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sabato 11 settembre 2010

Un Ciancimino accusava il Pci e Andreotti

Un altro Ciancimino si era offerto “dichiarante” quindici anni fa, l’ex sindaco di Palermo e mafioso acclarato Vito, il padre di Massimo. La Procura di Palermo stava istruendo il processo a Andreotti, e l’ex sindaco fanfaniano faceva intravedere golosi scenari - il suo concorrente Lima, neo andreottiano, non potendo ribattere essendo stato assassinato. Merita rileggere quanto “don” Vito diceva, che il lettore non trova nel best-seller dall’omonimo titolo, un brano specialmente pregno nello stile:
“Il 30 aprile 1983 venne ucciso Pio La Torre. Se ne discusse anche negli ambienti politici della Dc, in occasione del congresso nazionale svoltosi al Palasport di Roma. Si diceva che era un delitto di mafia, ma con le illazioni contenute nell’istruttoria. C’erano (e lo ricordo nel mio libro-bozza) mormorii. Voce comune era che non fosse un delitto di mafia.
“A me personalmente i motivi per cui la mafia l’avrebbe ucciso sembravano banali. Riuscii a formulare una diversa ipotesi di matrice basandomi sul sentito dire e sulla considerazione che aveva molti più nemici dentro che fuori il partito. Era stato mandato in Sicilia in una maniera abnorme. Per bonificare il partito o si manda uno del posto gradito ai locali oppure uno di fuori: La Torre era del posto e qui aveva forti opposizioni interne. In sostanza mi sono convinto che la decisione di ucciderlo sia stata presa dal partito Comunista, cui non mancavano i mezzi per un’impresa del genere.
“Quando Dalla Chiesa venne ucciso subito si disse che era stata la mafia, ma i mormorii erano diversi. Dopo qualche tempo ebbi un incontro con Salvo Lima presente Nino Salvo. Non riesco a precisare meglio il momento di tale incontro, ma ricordo bene che ci fu un accenno specifico al Generale. Io dissi: ma se già era liquidato a tutti i livelli e lo sapevano anche le pietre perché ucciderlo? Lima, con gli occhi arrossati di odio, venendo meno al suo naturale riserbo, disse: «Per certi romani era più pericoloso da pensionato in malo modo che non da prefetto con poteri speciali». Lima proseguì dicendo: «Quelli che la piglieremo in culo saremo noi (intendeva noi siciliani) e chissà per quanto tempo». Nino Salvo assentiva col capo, anche lui con il viso stravolto. Cercai di dire qualche parola ma Lima mi interruppe e proseguì dicendo: «Questo e quello di qualche mese fa (intendeva La Torre) avranno un effetto devastante, molti di noi e la Sicilia continueranno a pagare prezzi di altri». Lima disse inoltre: «Molte cose sembrano fatte di no, e invece è sì; questo è sì e non solo questo».”
Il Procuratore capo di Palermo Caselli raccolse la dichiarazione, ma non ritenne di avvalersene (i verbali della dichiarazione furono resi pubblici da altri, probabilmente dai Ros dei CC). Caselli, “violantiano” di stretta osservanza, cioè Pci-pidiessino, voleva processare Andreotti ma non la politica di Andreotti . Le allusioni al caso La Torre, cioè a responsabilità del Pci nell’assassinio di La Torre, palesemente ricattatorie, erano peraltro risibili: don Vito non era scaltrito quanto il figlio Massimo – o quanto i referenti giudiziari del figlio (se non quanto i redattori della casa editrice Feltrinelli che ne hanno confezionato l’agiografia, a firma di Massimo e del giornalista La Licata).

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