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sabato 11 febbraio 2012

Letture - 86

letterautore

Dante – “Lo schema dell’Inferno dantesco è un elemento comico: ed è quindi esplicito e dichiarato: né più né meno che come succederebbe in un avanspettacolo”. Pasolini tentò più volte di rifare la “Divina Commedia”. Gli ultimi tentativi sono stati raccolti postumi in “La divina Mimesis”, materiali inerti sul linguaggio. In precedenza, 1960, Pasolini aveva tentato di mandare all’“Inferno”, guidata da Dante, una prostituta, che aveva letto la “Commedia” a fumetti, sotto il titolo “La mortaccia”. Poche pagine false, di romanesco di borgata, da immigrati recenti, mescolato alla Crusca – “un pastiche linguistico”, secondo l’autore. Pasolini dice, non volendolo, perché non poteva funzionare a un lettore della sua rubrica “Dialoghi” sul settimanale “Vie Nuove” il 3 dicembre 1960 (ora in “Le belle bandiere”, p. 88): “Quello che a me interessa soprattutto è usare l’Inferno dantesco per dare un giudizio, storicamente oggettivo, e una diagnosi, marxisticamente esatta, della nostra società” – oggettivo, esatto e marxista, quale non è mai stato. Aveva preò un approccio comico alla sua “Commedia”: il Paradiso, spiega, non c’è, è in costruzione. Anzi, è conteso tra due progetti, uno neo-capitalistico e uno marxista.

Molteplice lo dice Boccaccio già nella prima “Vita”: “Alcuni il chiamarono sempre poeta, altri filosofo, e molti teolago, mentre visse”.

È americano, nero e bianco. Oggetto di appassionate dispute tra dantisti. Una di esse fa pure la trama di un giallo di successo, “Il circolo Dante”, a opera di uno studioso di letterature comparate, Matthew Pearl.

Non poteva mancare Beatrice uomo. Ma si deve a Charles S. Singleton, il dantista forse maggiore negli Usa, che ipotizza la presenza del Cristo nella “Commedia” (come potrebbe farne a meno?) in figura di Beatrice, poiché ne esplica le stesse funzioni. Di redenzione. Nel peraltro classico “Journey to Beatrice”, la “Commedia” come viaggio alla ricerca di Beatrice.
Questo spiegherebbe meglio la virulenza (mascolinità) dell’angelica donna.

Fascismo – Pound è “fascista e traditore della patria”(Pasolini). Anche Céline. Indubbiamente. Ma questo è un problema: perché sono integri (onesti) e generosi, e sono anche “giusti”. In questo diversi da Brecht, che fu comunista e antitedesco (da “sinistra” e da “destra”), ma era cinico e opportunista, ancorché “allegro”.
Avranno anche i fascisti il dono che, secondo Salinari, Marx e Engels riconoscono all’autore: “Uno scrittore che professa un’ideologia reazionaria può arrivare a un risultato poetico elevatissimo, e perciò progressivo”. In termini di ideologia. E di verità?

Italiano – Dionisotti, “Geografia e storia della letteratura”, così rappresenta l’Italia unita (13): al fondo il nobile castello della meridionale “Storia” del De Sanctis, con tutt’intorno le modeste casette della meridionale crociana “Letteratura della Nuova Italia”.
Lo stesso Dionisotti dice poco dopo (27) l’Italia una nozione letteraria, in senso diminutivo. Ma non è l’unità di lingua e di scrittura, di “discorso”, la più vera?
Successivamente (38 segg.), agli inizi della sua “Geografia”, stabilisce “la preminenza veneta sulla letteratura toscana del Cinquecento”, e afferma che tardi il toscano diventa la lingua, malgrado una “colonizzazione toscana attivissima nella vita economica e civile”. E malgrado la “subitanea, vastissima, diffusione” della Commedia”. Ma come può essere il poema a sé stante, fuori dal disegno unitario della lingua e della storia?

Neo realismo – Contro Cassola Pasolini scrisse, recitò per vari pubblici, e pubblicò nel 1960 una lunga satira al “modo di Antonio” del “Giulio Cesare” – “un amaro scherzo shakespeariano” - in forma cioè di elogio funebre. Cassola è il “neo purista” che decreta la fine dei dialetti, che fa questo, che fa quello, e ogni volta se lo può permettere perché “certo Cassola è un rispettabile scrittore”. Uno scrittore di cui tutto si può dire ma non che non fosse onesto, o corretto: scriveva come pensava.
Lo steso Cassola su “Vie Nuove”, riprendendo il tema nei suoi “Dialoghi” con i lettori il 23 luglio 1960 (ora in “Le belle bandiere”), Pasolini dice di avere “sempre stimato non molto, moltissimo” e di averlo sempre letto “sin dal suo primo libro”. Cassola gli è odioso in quanto socialista: “I neo-puristi, i socialisti bianchi\ - benvisti in Vaticano -…” è l’ultimo insulto.

Al “realismo” Pasolini ascrive Gadda, Moravia, Bassani, Carlo Levi, Morante, e il Calvino della trilogia fiabesca. Aveva del resto debuttato nel 1955 su “Officina”, coi compagni di scuola Leonetti e Roversi, criticando il neo realismo. Ora vuole il neo realismo come “strada italiana dell’impegno” politico, quale che sia la scrittura. Uno o due anni dopo lo stesso Pasolini sarà bersaglio del Gruppo 63, con Cassola e Bassani.

Al meglio è la proposta di singolarità e novità (personaggi, ambienti, psicologie, fatti e azioni), anche se già largamente dickensiane, zoliane, veriste (da Verga a Alvaro). Riproposta dalla “linea culturale” del Pci nel dopoguerra, in ritardo di un paio di decenni su Stalin, che ne aveva fatto bandiera Gor’kij, il quale invece l’aborriva, e l’aveva imposto come “linea” – con lo stesso Gor’kij alla presidenza dell’Unione degli scrittori che fece appositamente costituire nel 1935.

Calvino, che non ci credeva né come autore né come editore (come mercato), ne fa la sua vena principale, anche della sua “fase fantastico-allegorica” (nella prima, poiché ne ebbe una seconda, ancora più consistente, a partire dalle storie di “Marcovaldo”, 1958, compresa la stessa “Giornata di uno scrutatore”, 1963. Lo fece mettendo insieme nel 1960 i tre racconti fantastici sotto il titolo “I nostri antenati” e premettendovi un’introduzione che è un atto di contrizione – tra Budapest e Praga ancora usava. Del Visconte, il Barone e il Cavaliere, nominandoli “antenati”, fece allegorie della modernità…

Pasolini - “Mio padre in gioventù è stato molto ricco”
sarà il verso migliore di Pasolini,
scattante, sonoro, e perfino veritiero,
chissà, questo poeta ha imbrogliato
molte carte, malato di opportunismo
nella indignazione incessante,
che fu la sua condanna ed è la nostra
di noi che gli vogliamo bene,
un nemico inventando a ogni passo
il quale non è che il (suo) senso di colpa
- “lavoro tutto il giorno, quando non lavoro
sto solo”. Oh sole solitario!

letterautore@antiit.eu

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