato 26 luglio 2025

Problemi di base giudiziari - 873

spock

Perché il sindacato dei giudici difende la doppia carriera?
 
Non gliene basta una?
 
Perché negare che la giustizia si fa per correnti politiche?
 
Perché tante cause inutili?
 
La giustizia è un lavoro, un passatempo, una carriera – doppia?
 
Un tempo si dicevano le Procure il posto degli incapaci, oggi sono ambite, c’è un perché?


spock@antiit.eu

Quanto ci costa il post-Pci

La deidologizzazione del vecchio Pci, benché vecchia ormai di mezzo secolo, continua a costarci caro. L’università di Berlinguer “all’americana”, un diplomificio. Le lenzuolate di Bersani, a favore della grande distribuzione e dei centri commerciali, i “non luoghi” che ora ci affliggono a ogni curva, cari, senza qualità e perditempo – lenzuolate disposte quando Londra e New York si riposizionavano sul vicinato. I Capitani Coraggiosi, Campioni Nazionali, Colaninno e Gnutti – Colaninno e Gnutti…. (con Consorte, “abbiamo una banca”). Ora l’urbanistica dei grattacieli, per ricchi, saltando leggi e regolamenti – è la modernizzazione.
Se lo facessero per arricchirsi potremmo dirli i boiardi italiani – come i russi, tutti ex prominent del Pcus, il Pci sovietico. Ma non sono venali. Solo vogliono essere liberali.

Gli ultimi giorni di Tondelli

Entra finalmente nel vivo Brizzi alla quarta puntata della sua miniserie settimanale “Sulle tracce di Pier Vittorio Tondelli”, una “pedalata” per la Bassa in ricordo dello scrittore, nei suoi luoghi, o in quelli che potrebbero variamente averlo ispirato. Nell’inverno 1986-87 PVT lascia Bologna per trasferirsi a Milano, che dice “la città della fantasia, della libertà, e del desiderio”.
È così. Ma già l’estate del 1987 lo si ricorda ancora a caccia di una birra a notte inoltrata, i carri armati slacciati, della compagnia per un’altra birra, per non restare solo. Milano di fatto gli è stata fatale: era cominciata la lunga agonia. E più spirituale che fisica: la cosa che più turba Pier Vittorio come ogni altro è come compartecipare il morbo mortale di cui si era vittima, più delle sofferenze, o della infezione morbo (allora) incurabile.
Una vergogna nella vergogna per un giovane, oltre che per lo scrittore, spiccatamente socievole, amichevole, e brilante, il rimorso, e la solitudine. Quanti “giri” deve raccontare Brizzi di questi lunghi ultimi mesi, fra amici, confessori, familiari – se dire, non dire, e cosa dire. Se la vergogna pesa più della morte.  
Enrico Brizzi,
Fantasia libertà e desiderio, “La Nazione” 26 luglio 

venerdì 25 luglio 2025

Il mondo com'è (485)

astolfo


Gertrude Bell - Benché protetta dalla fortuna familiare, di grandi industriali metallurgici, Gertrude fece tutto da sola: laureata a Oxford nel 1888, a vent’anni, viaggiatrice un paio di volte in giro per il mondo, poi in Persia e nel deserto, siriano e arabico, con carovane da lei organizzate e gestite – “Gli scritti della regina del deserto” è il sottotitolo di “A Woman in Arabia”-, scalatrice dei quattromila delle Alpi, compreso il Cervino, o allora di vie non praticate, sette cime vergini in due settimane, con alcune “prime” ancora negli annali, scrittrice, archeologa, fotografa, la migliore arabista della sua epoca, innamorata infelice almeno un paio di volte, specialmente la seconda, poco meno che cinquantenne, femminista anti-femminista, infine letteralmente creatrice dell’Iraq, dalla politica tribale all’archeologia, fondatrice e curatrice del museo di Baghdad (quello dal quale 15 mila pezzi saranno rubati nel 2003), prima di morire nel 1926.
Qualche volta depressa, ma sempre combattiva. Minuta, 1,64, e femminile, occhi verdi, capelli ramati, curata anche nel Quarto Vuoto, ma agile, attenta, studiosa, una forte mente politica in un mondo tutto maschile, non solo quello arabo – dagli arabi anzi per questo ammirata, e sempre onorata. Al culmine dell’età degli esploratori, barbuti e incontestabili, una donna. Intraprendente e informata, più che presuntiva – combattiva ma intelligente.
“L’Oriente guarda se stesso: non sa nulla del mondo esterno di cui sei cittadino, non ti chiede niente di te e della tua civiltà”. Questa sua osservazione, nei “Ritratti persiani”, valeva allora, 1894, forse meno di quanto valga ora. Anche perché Oriente e Occidente, anatomizzati, sono concetti storici, poco congruenti e anche poco consistenti. Ma Bell operava nel 1894, a 26 anni, il primo racconto contemporaneo del (Medio, o Vicino) Oriente. Racconto ferace, battistrada di Robert Byron, Vita Sackville-West, Schwarzenbach, Chatwin, Peter Levy – dopo Richard Burton naturalmente. Ai capitoli sui nomadi, la civiltà maschile, l’anderun, luogo femminile della casa, “di infelicità, di esistenze insulse”. E i deserti, i qanat, le torri del Silenzio, il fumo al qalyān (narghilé), profumato, i giardini segreti. In un Oriente “segreto” per modo di dire – l’Oriente di cui più non si può più dire dopo Edward Said (sottacendo il fatto che Said è un palestinese, cioè un arabo “occidentale”, anche nella critica dell’etnocentrismo, molto cristianizzato, dal diritto di famiglia alla logica).
Questo primo racconto, della Persia a cavallo, in lunghe giornate, anche in lunghe cavalcate serali “attraverso il secondo cerchio dell’Inferno e la «bufera infernal, che mai non resta», cioè con Dante, è peraltro ancora “attuale”, si legge con profitto . Ci sono già perfino “le bottiglie vuote e le carte oleate” dei “filistei in gita” lasciate a insudiciare “la purezza della brughiera purpurea”. E per finire alcuni tocchi su “Costantinopoli”, su Bursa - “Prusia”, sopra la quale Bell pone l’Olimpo, da cui vede “gli speroni del meraviglioso monte Ida, e nelle giornate più limpide la piana di Troia” - e sul mar Nero, mare greco, che rivede meraviglioso con Strabone, malgrado lo stato di abbandono, e gli infiniti soprusi in navigazione a carico dei turchi, poveri e ricchi, e le loro famiglie.  
Una opera prima duratura della prima donna laureata a Oxford. Che è stata in Persia a venti anni e ne ha scritto a ventisei. La prima funzionaria militare britannica. Per di più nel settore intelligence, ingaggiata dal governo nel 1914 per la sua conoscenza del mondo arabo, e subito addetta all’Arab Bureau al Cairo, insieme con T.E.Lawrence, per fomentare la resistenza contro l’impero ottomano, alleato in guerra degli imperi centrali.
Creatrice nel primo dopoguerra dell’Iraq, in ogni senso, impegnata da assicurare un regno ai sunniti dell’Iraq a scapito degli sciiti, pur avendo fatto la prima conoscenza dell’islam tra gli sciiti dell’Iran. Alla dinastia filobritannica hascemita di fatto, cacciata dalla Mecca, dall’Arabia poi Saudita. Una creazione di cui disegnò i confini. Ma informata e informatrice, tuttora, sulla Persia, che invece esisteva, da tempo immemorabile, e lei riesce a capirne le venature profonde. Il suo, il primo libro moderno (contemporaneo) sull’Iran, è rimasto un repertorio di molti successivi anche per la parte politica, specie l’inconsistenza del potere imperiale. Se non nelle forme di accettazione rituali – si è devoti allo scià come si lacrima per Husseyn a metà del mese di Moharram, tra un pasticcino e una chiacchiera. Vero anche nei particolari. 
Teheran è la stessa anche oggi che non è più un villaggio semidesertico e semivuoto di fanghi seccati e giardini segreti, ma una metropoli brulicante – scentrata e informe. E l’Iran un paese di cui il deserto e la distanza – silenzi, isolamento – fanno il carattere: “Immaginate su ogni lato un paesaggio simile a quello del mondo dei morti che, nudo e deserto, turbina nell’interspazio stellare: una pianura grigia e monotona su cui si sollevano e cadono nuvole di polvere, che poi formano possenti colonne e crollano di nuovo tra le pietre all’ordine di venti caldi e forsennati; piante basse e pungenti, l’unica forma di vegetazione,  prive di foglie e ricoperte solo di spine; macchie bianche di sale su cui brillano i raggi del sole; un orlo di sterili montagne all’orizzonte…”. Un mondo muto. Che si rivela “nei suoi giardini”, inattesi, fascinosi – l’“Oriente” è il Medio o Vicino Oriente, Nord Africa compreso, da Suez fino a Nuakshott: “Poca acqua, e il deserto fiorisce”.
La notte più difficile, stesi per terra, in casa di un Hadgi Mohammed sconosciuto, si rivela al ricordo uno dei tanti “piaceri semplici, così familiari in una terra così remota! Non nei grandi palazzi, non nelle grandi città avevamo percepito il legame di umanità che unisce Oriente e Occidente, ma in quel lontano villaggio sul ciglio della strada, sul pavimento del domestico dello Scià, rivendicando la nostra fratellanza con i lavoratori di un suolo straniero. Per una notte anche noi prendemmo parte alle loro vite”.
Già da giovane senza indulgenza per graduatorie di civiltà, di un Occidente superiore. Nel suo primo libro arrivando a interrogarsi: “Dov’è il progresso? Dov’è la marcia della civilizzazione? Dov’è l’evoluzione della razza? Non ci si trova più nel pezzetto di mondo in cui queste leggi prevalgono: esse non sono eterne, e ancora meno universali”. Una vittoriana insofferente alle ipocrisie. Ma ostile alle suffragette, in ogni loro manifestazione.
(continua)
 
Massimo Calabresi – Il capo della redazione politica di “Time” che ha realizzato l’intervista di copertina con Giorgia Meloni, è figlio e nipote di perseguitati dal fascismo. Suo padre, il giurista Guido Calabresi, nato a Milano, era dovuto emigrare a sei anni, nel 1938, con le sorelline Nina e Bianca, al seguito dei genitori, il cardiologo Massimo, cattedratico, e la studiosa di letteratura Bianca Maria Finzi-Contini, a causa delle discriminazioni  minacciate con le leggi razziali. La madre si era da tempo battezzata (Guido si professerà “cattolico praticante”), ma non era servito.
L’intervistatore di Meloni ha quindo il nome del nonno, ma, benché figlio di immigrato, non accenna in nessun modo, contrariamente all’uso fra gli italoamericani, anche di ascendenza remota, alle radici italiane nei riferimenti biografici online. Anche il nonno, tornato a Milano dopo la guerra, per riprendere possesso della cattedra, alla fine, a conclusione della trafila burocratica, benché restaurato infine nel suo diritto dal rettorato della Statale, tagliò le radici con la sua città e se ne tornò in America – dove aveva già un ruolo anche accademico oltre che professionale.
Il padre Guido, oggi 92nne, il più giovane professore alla Yale Law School, ne è stato poi in tarda età il rettore per dieci anni, 1985-1994. Tra i suoi allievi alcuni giudici costituzionali in attività, due conservatori, Samuel Alito e Clarence Thomas, e una progressista, Sonia Sotomayor.  È molto legato a Giurisprudenza a Bologna e vanta due lauree honoris causa in Italia, a Pavia e Brescia.
 
Giustino Fortunato - Furono due. Il meridionalista ebbe uno zio omonimo che coltivò una lunga e complicata carriera in epoca borbonica, tra carboneria (fondamentalmente mazziniana, repubblicana) e incarichi pubblici, spesso sotto il re Ferdinando II, il “re Bomba”. Dopo essere stato uomo di fiducia di Gioacchino Murat – e forse quello, o uno di quelli, che l’attirò alla trappola di Pizzo.
 
Gladstone - Il liberale Gladstone era ferocemente contro ogni forma di indipendenza dell’Irlanda.
Delle prigioni napoletane tanto famosamente da lui denunciate confesserà che non ne aveva mai visitato una.
 
George Augustus Polgreen Bridgetower – (Galizia, ca 1779 – Peckam 1860) – Violinista mulatto, forse di padre delle Barbados, allievo di Haydn in Germania, esordì come enfant prodige, affermandosi a Londra, primo violino dell’orchestra del principe di Galles, il futuro re Giorgio IV. In tournée in Centro Europa a 25 anni, nel 1803 fu a Vienna, do e strinse amicizia con Beethoven. Che gli dedicò la Sonata per violino e pianoforte op. 47 – poi nota come “Sonata a Kreutzer” – con una dedica scherzosa: “Sonata mulattica composta per il mulatto Bridgetower, gran pazzo e compositore mulattico”. Il rapporto fu scherzoso anche nell’esecuzione della sonata, a maggio del 1803. Il compositore Carl Czerny annotò: “Bridgetower suonava in modo molto stravagante. Durante l’esecuzione della Sonata con Beethoven ridevamo di lui”. La Sonata era stata creata però in fretta, sia l’esecuzione che la composizione. La parte del violino del primo movimento fu pronta solo qualche giorno prima. Il secondo movimento Bridegtower poté leggerlo sol solo spartito del pianista, non essendoci stato il tempo per farne una copia. In calce alla copia della sonata in suo possesso Bridgetower annota di avere introdotto una cadenza al “Presto” del primo tempo che Beethoven aveva accolto “entusiasticamente”. Ma non ne tenne poi conto nel pubblicare la sonata, nel 1805, quando risulta dedicata a Rodolphe Kreutzer, grande violinista francese, da Beethoven conosciuto a Vienna molto prima, nel 1798. Con una dedica molto lusinghiera: “Una buona dedica alla persona di cui ho molto goduto la compagnia  durante il suo soggiorno a Vienna. La sua modestia e la sua naturalezza mi sono più care di tutto quanto è esteriore o interiore nella maggior parte dei virtuosi”.
Come s’era interrotto il rapporto amichevole di Beethoven con Bridgemont?  Secondo il violinista J. R.Thirlwell c’era stata una lite per via di una ragazza. Probabilmente Julie Guicciardi, la contessina semitriestina che fu allieva di piano di Beethoven, futura contessa von Gallenberg.
Kreutzer non gradì l’omaggio e non suonò mai la composizione , scusandosi che era troppo difficile,  e che comunque era già stata eseguita. Secondo Berlioz aveva trovato la sonata “oltraggiosamente inintelligibile”.

astolfo@antiit.eu

L’offensiva cinese 2.0

“La prima volta che la Cina ha sconvolto l’economia statunitense, tra il 1999 e il 2007, ha contribuito a cancellare quasi un quarto di tutti i posti di lavoro nel settore manifatturiero statunitense. Ondate di beni a basso costo provenienti dalla Cina hanno fatto implodere le fondamenta economiche di luoghi in cui la manifattura era la principale attività”. Attività perse per sempre. Ma in tutti gli Stati Uniti situazioni simili si sono prodotte, per setori di attività, “in decine di settori ad alta intensità di manodopera: tessile, giocattoli, articoli sportivi, elettronica, plastica e ricambi auto”. Poi, “intorno al 2015, lo shock ha smesso di crescere. L’occupazione nel settore manifatturiero statunitense è rimbalzata, crescendo sotto la presidenza di Barack Obama, del presidente Trump al suo primo mandato e del presidente Biden”.
Perché il nuovo allarme? “Allora non potevamo competere con Temu per le scarpe da tennis, o assemblare AirPods”. O competere su tutto: “Si stima che la forza lavoro manifatturiera cinese superi di gran lunga i 100 milioni, rispetto ai 13 milioni americani. È al limite dell'illusione pensare che gli Stati Uniti possano – o addirittura vogliano – competere con la Cina sulle scarpe da tennis. Ma ora la Cina in molti settori avanzati sta passando “da sfavorita a favorita. Oggi sta contestando aggressivamente i settori innovativi in cui gli Stati Uniti sono da tempo leader indiscussi: aviazione, intelligenza artificiale, telecomunicazioni, microprocessori, robotica, energia nucleare e da fusione, informatica quantistica, biotecnologie e farmaceutica, solare, batterie”. E aggressiva su tutti i mercati, Africa, America Latina, Sud-Est asiatico, e sempre più Europa Orientale. E “Nella ricerca d’avanguardia, la Cina spesso supera gli Stati Uniti con un margine sostanziale”.

In forma di “opinione”, i due economisti richiamano e spiegano in dettaglio la scena di fondo dell’attuale round di negoziati commerciali con la Cina. Da “esperti”, dice il giornale, studiosi accademici di fatto. E nient’affatto persuasi dalla controffensiva di Trump, dalla “filosofia” nazionalistica MAGA.
Gordon Hanson, We Warned About the First China Shock. The Next One Will Be Worse, “The New York Times”, 14 luglio 2025 (leggibile anche in italiano, Avevamo previsto il primo shock cinese. Il prossimo sarà peggiore)

giovedì 24 luglio 2025

Secondi pensieri - 566

zeulig 

Dio – È la speranza, si sa. Generica, l’Attesa.
Anche la carità, il Dio dell’amore? Non quello della vendetta, dell’amore dei suoi, dei propri cari, tribale, razzista.
 
Fede - “Credo che non esista sofferenza più grande di quella provocata dai dubbi di chi vuol credere. O quanto sia grande questo tormento, ma posso vederlo soltanto, almeno in me stessa, come il processo attraverso il quale la fede diviene più profonda…. Ciò di cui le persone non si  rendono conto è di quanto sia alto il prezzo della religione. Credono che la fede sia una grande corrente elettrica, quando in realtà la fede sta tutta nel portare la croce. Credere è molto più difficile di quanto lo sia non credere”, Frances O’Connor a una corrispondente , nella raccolta epistolare “La breve vita felice” – “se senti di non poter credere, una cosa almeno la devi fare: mantenere la mente aperta alla fede, continuare a desiderarla, continuare a cercarla. E lasciare il resto nella manica di Dio”. È bizzarramente il percorso che un laico dichiarato, Scalfari, si era proposto da ultimo, dialogando col papa Francesco – percorso che lui proponeva al papa, il quale si limitava all’ascolto.
E ancora: “Non penso che la conversione si verifichi una volta per tutte. Penso che, una volta avviato il processo, ognuno guarda dentro di se stesso, cercando Dio e allontanandosi dal proprio  egocentrìsmo, e che si debba avere ben chiaro il proprio egoismo per poterselo lasciare alle spalle” – che è quello che Scalfari non faceva ( non poteva, da incarnazione dell’orgoglio) .
Concludeva O’Connor: “Misuro Dio a partire da tutto ciò che io non sono. Credo che Dio ci ha fatto dono della ragione perché ne facciamo uso, e che la ragione può condurci alla conoscenza di Dio stesso, per via analogica; che Dio si è rivelato nella storia e continua a farlo… Per credere a tutto ciò non mi è necessario sprofondare nell’assurdo. Trovo ragionevole crederci, anche se tutte queste credenze vanno oltre la ragione”.
 
Atto di fede si dice per dire di qualcosa d’immutabile, incrollabile, contro ogni evidenza. Di una cosa che invece è ricerca, e uno scavo – nell’incertezza.
 
HeideggerL’ultimo - 
nel senso della verticalità, della “sublimità” -: metafisico. E quello che propagandava il superamento della metafisica, allievo bene o male di Husserl - sfruttandone il linguaggio. Un Grande Confuso? Un furbo costruttore del(suo) mito?

 
Nietzsche –È  tante cose, anche contrastanti. Si sa, ma non si ricorda, e si porta a esempio e maestro. È incredibile quante cose diverse è. Uno scrittore di aforismi, quindi fantasioso.
 
Occidente – Una diffusa pubblicistica lo fa tramontare con la caduta del teutonismo – l’impero austro-ungarico e l’impero tedesco. Con Thomas Mann, dopo Spengler , e con Freud. Mentre nel  secolo susseguente, nei cent’anni dopo, ha avuto lo sviluppo e l’emprise più incisiva, dopo l’illuminismo, e più ampia, su tutto il mondo “conosciuto”. Più delle “scoperte” e della rivoluzione industriale. Con la liberazione dell’Occidente stesso, Italia e Germania in primis. E soprattutto del Giappone. Nonché delle colonie, del Terzo mondo in genere. Liberazione  materiale, tecnologica, politica, sociale. In questa accezione dell’umanità tutta si può dire, compresa la Cina sterminata e le altre dittature asiatiche. Fatto storico senza precedenti: l’accesso di miliardi di persone, in pochi anni, all’istruzione, alla salute, e al “mercato”, all’attività se non all’arricchimento, alla remunerazione, al circolo del reddito (produzione, consumi). Su scala universale, e a livelli subito elevatissimi – la Cina trent’anni fa era un miliardo di biciclette, e tutte di un colore, nere, oggi è un miliardo di automobili, “verdi”.
 
Social media – Annullano le distanze, si dice. Cioè, annullano il distacco, il senso critico. Che opera alla distanza – ha bisogno di pause, di riflessione (in senso proprio, non il modo di dire delle crisi coniugali).
 
Stupidità – Si può dire incistata nello steso mito platonico della caverna, che si vuole invece della conoscenza o intelligenza. Vi si vedono solo ombre, e chi esce dalla caverna e vede esseri e cose dal vivo ne resta turbato, gli sembra di impazzire – peggio quando prova a rientrare nella caverna per spiegare l’equivoco: per coloro che ne sono usciti è uno che dice assurdità, il mondo è delle ombre.   

zeulig@antiit.eu

All'ombra di Scalfari

Sala dopo Marino, e ora anche l’ex sindaco marchigiano, il Pd è vittima del suo giustizialismo – del “complesso carrieristico-giudiziario” che pensava di dirigere o di dominare. Era inevitabile, e col tempo sta succedendo.

Il “complesso carrieristico.giudiziario” è sterile in termini politici. Nessuno crede ai giudici. Il più perseguitato, Berlusconi, con decine di incriminazioni e migliaia di perquisizioni, ha sempre vinto le elezioni, quando i vecchi Dc o Bossi non gliele hanno fatto perdere. Ha un peso reputazionale. Ma limitato alla “società civile”. Che è un’invenzione di Scalfari, per tenersi buoni i vecchi benpensanti – i vecchi di “Via Veneto” – mentre li portava a votare De Mita.

Scalfari è anzi ben l’autore della deriva “giustizialista – la giustizia politica. Da cinico non credente. Sprezzatore di tutto ciò che era Pci. Mentre i giudici non li considerava, aveva l’avvocato per parlare con loro – solo gli premeva disinnescare le centinaia di querele per diffamazione, come “responsabile”, e ci è riuscito, ai giudici basta un buffetto.

Non una grande tradizione politica, questa del Pci berlingueriano, di cui il Pd si ammanta. Anzi, non è niente – qual era il programma di Berlinguer? Ma è bene superbia e odio – di mediocrità sconcertante. Indotta da Scalfari, già esegeta implacabile dei trucchi della “questione morale”.  

Don Abbondio Castagna

E all’improvviso è emersa, l’aria da vecchia Repubblica, da vecchia Dc, Agricole compresa, che si presentiva attorno all’affaire UniCredit-Bpm. Orcel si sfila con eleganza dall’attacco fallito a Bpm. Bpm invece ne esce ammaccata.
Orcel si limita a dire: “Rischiavamo di restare impantanati, la priorità è creare valore”. Butta Bpm nel pantano. E Castagna, che pure ha vinto, sembra veramente nelle sabbie mobili, affannato, sudato. Senza argomenti, se non l’alleanza con Mps. Che è anch’essa una resa, nel linguaggio veterodemocristiano.
Castagna resta solo in realtà, pedina di un gioco politico. Guidato da Lovaglio (Mps, Giorgetti) e Giorgetti (Tesoro, Lega). Una specie di don Abbondio, e non lo sa.
Anche perché Agricole, il suo Cavaliere Bianco, usa puntare sui vincenti – Bazoli, Banca Intesa, figurarsi (Commerciale, Cariplo, San Paolo...). 

Gran cassa autovelox

Singolare primato di Firenze - su Bologna e Rovigo (prima probabilmente in rapporto ai residenti) – per numero di autovelox installati. Non a fini dissuasivi, evidentemente, come vorrebbe la legge, ma di cassa.
O il primato, di autovelox per abitanti, è di Potenza, oppure di Campobasso – le due cittadine potrebbero essere delle metropoli, a scorrere la lista?
Se ne può dire la moltiplicazione anche un investimento fruttifero dei Comuni – il cittadino va torchiato?
Alessio Ribaudo, Autovelox, tutor e telelaser, “Corriere della sera”, voll. 1 e 2, pp. 93 + 93, gratuiti col quotidiano

mercoledì 23 luglio 2025

Problemi di base fiscali - 872

spock
Perché il vicino, con un tenore di vita doppio o triplo (abitazione, automobili, servitù, vacanze) paga meno Irpef?
 
Perché il fisco ogni tanto “stana” gli evasori – perché “ogni tanto”?
 
È neghittosità, inappetenza, minimo sindacale, o si paga per non pagare?
 
Perché le Entrate sanno se la detrazione di 0,90 euro sulla spesa in farmacia doveva essere invece di 0,60, e non s’intendono di milioni e miliardi: è solo un problema culturale?
 
L’Irpef è micragnosa, la ricchezza libera e bella, è l’estetica che governa le Entrate?

spock@antiit.eu

Fenomeno Trump

Trump non è naturalmente il buffone che finge  di essere. Finge, anzi, in una strategia di comunicazione precisa, si direbbe studiata alle virgole, evidente nella profluvie di ex tweet che lancia ogni giorno, e nei dialoghi quotidiani con i giornalisti, a ogni uscita dalla Casa Bianca e al “caminetto”. Per “fare notizia”, ogni giorno, con linguaggio diretto. Modellato, si dice con disprezzo, sui Maga, i coatti celoduristi, che invece non lo capiscono – lo seguono ma non lo capiscono (non capiscono nulla). No, modellato sui social.
Una strategia complessa, frutto evidentemente di un’organizzazione anch’essa complessa, a partire dalla finta ingenua che gli fa da portavoce. Che comprende il finto pagliaccio: esagerazioni, minacce, ingenuità, buffonerie. Evidente nel format: subito il radicalismo, la botta. E sempre con uscite studiate: frasi fintamente dal sen fuggite e invece calibrate, negli aggettivi, i toni, le pause, e il significato dietro il colore.
Non una novità, fu la strategia di Reagan – altro parvenu, che i media mainstream dovevano irridere. Reagan non aveva (costose) guerre aperte, ma sull’economia fece presto e bene quello che Trump prova, chiudendo la sua offensiva in pochi mesi alle sue condizioni con l’Accordo del Plaza, dazi e contingenti, e svalutazione del dollaro – allora il “nemico” era il Giappone e non la Cina, con l’Europa sempre nel mezzo.
Del tutto nuovo è la strategia di comunicazione. Il berrettino sul vestito sempre perfetto, di sartoria, con una grande varietà di cravatte tinta unita – serie ma colorate. E la disponibilità a ogni domanda in ogni occasione. Con risposte sintetiche, se possibile trasgressive.

L’Italia post-Fiat

“Nei prossimi cinque anni alle imprese serviranno fino a 3,7 milioni di addetti”, calcola “Il Sole 24 Ore”. “Fino a” può anche voler dire due milioni, o meno. Ma la verità della cosa è che il problema dell’Italia non è, non più dopo un secolo o due, il lavoro, l’occupazione. Anzi  il contrario, se in cinque anni in Italia non si troveranno tre o quattro milioni di lavoratori, neanche con l’immigrazione.
Si dovrà supplire con gli investimenti. Ed era l’ora. Dopo anni e decenni di produttività stagnante, se non calante. Che ha impoverito l’Italia nel mentre che la arricchiva – ne ha impoverito la forza e il potenziale (tecnologico, innovativo, intraprendente) o, come suole dirsi, il futuro.
È la strada per migliorare i redditi, la distribuzione del reddito attraverso il lavoro. Sociologicamente la ricostituzione di un ceto medio-piccolo, da un trentennio buono sempre più asfittico, dai due milioni di licenziamenti in due anni per effetto della globalizzazione - è la fascia che muove i consumi. E per liberarsi infine definitivamente della “Fiat”, del complesso automotive che era il nucleo centrale del sistema industriale. Di cui ha determinato la debolezza ingovernabile da quattro o cinque anni in qua – dalla morte di Marchionne e l’abbandono degli Elkann.

Contro Netanyahu, e Israele colonialista

Il sionismo – il “ritorno” in Palestina – è “un progetto coloniale cristiano prima che ebraico”, di qualche presidente americano evangelico, e di Lord Shaftesbury, che lo avviò concretamente negli anni 1830 a Londra. Proprio quello che sarebbe sbocciato nel 1917 nella Dichiarazione Balfour. Col sostegno molto attivo del suocero di Shaftesbury, Lord Palmerston, ministro degli Esteri e Primo ministro. Un’invenzione, quella del “popolo ebraico”, della Riforma cristiana, millenarista, che la fine dei tempi legava alla conversione degli ebrei e al loro ritorno in Palestina. E poi con Napoleone – in una con Chateaubriand, anche se i due non si amavano.
Una “invenzione”, si può aggiungere, costola dell’orientalismo – che modernamente appare con Napoleone, come colonialismo. E più in generale del romanticismo, dell’“invenzione” del nazionalismo. Del popolo, la nazione, la patria.
Non è il solo revisionismo che lo storico argomenta. Israele è un regime coloniale di occupazione. Israele è uno Stato razzista, ai termini della sua costituzione, dell’aggiornamento l’estate del 2008, con la legge della nazionalità israeliana, ristretta ai soli ebrei. La radicalizzazione è stata resa possibile dall’“accordo del secolo” del Trump 1, nel 2017. Che ha culminato “l’era  Netanyahu” (“iniziata quando è stato eletto per la seconda volta nel 2009”): Gerusalemme capitale, Golan israeliano, Cisgiordania pure - e ora anche Gaza (con un po’ di Libano, fino al Litani).
Due constatazioni, “accordo del secolo” e “era Netanyahu”, che successivamente culminano sempre più in alto, con la distruzione di Gaza, e  lo sterminio che non si può dire.
I dieci “miti” sono: la Palestina è vuota, gli ebrei un popolo senza terra, essere ebreo è essere sionista, il sionismo non è colonialismo, i palestinesi se ne sono andati volontariamente nel 1948 (Israele ha reso inaccessibili gli archivi sulla “Nabka”, l’esodo palestinese), la guerra dei Sei Giorni nel 1967 (occupazione di Golan e Cisgiordania era obbligata, Israele è una democrazia, l’unica del M. Oriente, la “pace di Oslo”, l’ “indipendenza” di Gaza.
Molto Pappé si basa sulla ricostruzione di Shlomo Sand, “L’invenzione del popolo ebraico”. Ma con riferimenti anche all’evidenza: non era spopolato un luogo sacro, oggi come ieri e l’altro ieri, dell’islam. E dettaglia la normativa e la prassi israeliane a Gerusalemme Est e in Cisgiordania.
Un saggio alla terza ristampa, ma nessuno se ne è accorto.
Uno storico rispettato, israeliano docente in Inghilterra, all’università di Exeter, direttore di un European Center for Palestinian Studies, confinato in Italia al “Manifesto”, per le cure di Federica Stagni, che l’ha tradotto dall’inglese, e di Chiara Cruciani. 
Oggi la ministra della Scienza e della Tecnica di Netanyahu posta un messaggio IA in cui, fra le tante tracotanze, parla dei palestinesi come “nativi” (celebra “la migrazione volontaria dei nativi” – volontaria sotto le bombe, sotto i fucili del 700 mila coloni). Ma questo è un errore: non ci sono nativi nella vulgata coloniale.
Ilan Pappé, 10 miti su Israele, Tamu, pp. 285 € 16

martedì 22 luglio 2025

Se la corruzione è giudiziaria

Dov’è la corruzione nell’inchiesta aperta dalla procura di Milano contro la nuova urbanistica e il boom edilizio? In accordi “spesso non dichiarati”, dice la Procura. E ci mancherebbe. Ma spiega: su “varianti, densificazioni, premi di cubatura, compensazioni, diritti edificatori, accordi di programma, demolizioni virtuali, progetti edilizi imponenti contrabbandati per ristrutturazioni, deroghe alle norme morfologiche, cortili ridefiniti spazi interni residuali”, e c’è anche il “viale” mutato in “piazza attraversante”. Tutto ovviamente in nome della “rigenerazione urbana”.
Come dire che la corruzione è inafferrabile. C’è, si vede, ma non si può provare. E invece no: la corruzione c’è, dilaga, impunita, ma nel sistema della giustizia. Perché non è perseguita, se non a danno fatto. Non è perseguita quando viene denunciata – e viene denunciata in continuazione: non vieme perseguita in flagranza di reato – è coem la mafia, se ne fanno dossier.
E questo dipende dalla “giustizia”. Le denunce non vengono “aperte”, oppure vengono “aperte” a tempo scaduto, giusto per dire che le Procure lavorano. La giustizia “si muove” solo per motivi politici, dalla “visibilità” mediatica allo schieramento partitico – questo meno, non si sa più a chi affiliarsi, il posto al Senato non è più garantito.  
Il processo che si avvia a Milano nasce su un esposto presentato dagli inquilini vittime di un Giardino Nascosto – Hidden Garden, nascosto anche nel nome - il 13 luglio 2022. Tre anni che hanno consentito al giardino-palazzone di essere terminato e venduto – e ora p indistruttibile. La corruzione paga
 

La montagna Th. Mann

Il settimanale elegge Thomas Mann, di cui “non ricorre” niente, “la coscienza dell’Europa” -  “Thomas Mann la coscienza dell’Europa” è il titolo del contributo di Manguel, che dà il tono alla celebrazione. Incongruo, dato che Thomas Mann ha fatto “la coscienza dell’Europa” tardi e malvolentieri, dalla Svizzera dove si era “rifugiato”.
Non una novità, è ormai un modo di dire. Solo che stona nella nuova Germania, quella post-unificazione, che all’Europa pensa poco o niente, giusto al bisogno – era diverso quando stava a Bonn, e aveva i russi a Berlino. E riporta semmai al vero Thomas Mann. Che era, e rimase anche dopo il Nobel e nel secondo dopoguerra, un nazionalista convinto, solo deluso. Della Germania prima della classe. Anche – anche – con Hitler, “fratello Hitler”, ben tedesco cioè, benché austriaco. Di antipatia feroce contro la cosiddetta “latinità”, il fratello Heinrich e la Francia a lungo, anche nel dopoguerra, e l’Italia – dove pure passava le vacanze in famiglia, finché ne ha avuta una, e scriveva senza sforzo (quanta fatica nella sua prosa più caratteristica, che si finge sia aerea e perfino idilliaca, ed è limacciosa, una caricatura del tedesco).
Lo spunto alla celebrazione è una mostra che il Buddenbrookhaus di Lubecca, la casa museo della (presunta) famiglia Mann, dedica allo scrittore al St. Annen Museum della stessa città, per i 150 anni della nascita, che Mastrobuoni presenta entusiasta. Benché piena delle foto solite, a quel che si vede, dello scrittore accigliato, in posa, con i figli, con i quali non ha mai parlato - i figli della madre.
Figli numerosi, di cui si è poco curato. E con distacco se non disprezzo. Perché mezzo ebrei, essendo la moglie ebrea? Il tipo è anche su questo riservato, ma nei racconti, e ne “L’eletto” (dell’incesto faceva “regalo” ala famiglia della moglie, mentre l’omosessualità aveva finto autoreferente in “Morte a Venezia”, sempre attento alle “ragioni del mercato”), ha molto ridicolizzato, senza simpatia, i cognati e l’ebraismo.
Recalcati spiega della “Montagna incantata” (ma ora non è “magica”?) che “usciva lo stesso anno della «Psicologia delle masse» di Freud", per una sorta di diagnosi congiunta, “il crollo dell’Occidente”. Che un po’ è vero, ma è molto teutonico. E prima non c’era Spengler, che Th.Mann e Freud non possono non avere letto, che il diluvio aveva annunciato alla sconfitta della Germania, a fine 1918 – il tramonto è della Germania?
Manguel rende la lettura accattivante repertoriando antifrasticamente Th. Mnn qual era. Della cerchia intelletuale conservatrice in tutti gli anni 1920, frondisti contro la repubblica di Weimar, e anche un po’ di più. Di Balzac annotando nel diario, dopo un “tentativo di lettura”: “Troppe chiachiere inutili sulla società” – Balzac è ben francese. Il “New Yorker” nel 1950 ne parlava come di “un grade scrittore, ma non forse così tanto grande”. Peggio Borges: lo lesse “in età avanzata e disse a Bioy Casares che …. era «un perfetto idiota»”. Italo Calvino “sostenne che era davvesro «un autore del diciannovesnmo secolo»”, dell’Ottocento,. E “Bertolt Brecht definì Mann «un colletto inamidato»”.
Alberto Manguel-Tonia Mastrobuoni-Massimo Recalcati, L’Europa incantata, “Robinson” € 1,50

lunedì 21 luglio 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (599)

Giuseppe Leuzzi
 
“L’idea della perfettibilità dell’uomo si è affermata con l’illuminismo, nel diciottesimo secolo. Ed è proprio a questa idea che il Sud si è sempre opposto”. Per il senso del peccato sempre vivo: “Il Sud crede ancora che l’uomo sia una creatura caduta, e che possa avvicinarsi alla perfezione solo per grazia di Dio e non attraverso i suoi sforzi, e comunqjue non senza un aiuto” -. Frances O’Connor, “La breve vita felice”, raccolta di lettere, 8 novembre 1958. La Provvidenza, le provvidenze.
Il Sud americano è un mondo a sé. Anche come latitudine, clima, deserti. Ma fa risuonare echi noti, a partire dalla sconfitta nel processo unitario.
 
La “puzza sotto il naso” Arbasino (“Passeggiando tra i draghia dromentati”) dice nata e tipica del Nord verso il Sud: “Quell’atteggiamento attribuito ai ‘nordici’ che si recano al nostro Sud: come se si portassero dietro una puzza da viaggio, e non ne trovassero invece parecchie pronte all’arrivo”. Un leghista insospettato. Ma non ha torto.
 
C’è un eccesso di borseggi e scippi a Venezia, e il giornale pubblica l’avviso del Comune che ne avverte i visitatori. Scritto in veneto, o veneziano, dal suono volgare, “Ocio al tacüin”. Una fitta dolorosa – pur sperando che lo stesso manifesto sia redatto almeno in inglese, se non nell’odiato italiano. Venezia certo è un patrimonio dell’umanità, non c’entra il Nord e il Sud dell’Italia, ma il leghismo, così crudo, chissà perché non si riesce ad associare a Venezia, che pure è ben veneta e leghista. Il leghismo non riesce a intaccare un capitale di storia, di fantasia, di arte. E per questo è velenoso.
 
Fare l’infermiere a Bologna, venendo da fuori città, non si può, scopre “la Repubblica”. Lo stipendio non basta a coprire le spese, partendo dall’affitto. Ma era così già quarant’anni fa: gli infermieri diplomati nelle scuole delle regioni meridionali affliuivano in Emilia e dopo pochi mesi si dimettevano  - l’Emiliia-Romagna non poteva dirlo, e non può, essendo “di sinistra”, ma da tempo utilizza personale infermieristico asiatico o latinoamericano. Anche l’emigrazione a volte è impossibile dal Sud, perché non è conveniente.
 
Se la mafia è dei “pentiti”
Ferrarella si supera, aprendo una pagina sul “Corriere della sera” con una frase di 46 righe – “Boccassini ai pm: «La fonte dello scoop su Berlusconi? Fu De Gennaro»”  Ma poi fa la verità dell’antmafia.
De Gennaro è il funzionario di Polizia di Reggio Calabria che è stato capo della Polizia stessa, direttore della Dia e poi del Dis, quindi passato in affari, presidente di Finmeccanica e ora di Eurolink, il consorzio del Ponte sullo Stretto. Due nomine politiche, opera del centro-destra - che lo ha protetto per il G 8 efferato di Genova, quando era a capo della Polizia.
De Gennaro, richiesto dai giudici anti-Berlusconi, ha negato di essere stato la talpa. Ma poi tutto, riemerge da questa ricostruzione, ruota attorno alle “rivelazioni” di un pentito, Cancemi, su cui non si punterebbe un centesimo - uno che ha visto la Madonna eccetera.
L’antimafia supera ogni immaginazione. Ma De Gennaro, che è di Reggio Calabria, “sa”, per linguaggio innato, cosa dicono quando parlano i Cancemi, come gli Spatuzza o i Brusca, gli addetti alle stragi, alle basse manovalanze, con centinaia di assassinii ai trenta e ai vent’anni, che poi si pentono, basta un avvocato, e vedono anche le Madonne – dicono tutto qello che viene richiesto loro di dire, e qualche volta se ne dimenticano, molto devono ripassare, di poca memoria, l’intelligenza ha bisogno della memoria.
La verità dell’antimafia è che non c’è istinto poliziesco nella Polizia (nei Carabinieri, etc.). Si attacca l’asino dove vuole il padrone – l’opinione, il governo, i potentissimi e vendicativi giudici, i giornalisti amici. Che ci sono, anche sevDe Gennaro non li frequentava.

 
L’ulivo miceneo
La Magna Grecia, ignota alla grecità con questo nome, fu terra d’emigrazione, non di conquista. Di colonizzazione, ma di aree poco o nulla abitate. Un po’ come dopo Colombo fecero la Spagna e il Portgoallo, e l’Inghilterra e la Francia, che aprirono le corse verso le Americhe, un po’ per avventura un po’ per bisogno. Senza archibugi, verso terre più o meno abbandonate o poco frequentate. E “grandi” per chi veniva dai paesaggi greci: le distese dietro Taranto dovevano sembrare sterminate a chi veniva da microisole, urbanizzazione diffusa, con centinaia di città-stato e microcoltivazioni.

Il movimento migratorio è in realtà antecedente alla Magna Gracia, alla colonizzazione che si fa datare dalla fondazione di Locri e Napoli, dei Micenei sparsamente. Dei quali ora si tenta di ricostruire perfino una seconda ondata migratoria, “dopo la caduta dei palazzi micenei, attorno al 1.100-1.050 a.C”. Mentre si antedatano gli sbarchi che avviarono la Magna Grecia, a Pitecusa (Ischia) e Cuma prima di Napoli e Locri.
Piace legare a questa grecità anteriore la comparsa dell’ulivo nella futura Magna Grecia. Questa però documentata: si sa che l’ulivo compare nella futura Magna Grecia attorno al 1.500. E che è l’albero, sì, di Atena e di Atene, ma tardi: nasce e prospera un migliaio di anni prima, nell’antica Creta, della civiltà minoica.
 
Il Sud è materiato
Crosetti scopre sul “Venerdì di Repubblica”, col supporto di Marino Niola, che il legame familiare è al Sud (anche) materiale. Di cose, per lo più condivise nelle famiglie, anche a distanza se separate  da esigenze di studio o di lavoro. Come sono, nel caso che analizza, gli studenti meridionali a Torino e l’uso persistente, nell’epoca di Glovo e Deliveroo, di ricevere da casa alimentari, di primizie e specialità.
Per sfamarsi? È una forma di conversazione. A più interlocutori, amici, vicini, conoscenti. Ogni specialità, o colore, o sapore, è una persona, un evento, un’occasione particolare. E una forma di scambio.
È un’abitudine, le stesse cose si trovano al mercato all’angolo, di procedura più semplice? Sì e no,  molte cose non si trovano al mercato. Ma poi è come dice l’antropologo: il cibo “parla” più e meglio della parola – “lo sapevano bene gli italiani d’America che attraverso la cucina continuavano a tessere il filo che li legava alla patria lontana e allo stesso tempo a fare comunità con gli autoctoni”. Come anche: “Mandare un pacco da 20 kg. dalla Puglia al Piemonte costa 15 euro. Arriva in giornata, pieno di olii, taralli e amore”. Questo è.
La cucina familiare, ancestrale, è la celebrazione lieve e salda della famiglia, non solo, e delle radici, geografiche, logistiche, culturali. Stanley Tucci, l’attore di Hollywood diventato ora gastronomo a Londra, ne fa una celebrazione perfino commovente in “Ci vuole gusto”, un capolavoro di memoria e di sapori. Attorno alla cucina familiare, materna, due volte al giorno - di una madre che pure lavora da segretaria ed è scrittrice in proprio, ma era nata a Cittanova, così era cresciuta, accudita, e così voleva i suoi figli.

 
E povera Milano
Nessun dubbio, nella querelle Caltagirone-Mediobanca, che il costruttore-editore romano menta. Menta per sfottere. Molto romano. Ma molto romano è anche il “concerto” Caltagirone con Enpam e Enasarco, i titpici “carrozzoni” capitolini. Per comprarsi, a prezzi di realizzo, l’Mps che nessuno vuole – voleva - e Mediobanca-cum-Generali. È bizzarro invece che “Milano” non regisca: i media, finanziari e non, gli investitori, i ricchi risparmiatori che Mediobanca gestisce. Per la sola ragione che la combine, per quanto romana e romanesca, è in realtà un disegno politico, della Lega.
C’è poco da fare – da capire: Milano è fatta così. Abile negli affari e imbelle in politica. Lo stesso nella vicenda – incredibile se non ci fosse stata e ci fosse – del golden power esercitato dalla Lega contro UniCredit e a favore dell’“affiliato” Bpm, che invece nelle more, sotto l’alta vigilanza leghista, si è targato francese. Un golden power esercitato contro un gruppo italiano e a favore di uno francese – nonché contro tutte le norme, italiane ed europee - è  una comica. Senza che Milano reagisca, non per indignarsi e nemmeno per ridere.
E che di più “romano” di due o tre “palazzinari” che si fanno tutti i grattacieli di Milano. Previo anticipo, a consegna ritardata. Questa sembra perfino inventata, ma è vera. Si dice sotto l’ombrello politico del Pd, ma è il solito papocchio destra-sinistra per me pari sono. In una città che assiste muta: non sa? non capisce? non vuole capire? E vota Lega – in una col suo mondo circostante, la Lombardia, se non più con Milano 1.
Milano è probabilmente “il” problema dell’Italia, più del Sud. Ricca, laboriosa, e imbelle. Incapace forse, sicuramente distratta – salvo poi lamentarsi. Era una città operaia, sotto e dietro le banche, è stata a lungo socialista, da Aniasi a Tognoli fino a Craxi, mezzo secolo, e contro la cattiva politica, e si è travasata nella Lega. Nel partito “di lotta e di governo”. In canottiera, anche un po’ usata, col  “ce l’ho duro”, i celti, le acque sante, e il matrimonio col mare – rivedere “Aprile” di Moretti diverte ma è un colpo al cuore, povera Venezia, ridotta a un fondale, da farsa.E povera Milano, di spirito e perfino ora d’intelligenza negli affari – Caltagirone a Milano è Aristofane puro. Senza un alito di vita, se non le Biennali e le Triennali che paga lo Stato.
 
Cronache della differenza: Puglia
Riccardo Muti, intervistato da Cappelli per il “Corriere della sera”, si professa napoletano. Come un altro grande pugliese, Arbore. Allo stesso modo come ci sono i pugliesi milanesi, Celentano, Abatantuono, etc. – o “siciliani”, come Modugno. La Puglia consente queste vestizioni.
 
Ma, poi, Muti non resiste a professarsi di Molfetta, “non solo di Molfetta, anche di Castel del Monte” – “in provincia di Andria” – di cui è stato fatto cittadino onorario. E anzi tra Molfetta e Castel del Monte s’è comprato “da un contadino un pezzo di terreno”, per la soddisfazione di farci l’olio: “Non si può parlare di Puglia senza parlare di olio”, fare l’olio per rivivere la Puglia.
 
Gallipoli è la spiaggia più costosa questa estate – dopo Alassio: 300 euro un ombrellone e due lettini, a settimana. Ma risulta avere un reddito medio di 18 mila euro, appena – quello dichiarato.
È la curiosa situazione della Puglia tutta, che risulta la penultima regione per reddito medio, con 18 mila euro – il reddito medio di chi fa la dichiarazione - ma è  la meglio messa, sotto ogni aspetto, di tutto il Sud.
 
In pochi anni la Puglia ha soppiantato la Toscana come resort d’attrazione per ricchi investimenti angloamericani – con appendici indiane, australiane, canadesi. Con investimenti, anche pubblici, soprattutto nel Salento, ma più coltivando l’immagine. Finanziando molti film, di genere controllato (niente mafie), e serie tv accattivanti. A cui ha fatto corrispondere, soprattutto nel privato, realtà più o meno adeguate all’immagine. Di un’intelligenza pragmatica, nel Sud fantasticante – dispersivo, velleitario.
 
Non si può dire – effetto scongiuro – ma da tempo ha superato il problema del “decollo” economico. Con un modello soft, senza più i grandi disegni industriali di Stato (di Aldo Moro protettore, con “manager” pugliesi, in genere avvocati, a capo di Enel, Eni, etc,), a Taranto o a Brindisi, dell’acciaio, la chimica, il carbone – il carbone…. Mettendo a frutto il tradizionale “levantinismo”, il genio degli affari. Restringendo o controllando l’area del malaffare. Il capitale accumulando saggiamente, per passi progressivi, senza svolazzi. Si direbbe un altro mondo.
 
Il turismo non è un settore economico difficile. La Puglia vi si è adattata, e ha puntato a quello qualificato, cioè danaroso. Offrendo servizi pregiati, immobiliari, ambientali, di servizio. Lo sviluppo non è impossibile, anzi richiede poco - applicazione.
 
A Foggia il reddito medio è di 14.554 euro, a Milano di “oltre 34 mila”, può calcolare Staglianò sul “Venerdì di Repubblica”. Ma i pacchi alimentari viaggiano da Sud al Nord. Per affetto, ma non solo. Il Sud è sempre sussistenza, il “volano” dello sviluppo fatica a scattare – il “reddito medio” di Foggia è quello delle Entrate, degli impiegati e i (pochi) operai “in regola”, non comprende le attività quotidiane (uno a Foggia non vive meno della metà di uno a Milano).


Camillo Langone, che da Parma scantona volentieri su Trani, nella “Preghiera” quotidiana sul “Foglio” se la prende col “caro Leonardo Caffo” di Catania che su Mow filosogeggia di un “presunto rinascimento meridionale” – “i giovani tornano al Sud non solo per il costo della vita più accessibile ma perché lì trovano autenticità”. Ma “dico io”, obietta Langone, “al Sud vedo piazze spelacchiate, marciapiedi a pezzi, supermercati più che a Nord e tanta voglia di guadagnare con poche possibiltià di riuscirci”. Se tutto questo vede a Trani, che è quasi Bari. Il bicchiere è anche   mezzo vuoto.

leuzzi@antiit.eu

Il Nietzsche dixit di Foucault

Non si parla qui di fascismo, il titolo è editoriale, il volumetto raccoglie cinque saggi sparsi, a partire dalla prefazione all’edizione americana dell’“Anti-Edipo” di Deleuze e Guattari, 1977 – forse il contributo più interessante – che metterebbero in guardia contro il fascismo che impregnerebbe tutti noi. Alla maniera di Foucault, questo è vero: come queste pratiche o abitudini o riflessi, di sopraffazioni e intolleranze si sono potuti formare nel vari campi del sapere attraverso le pratiche sociali.
Molto è su Nietzsche - e sull’“autorità” di Nietzsche. L’invenzione della religione, o la religione come invenzione - - è della religione come della poesia, non si sono create (Ursprung), ma sono state create (Erfindung). Da qui le “genealogie” foucaultiane. E si arriva a conclusioni di questo genere: “La conoscenza è stata dunque inventata. Dire che è stata inventata è dire che non ha origine.  È dire più precisamente, per paradossale che sia, che la conoscenza non è assolutamente inscritta nella natura umana”. E così via, di paradosso in paradosso – “la conoscenza”, per restare in argomento, “non costituisce affatto il più antico istinto dell’uomo o, inversamente, non c’è nel comportamento umano, negli appetiti umani, nell’istinto umano qualcosa che somiglia a un germe della conoscenza” (e dunque Foucault? un prodotto accademico, impegnato a risolvere la lettura del tedesco multiforme).
E così via - sempre con Nietzsche. Contro il soggetto. Contro Spinoza – quello che “se vogliamo comprendere le cose… è necessario che ci guardiamo dal ridere di esse, dal deplorarle e dal detestarle…Nietzsche dice che non solo questo non è vero, ma che aviane esattamente il contrario”, si conosce solo attraverso “il riso, il biasimo e l’odio”.  Le agudezas insomma non difettano.
Resta il problema del “fascismo” dei curatori, come prassi quotidiana, quasi una ananke. Come si può risolvere con Foucailt, che invece s’industria – in questi saggi, a prescindere dalla sua personale multiforme instancabile attività – a demolire il soggetto. Non io, dice umilmente, lo ha fatto la psicoanalisi. Cui però non si potrebbe imputare il contrario, non la demolizione del soggetto (quello lo fa, lo faceva, il confessore, nella liea cartesiana e pascaliana), ma la sua intronizzaazione – meglio se vacillante?
Un titolo civetta, per quattro saggi che individuano e spiegano il “mito di Foucault”. Con l’“Anti-Edipo” americano, testi di varia origine e natura. Riuniti con l’unico criterio della introvabilità. Scelti e curati, si suppone, dai traduttori, tutti foucaultiani: Alessandro Fontana, Agostino Petrillo, Mauro Bertani, Pier Aldo Rovatti, Deborah Borsa. Che Deborah Borsa introduce. Due testi del 1973: “La verità e le forme  giuridiche”, la prima di una serie di conferenze tenute all’università Cattolica di Rio de Janeiro nella primavera, e “Il potere psichiatrico”, un corso al Collège de France. Sempre al Collège de France una lezione del gennaio 1976, “Bisogna difendere la società”. E una lezione del 6 febbraio 1983, “Del governo dei viventi”.
Michel Foucault,
Introduzione alla vita non fascista, Feltrinelli, pp. 149 € 13
 

domenica 20 luglio 2025

Ombre - 783

E dunque il “Wall Street Journal” rivede al rialzo le previsioni di crescita dell’economia americana, e al ribasso quelle sull’inflazione –malgrado i dazi, o le minacce di dazi. E non è un calcolo di favore, poiché il giornale è ora il Grande Nemico di Trump. E non si calcola che il dollaro ha perso quel 13-15 per cento che Trump voleva. Si vuole Trump pazzo mentre la verità della cosa era lapalissiana alla partenza - perfino questo sito poteva registrarla:

http://www.antiit.com/2025/04/a-pechino-la-meta-del-debito-usa.html 

(tra i tanti riferimenti): bastava leggere il (non lungo) programma del presidente dei consiglieri economici di Trump, Stephen Miran.
 
Sarà un caso ma i giornali che più antagonizzano Meloni e il suo governo, “la Repubblica” e il “Corriere della sera”, all’improvviso apprezzano la riforma della giustizia targata Nordio. All’improvviso no, dopo la messa in stato d’accusa della giunta di Milano.
 
Nel 1995 la sentenza Bosman cambiò tutto, nel calcio da allora comandano i procuratori e i club più ricchi. Platini trent’anni ne era certo: “Sarà una rovina”. Non per i giuristi, che la imposero e la celebrano, come una misura “rivoluzionaria”. Il diritto si presume “cieco”, e invece è “barbaro”  - si fa con la forza.
 
Non pare vero al “Corriere della sera” di montare in prima, e per quattro lunghe pagine interne, il ricorso di Palermo alla Cassazione contro Salvini. Questione di irrilevanza assoluta, e di cui non interessa nulla a nessuno – se non che le anime candide dell’immigrazione da salvare sono diventate caute. Ma si può così subito declassare l’inchiesta contro la giunta Sala sul business immobiliare a Milano. E, indirettamente, dire non dicendolo la magistratura inaffidabile. 
 
La Procura di Palermo salta l’Appello confidando nella condanna di Salvini in Cassazione. I giudici si conoscono fra di loro, le correnti assicurano che i “percorsi” di giudizio siano garantiti. Altro che mafia.
 
I genitori di Cavallari, il carcerato in licenza laurea che si è reso latitante, patrigno e madre, che sono stati sicuramente complici della fuga, sia al pranzo di laurea che dopo, nei dieci giorni di latitanza-vacanza, pagata da loro con carta di credito, hanno criticato e criticano il giudice di sorveglianza e la direzione del carcere per non aver disposto la scorta al figlio e figliastro. Si può essere così spregiudicati? Impunemente - nessun favoreggiamento per loro, nessuna polizia li incolpa, nessun giudici li manda a processo. Se non c’è politica non c’è giustizia.
 
175 milioni Elkann, tassa di successione inevasa, 280 Pignataro, omessa denuncia dei redditi, quando vuole, il fisco si fa pagare, presto e bene. Perché lo vuole a intervalli? E con pochi personaggi – per lo più famosi: se non sono famosi non si tassano?
 
Il risentimento contro Elkann è comprensibile, che ha chiuso la storia di Torino, della Fiat, della Juventus, e forse anche della Ferrari. Dopo la fiammata Marchionne, con la Fiat acquirente in America e in Germania, nientedimeno (non ebbe la Opel per l’invidia tedesca contro l’Italia, preferirono la Francia e il ridimensionamento). Ma poi bisogna chiedersi perché in Europa si investe nell’auto in Spagna e in Inghilterra, oltre che in Polonia, Romania e Serbia, ma non in Italia. Neanche con gli “aiuti” del governo – i cinesi.
 
Se non che, fra un cosa e l’altra, Elkann e i suoi fratelli hanno versato al fisco almeno 1,2 miliardi -
 milione più milione meno. Di tasse dovute. Sempre per “accordo” – senza la perseguibilità, cioè - ma dopo accertamento. Su una semplice denuncia della madre. Non si può dire che il fisco non sia un signore, coi signori. Il fisco carogna è in virtù della famosa Riforma Visentini, 1974 - carogna solo col reddito fisso, spulcia, e punisce, i centesimi.

 
Vince Sinner e subito Kyrgios posta su X un asterisco, quello che si mette nelle vetrine dei titoli quando sono stati 
obliterati perché il vincitore non ne era degno. E per questo viene citato da tutti quelli che scrivono di Sinner. Per l'autortià di Kyrgios? Un tennista trentenne, australiano-greco-maltese (un tempo si diceva “levantino”), una ex “giovane promessa”,  che si mantiene a galla come il paguro, attaccandosi al più forte. Decisamente l’informazione si toglie il terreno sotto i piedi.

 
Eccesso strabiliante di borseggi e scippi per la calli e sui vaporetti di Venezia. A opera di rom,  minorenni e ragazze. Che hanno organizzazione tribale, e quindi basterebbe renderne responsabile il capo-clan per bloccare il borseggio – è possibile anche un intervento più radicale, obbligarlo a lasciare la città. Ma bisogna far finta che i rom non esistano.
 
I borseggi si moltiplicano anche a Roma (e a Milano, stando a “Striscia la notizia”), nelle stazioni e sui treni della metro quando sono affollati. Qui non di bambini, ma di adulte specialiste. Perché la legge Cartabia ha depenalizzato borseggi e scippi: non sono atti di violenza (sic!), si perseguono solo su denuncia. Una incredibile stupidaggine. Ma non si dice, perché Cartabia è tutti noi, giudice costituzionale eccetera – non doveva fare anche la presidente della Repubblica, la prima donna?  
 
Lnnedì, qualche minuto dopo che Bruxelles annuncia la bocciatura del golden power di Giorgetti contro UniCredit, “Il Sole 24 Ore” mette online  “Banco Bpm scala il listino”. Può essere, certo, contro la scalata di UniCredit su Bpm, e comunque in favore di Bpm francese, o leghista, o senese che sia, ma Bpm aveva già conosciuto di più che 10,4. Si dice una cosa per non dire (nascondere) quella vera.

Due-tre cose da dire di Israele

“Mattarella: colpire chi prega e chi ha fame genera odio”. Dice giusto il presidente della Repubblica.  Compresa la cura di non nominare l’esercito o il governo israeliani. È come un avvertimento da amico, il sionismo è una pietra d’inciampo difficile – da rispettare comunque.
 
Quale che sia la verità dello sterminio quotidiano dei palestinesi alle code per il cibo e l’acqua, fa senso che a sparare ad alzo zero sulla gente ammassata siano dei giovani, coscritti. E forse anche gli stessi ogni giorno, ad azionare voluttuosamente la mitragliatrice. Trenta-quaranta-cinquanta morti al giorno richiedono un buon quarto d’ora di fuoco – preparazione, mira, sostegno, ricarica, inceppamenti, eccetera.

Dell’esercito israeliano Noemi Di Segni, la presidente dell’Unione delle comunità ebraiche, nata e cresciuta in Israele, ricordava non molto tempo fa: “Da soldato in Israele ho respirato cultura, mai l’odio per l’altro”. Cosa è cambiato, solo il governo di Israele, la natura di Israele?


S’immagina senza difficoltà Netanyahu dare l’ordine, l’uomo non ha freni. Ma l’artiglieria, i carristi? L’imbarbarimento probabilmente è generale – anche nella diaspora, vedi l’insofferenza per preti, vescovi, cardinali, papi.
Nessuna artiglieria colpisce per caso un edificio visibile come s’immagina una chiesa. Meno che mai una artiglieria sperimentata dall’esercizio quotidiano, ormai da anni. È comunque impossibile se a tirare è un carro armato, che non deve fare “aggiustamento”, come il pezzo fisso o il semovente, non ha un obiettivo che non vede, colpisce a tiro fisso, senza traiettoria - ad
alzo zero tira anche lartiglieria, ma non è considerato esercizio onorevole, è da disperati o da cattivi. 


Si capisce la collera del pur mite papa, Netanyahu è notorio ipocrita. Non si tratta solo del tiro al bersaglio su palestinesi disarmati, solo affamati. Obbligare degli ebrei di venti anni a operare come i famigerati Einsatzkommandos è terrificante.

Frantumare l’individuo, il lungo potere maoista

“Nella primavera del 1967 la Rivoluzione Culturale era in Cina all’apogeo. In un centro di rieducazione per Famiglie del CCP, il partito Comunista Cinese, una “sessione di denunce” si concentrava sugli individui “neri” – quelli così etichettati intendendosi “cattivi elementi” in quella stagione politica maoista. Sei persone vennero denunciate quel giorno: cinque adulti e un adolescente, il figlio di XI Zhongxun (1913-2002), che era stato capo della propaganda e vice-primo ministro, prima di cadere vittima di una purga brutale”. Con prigione e confino, nel quadro della Rivoluzione Culturale maoista, governata dalle Guardie Rosse, e del programma di Ritorno alla Terra, o rieducazione politica.
Una storia a lieto fine di un regime comunista, che in genere non ne annovera – Mao “rieducava”, seppure col confino e la fatica (umiliazione) nei campi di lavoro, e non fucilava.
La prima vera biografia del presidente cinese – sembra strano ma è così. Thibault, corrispondente da Pechino, ne fa la recensione. La scena così prosegue: “L’umiliante berretto d'asino che è costretto a portare in testa perché suo padre è stato accusato di slealtà verso Mao è così pesante che il ragazzo tredicenne deve aiutarsi con le mani. Di fronte a lui l’assemblea, a pugni alzati, urla “abbasso Xi Jinping”. E sua madre non ha altra scelta che fare lo stesso”.
Il titolo di “Le  Monde” scimmiotta la Trinità, ma il comunismo cinese è qui per restare, sebbene solo come sistema di potere e non professare giustizia, eguaglianza, etc., sul vero principio maoista del potere: frantumare l’orgoglio, l’individuo. Con una dose notevole, si può aggiungere di nepotismo - non al livello del Nord Corea, ma solido: Xi Zhongsun, il papà, servi il Pcc per oltre settanta anni, collaboratore di Zhu Enlai e Hu Yaobang, i modernizzatori, creatore delle Zone Economiche Speciali, sostenitore della repressione a Tienanmen, ispiratore della linea dura contro le minoranze, tibetani e uiguri.. 
Harold Thibault, 
The father, the son and the Party, “Le Monde” (leggibile anche in francese, En  Chine, Xi le père, le fils e le Parti)