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sabato 24 marzo 2012

Il mondo com'è - 88

astolfo

Computer - La prima donna della storia del computer, e anche il primo uomo, il primo ideatore, è Ada Augusta Byron. A lei si deve l’idea che un computer deve essere programmabile, dice l’enciclopedia. Augusta Ada King, contessa di Lovelace (1815-1852), nata Augusta Ada Byron, figlia del poeta Lord Byron, fu nella sua breve vita molte cose, ma soprattutto la prima programmatrice di computer. Forse in reazione al letteratissimo padre, che l’abbandonò quando aveva un mese e morì quando aveva nove anni, sviluppò da adulta un forte interesse per la matematica, che invece era la passione della madre ripudiata, Anne Isabella “Annabella” Millbanke. Traducendo nel 1843 un articolo di Luigi Menabrea sul “motore analitico” di Charles Babbage, Ada lo arricchì di una serie di note, tra le quali il primo algoritmo inteso a far funzionare una macchina. Cioè il primo programma di un computer. Al quale peraltro, nelle stesse note, predisse la possibilità di un uso più esteso che le quattro operazioni aritmetiche.
Luigi Menabrea, allora trentatreenne, è lo stesso Federico Luigi Menabrea che sarà generale e presidente del consiglio di Vittorio Emanuele II dopo Rattazzi, il terzo dell’Italia unita, primo conte Menabrea, primo marchese di Valdora. Savoiardo di Chambéry, si era laureato ingegnere a Torino, con dottorato in matematica applicata.
Ada fu chiamata alla nascita Augusta in onore della sorellastra di Byron, Augusta Byron Leigh. Nata dall primo matrimonio di John “Mad Jack” Byron, il padre del poeta, con la bella marchesa di Carmarthen. Augusta sarà la corrispondente privilegiata del giovane fratellastro, al quale aveva dato una figlia, incurante dell’incesto e in costanza di matrimonio col cugino George Leigh che non amava, scudiero del principe di Galles - la terza di sette figli.

Internet – Si colloca in Borsa Facebook. Per un fantastiliardo. Si vendono cioè i desideri e le fantasie di alcuni miliardi di persone. Che possiamo giudicare, e sono, modesti, ma sarebbero “proprietà privata”.
Il conto si fa presto: Facebook documenta 845 milioni di utenti. Che però hanno appendici occasionali, la cifrar si può tranquillamente raddoppiare. Triplicare se per ogni utente si calcola un familiare - la vetrina è individuale, ma anche il popolo di Facebook possiede famiglia, sia pure in idea.

È un’aggiunta. È anche un cambiamento d’aria: di psicologia, mentalità, forme di apprendimento, cultura? Sì e no, come in ogni cambiamento, ma più forte di tanti altri. Forse anche una rivoluzione ma non un rovesciamento.
Drammatico è stato il balzo per quanto concerne l’accumulo, nella categoria degli Acp di Maria Laura Rodotà (“Style”, 5 maggio 2011, 49), gli Accumulatori culturali pirla. Quelli che sempre immagazzinano, letture sempre trascendentali e materiali, che mai leggeranno o useranno. A questa accumulazione internet, le reti sociali, i lettori elettronici, così versatili, hanno sicuramente impresso un’accelerazione, un rigonfiamento fino all’ipertrofia - restringendo o allontanando quella che Rodotà vagheggia come concentrazione, o capacità di riflessione.
È vero che le biblioteche di filosofi molto saggi potevano comprendere pochi libri. Ma l’accumulo, di libri e link è altra cosa che la saggezza. È però solo vero che Einstein non si sarebbe perduto dietro calcoli a cascata al computer, come non si perse dietro gli scaffali.

Privato politico – È la politica della castrazione. Il privato politico fu di moda a Berlino nel 1790, l’anno dopo la Rivoluzione. Un privato sterile, da intrattenitrici che promettevano più di quanto sapevano dare, Bettina, Caroline, Rahel, Henriette, o fantasticare. Il desiderio è dei poveri, insegnava Bramieri, il ricco non ne ha bisogno, né il potente.
Il privato politico è la rinuncia alla politica, e la rinuncia al privato. E questo è Brecht, "Tamburi nella notte". È il totalitarismo, nel terribile "1984" e non solo. O è la politica che è privata?
La politica in camera da letto sarebbe ottimo tema, le “posizioni” della politica.

Questione morale – L’ha inventata e imposta al giornalismo Felice Cavallotti. Adolescente fra i Mille, Cavallotti sostenne 32 duelli, prima di quello fatale nel 1898. Roba da cow boy. Da “Sfida all’O. K. Corral” al meglio.

Widerstand (resistenza) 3 – La repubblica di Weimar fu avversata dai protestanti più che dai cattolici, già spogliati dal Kulturkampf di Bismarck: la repubblica ne ridusse le chiese a enti di diritto pubblico, uno dei tanti. Mentre i Deutsche Kristen volevano, e vogliono, una chiesa “ariana”.
La giusta misura è tra resistenza e resa, scrisse il pastore Bonhöffer prima dell’esecuzione. È la divisa del prete, forse sbagliata: la chiesa deve resistere sempre, perché sempre la perseguitano – Cristo si fece crocifiggere.

Rudolf von Scheliha, giustiziato nella retata dell’Orchestra Rossa a fine ‘42, era uscito con varie onorificenze da Verdun nel ‘17 ed era entrato dopo la guerra nel gruppo combattente Saxo-Borussia, in difesa dell’Alta Slesia. In diplomazia a venticinque anni nel ’22, fu in missione a Praga, in Turchia e in Polonia, dapprima console a Katowice, quindi all’ambasciata a Varsavia. Era stato dal ‘33 anche membro attivo del partito Nazista, benché contrario all’antisemitismo. Allo scoppio della guerra, richiamato a Berlino alla Propaganda del ministero degli Esteri, fece filtrare all’estero informazioni su quella che sarebbe stata la Soluzione Finale, e agevolò la fuga di ebrei e polacchi, in contatto col vescovo di Berlino von Preysing, che nel ‘38 aveva creato un’Organizzazione di sostegno per i cattolici non “ariani”, e anche per i non battezzati. Corroborati i sospetti sui lager da quanto vide in missione in Olanda nel maggio ‘40, von Scheliha uscì dall’opposizione solitaria e aderì al gruppo di Henning von Tresckow. Il colonnello von Tresckow, uno dei tanti ufficiali superiori ostili a Hitler, sarà scoperto e giustiziato dopo l’attentato del ‘44. Von Scheliha, arrestato il 29 ottobre con la moglie, poi liberata, fu impiccato il 22 dicembre.

L’opposizione in Germania è stata per quasi un secolo prevalentemente contro il bolscevismo. Già prima di Hitler, nella Repubblica di Wiemar, e ancora a lun go dopo la guerra, nella Repubblica Federale di Bonn fino alla riunificazione. Molto sentita tra i più giovani, più spesso adolescenti. Ma fu ampia anche contro Hitler. Nei numeri se non nell’efficacia politica.
L’opposizione antinazista si tace in Germania di fronte all’interesse nazionale - la patria in pericolo, la guerra, il sovietismo. Ma il numero dei perseguitati politici nei lager fino al 1940, e anche durante la guerra, approssima le cinquantamila unità. Un numero da sommare ai tanti emigrati volontari, uomini di lettere e di pensiero ma anche persone comuni. Singolarmente assenti in guerra. Ma non contro Hitler. Che fu segno di attentati veri, e bene organizzati. In reazione ai quali volle circa diecimila vittime.

Si dice che i tedeschi obbediscono e basta. Ma almeno centomila si ribellarono a Hitler in guerra, non tutti renitenti, una buona metà si batté con la Resistenza in Grecia e Jugoslavia, qualcuno all’Est. E c’erano, ancora in guerra, diecimila obiettori di coscienza. Addetti ai lavori manuali, ma nutriti adeguatamente e liberi in caserma.
In Italia non si può dire, ma la presenza tedesca nella Resistenza “ha raggiunto dimensioni ragguardevoli”, dice lo storico Battaglia: “In tutte le regioni del Nord, senza eccezioni, è dimostrata la presenza di tedeschi nelle principali formazioni partigiane” - lo disse quarant’ani fa, in tedesco, in convegno, a Vienna. A Civitella d’Arezzo, tristemente nota per le rappresaglie naziste, la polizia tedesca ha contato 721 diserzioni nel solo luglio ‘44.

astolfo@antiit.eu

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