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sabato 10 dicembre 2011

Letture - 79

letterautore

Baudelaire – Proust ne parla molto, in tanti articoli della raccolta “Contro Sainte-Beuve” e nella “Ricerca”, in Swann” e in “Guermantes”: come di “spirito svelto, scarnito di luoghi comuni e sentimenti di circostanza”, dotato di”asciuttezza voluta”, insofferente del “sentimentalismo verbale di un’epoca precedente”. Tutto in positivo, è Baudelaire tutto il moderno: la ferita nella Storia in pieno Ottocento positivista, ottimista, progressista
Proust che con Baudelaire condivide l’attrazione-avversione per l’omosessualità: l’uno voleva intitolare “Les Lesbiennes” i “Fiori del male”, l’altro “Sodoma e Gomorra” tutta la “Ricerca”.

Singolare aridità (cecità) di W.Benjamin su Baudelaire, nel saggio e nelle annotazioni (“Parco centrale”, anch’esse ricomprese in “Angelus Novus”) e ne “La Capitale del XIX secolo”: un “tipo traumatofilo”. In rispondenza all’analogo abbozzo di Valéry, cui Benjamin si rifà. Baudelaire non è Victor Hugo – dovrebbe? Benché “superiore a Barbier” (che in effetti è esistito, un poeta Auguste Barbier). Un saggio che per metà è tematico: la folla (Engels, Hugo, Hoffmann, Poe, Gogol, Marx, Valéry e James Ensor), il gioco (Alain, Börne, Gourdon, esiste pure un Gourdon, Anatole France e Senefelder), le corréspondances, le memorie involontarie, il tempo naturalmente, l’impotenza, il mercato (l’arte “inseparabile dall’utilità”, del più fervido e precoce wagneriano…), la prostituzione (sic!). E per metà è su Bergson e Proust.
Baudelaire Benjamin lega a Nietzsche (è eroico “quasi quanto Nietzsche”) e a Blanqui. Con un imperativo: “Mostrare energicamente come l’idea dell’eterno ritorno penetra quasi nello stesso tempo nel mondo di Baudelaire, di Blanqui e di Nietzsche.”

Dante – Propagandista relisioso? Secondo Salvemini sì, c’è anche questo Dante: “Quale libro più della “Divina Commedia” si presterebbe a un’opera di propaganda religiosa?” si chiede in “Che cos’è la laicità” (ora in “La sinistra e la questione meridionale”). E: “Dante stesso non la concepì come opera di propaganda religiosa?”

Italiano – È una lingua morta”, Stendhal lo scriveva nel 1831. Aggiungendo che non capiva come ci si potesse esercitare a fare gli scrittori. E riferiva che Colletta, un generale, si era recato a Firenze per trovarvi una lingua in cui potesse scrivere – Stendhal conosceva anche Manzoni, ma come poeta di inni e tragedie.
Ora non più, ma la sterilizzazione è durata secoli. Per lo stesso fenomeno che sterilizza tuttora lo scrittore (l’intellettuale) sulle cose del paese. Il rifiuto della realtà, del mondo.

Poe – Jettatore? “Recentemente”, notava C. Alvaro su “La Stampa il 19 luglio 1926, è stata affibbiata a Poe “la qualifica di jettatore”. Con qualche sospetto anche su Hoffmann. “A furia di pensare cose terribili, divennero essi stessi terribili”, conclude Alvaro. Una metamorfosi (una logica) molto poviana.

Politicamente corretto – Viene dagli Usa per una ragione: l’egualitarismo. La forma estrema di uguaglianza, del linguaggio, fino all’insignificanza. Orwell non ha immaginato tanto nel suo Stato perfettamente ugualitario. Se c’è un paese ugualitario questo sono gli Usa, sono spietati.

Proust - Ha vissuto fino alla maturità, se non all’anzianità, autore di un epistolario in 28 volumi. Ed è stato dentro una guerra, combattuta per anni alle porte di Parigi. Non senza tracce. Che solo Ingeborg Bachmann rileva (“Il dicibile e l’indicibile”). Così come il fatto autobiografico, in tutti i romanzi della “Ricerca”. Bachmann ne fa Charlus, che forse è riduttivo. Ma in quanto homme traqué – tragico.
La maturità e la guerra in Proust, che soggetto.

Ha una nozione dell’amore che, approssimandolo all’onanismo, è come se lo condannasse a priori all’insoddisfazione. Proust vuole innovare l’amore, rispetto alle formule ripetitive del secolo romantico. E ne fa la cronologia: il colpo di fulmine, la cristallizzazione, l’indifferenza, l’abbandono. Ma in una prospettiva egotista: non sono lei o lui a determinare la qualità della passione, la sua forza, la sua durata, quanto invece la personale posizione o condizione del soggetto, il suo “piacere”. Che forse non è sbagliato ma non è nuovo, è Stendhal – sia la cronologia che l’egotismo. A opera di uno scrittore però che, a differenza di Stendhal, non è cool, e anzi fin troppo (romanticamente?) sensibile.
In un annotazione rivelatrice ripresa da Maurois in “Alla ricerca di Marcel Proust” Proust confina l’amore al “capriccio di un minuto”. Solo agli amori omosessuali riserva, come se fossero desessuati, il senso di ritrovamento che viene da lontano e il possibile appagamento (“l’essere che viene verso di loro arriva da molto più lontano che dal momento presente; era fidanzato con loro già dall’infanzia; apparteneva loro già prima di nascere…”). Degli amori omosessuali infelici e causa d’infelicità scrivendo poi le migliaia di pagine della “Ricerca” (originariamente da titolarsi “Sodoma e Gomorra”).
È così che alla fine tutti coloro che amano, in Proust, amano persone che non ne sono degne, Albertine per tutte. L’amore finisce infelice per definizione, come ogni passione, ogni forza che il dandy non domini, ed è inevitabilmente una sorta di suk dell’inganno, della delusione, fonte di angosce e pene. Finché il dandy non subentra con la sua arte dell’oblio, della memoria cioè selettiva più che involontaria, e la storia può ricominciare. Non un granché, rispetto alle mamme, e anche alle zie.

letterautore@antiit.eu

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