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lunedì 6 settembre 2010

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (67)

Giuseppe Leuzzi

Un deputato aborigeno è stato eletto in Australia a centodieci anni dalla Costituzione. Al Sud è andata meglio.

“Alcuni boss praticano regolarmente l’omosessualità”, assicura il Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Gratteri. Non ci lasciano scampo.

“È innegabile che gli arresti ci siano, ma la mafia se la ride”, aggiunge Gratteri. Dobbiamo dunque non arrestarli?

Lo stesso Procuratore aggiunto critica il papa: “Papa Ratzinger sta troppo zitto sulla mafia”. L’antimafia ha bisogno che se ne parli?

Però il dottor Gratteri ha perso una battuta, o i boss: quest’estate vanno i trans - fully functional, non opérés, assicura “Sette-Corriere della sera”.

Sempre il Nord si è incivilito al Sud, in Europa e anche in Asia nell’emisfero Nord (i mongoli in Cina),
Mentre il Sud s’incivilisce a Nord nell’emisfero Sud (in India, in Africa). La civiltà è un fatto di zone temperate?

Si bevono al Sud normalmente bottiglie degradate, vini inaciditi o liquorosi di annate vecchie. I produttori destinano al Sud le rimanenze, che dovrebbero ritirare dal mercato o liquidare a sconto. Al Sud le vendono a premio, come bottiglie d’annata. Al Sud, che il vino lo produce anche per il Nord, non c’è evidentemente neppure questa nozione semplice della cultura del vino: si pensa che un anno remoto sia indice d’invecchiamento, e quindi di qualità.

“Forza Inter” scritto a “Quelli che il calcio” pare che volesse dire: “Ammazza il tale”. Lo assicura un “pentito” che naturalmente è creduto. Ma la cosa non è inverosimile: Moratti e la sua squadra hanno qualcosa del killer.

Calabria
Si celebra “Reggio Capitale”, la rivolta di quarant’anni fa, con libro, dvd, convegni, seminari, manifesti, cerimonie diurne e notturne, una celebrazione favorita dal voto a destra della città nelle ultime due elezioni amministrative. Dal 1970 molto è cambiato: Reggio non è diventata capitale della Calabria ma sì la capitale della sua provincia. La provincia andava a Messina per gli studi, le cure mediche, gli acquisti, gli svaghi, ora tutto questo si fa a Reggio – solo il giornale resta ancora di Messina. Ma senza un progetto. Reggio non ha nessun collegamento con l’enorme ricchissima Piana di Gioia Tauro, che pure sarebbe facile da conquistare, coordinare, indirizzare, con i centri di sperimentazione agricole di cui la città (teoricamente) è dotata, l’informatizzazione, il marketing, la promozione commerciale, i controlli di qualità e garanzia, i consorzi di qualità. Né ha collegamenti col bacino ionico, un centinaio di km fino a Roccella Jonica di spiagge e di sole fruibili da marzo a ottobre. O col Parco dell’Aspromonte, il “bosco sul mare”, una miniera ancora intonsa. Come lo è la diffusa presenza di beni culturali di vario interesse nel territorio, tutti egualmente sconosciuti a Reggio – come del resto solitamente, nei luoghi di pertinenza, a parte i soliti imaginifici “professori”, gli unici cultori di storia locale.

La Calabria ha il record della spesa sanitaria pro capite, 3.100 euro l’anno, contro una media nazionale di 2.250 euro. E ha la sanità peggiore.
Un buon terzo della spesa (la differenza tra la spesa in Calabria e la media nazionale) va per ricoveri e interventi fuori regione.

La Calabria ha una gestione abbastanza oculata, anche se improvvida, della sanità, con 111 euro di sbilancio pro capite. Altre cinque regioni fanno peggio e molto peggio. Ma la sua sanità fa apparire la peggiore in Italia, e forse al mondo.

La scrittrice Angela Bubba lamenta sul “Sole” che si pubblichino “omogeneizzati spettrali, con gli ingredienti ben dosati e testati”. E porta a esempio “un tizio” che, alla sua intenzione di “esprimere un’altra nazione, un altro ambiente, una diversità”, gli ha obiettato: “Basta che non sia calabrese”. Ma è vero che ci vuole un minimo di appeal in ogni cosa, anche nelle diversità – non bisogna necessariamente essere simpatici, ma interessanti sì.

Le case tradizionali nei paesi di montagna in Calabria hanno stanze piccole, spesso con impiantiti in legno, a protezione dal freddo. Ora, grazie al riscaldamento, le cubature sono raddoppiate e triplicate: casone in cemento armato infilano stanze su stanze alte quattro metri, con ampie aperture. Ma il riscaldamento costa spese insostenibili.
Troppi soldi? È possibile: i consumo sono ostentati e suntuari, tanto più nel disordine urbanistico, che incupisce i segni esteriori della ricchezza, e la scontrosità sociale, se non l’asocialità.

È un mondo ricco, “oggettivamente”, che non ha nulla. Nemmeno i canti popolari. Nelle scampagnate e nei gruppi familiari si cantano le canzoni degli alpini, di Firenze, della Romagna, roba da militari con le servette. I matrimoni, l’unica funzione familiare residua, si fanno secondo un’etichetta “americana”, da emigrati. Con maestre di cerimonia. Abiti improbabili, di colore, taglio, tessuto, venduti come capi unici, di alta moda. Fuochi d’artificio. Tavolate milionarie. La tendenza a prolungare la festa per due, tre giorni..
La ricchezza è nella “testa”, come qui pure si dice.

La persistenza, che ne è il segno malgrado la malleabilità, e la pronta irriflessa adesione a tutto ciò che è nuovo e foresto, è una dote o un onere? Enst Jünger, “Entretiens” con J.Hervier, evoca il bisogno di precisione, di linea dritta nel ragionamento, per una sana argomentazione. Ma anche la ricchezza della plurivocità. Parlando bene una lingua “si guadagna sulla precisione delle parole, che sono più univoche, l’idea emerge con più nettezza. Ma la plurivocità è anche qualcosa d’importante nella lingua….”. La parlata calabrese, fatta anche di pause, silenzi, accenni di segni, Le “modulazioni poco percettibili ma estremamente significative” di Jünger , è una lingua a parte, non più in dialetto latino. Ardua da trascrivere in prosa, nessuno scrittore calabrese ci è riuscito. Né ci ha del resto mai provato, lo scrittore calabrese ambisce al riconoscimento nazionale, salvo Antonio Delfino. Pregnante, ma impreciso, E forse inconcludente.

È vero che la cifra espressiva locale, o linguaggio dominante, è il sarcasmo, verso di sé e il mondo.
In una serie numerosa e caratterizzante di scrittori, Delfino, Abate, Vollaro, Alberto Cavaliere, l’abate Conìa nel Settecento, Gian Lorenzo Cardone, autore dell’inno antiborbonico, “Il Te Deum dei calabresi”, il liberale Antonio Martino e il prete Vincenzo Padula, i primi pentiti dell’unità, e compreso, malgrado le sue intenzioni, Carmine Abate - solo escluso Alvaro. Non cinica, e semmai entusiasta, ma cattivissima.
Un altro filone etnico è la protesta, anarchica, anche violenta. Censita più spesso tra i “franchi narratori”, Luca Asprea (Carmine Ragno), Vincenzo Guerrazzi. Ma anche, a suo modo, di Leonida Repaci, e di Leonetti, Abate.
Quello che rimane, beninteso, tolte la bolsa retorica del conformismo risorgimentale e l’afflizione dei “vinti”.

leuzzi@antiit.eu

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