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lunedì 19 marzo 2012

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (121)

Giuseppe Leuzzi

Gombrich, “Del mio tempo (p.65), cita un detto austriaco: “Non dico nulla, né in un senso né in un altro, perché nessuno dica che io ho detto qualcosa, in un senso o nell’altro”. L’omertà, come concetto se non come fatto, è stata importata al Sud. Dai Carabinieri: è sociologia di caserma.
L’omertà non è meridionale. Ovvero: i meridionali sono omertosi per essere paurosi, non per essere violenti. Quando sono violenti, nelle faide, le vendette dei pentiti, i dispetti di mafia, non si nascondono.
La violenza si diffonde al Sud perché vi è diffusa la paura, nei secoli interiorizzata, e quindi spesso viltà.

Cassirer, “Il mito dello Stato” (p.482), minimizza: “Nelle società in cui la vendetta di sangue costituisce uno degli obblighi più alti, non è necessario vendicarsi sopra lo stesso uccisore. Basta uccidere i componenti della sua famiglia o della sua tribù. Nella Nuova Guinea e fra i Somali dell’Africa quello he viene ucciso è il fratello maggiore, a preferenza dello stesso colpevole”.
Non siamo unici neanche nel male.

L’unità
Si chiude in sordina il centocinquantenario dell’unità. Che, se un bilancio si può farne, è: l’Italia non è una nazione – con buona volontà, perché nemmeno questo si dice più: non si dice niente, sono annichilite anche le velleità. Niente celebrazioni, niente consuntivi, che la ricorrenza non ha gradito, esauritasi nella fiammata tricolore della giornata d’apertura. Con un governo di pietra, seppure d’emergenza, di tecnocrati induriti. Segno tangibile della mancata unità, della mancanza di una sentimento nazionale: di un comune destino e un comune intendimento, pur nelle divisioni. Quale è delle nazioni solide, la Francia, l’Inghilterra, gli Usa, e più nella disgrazia, la Germania. Anche l’emergenza, ripiego ricorrente che l’Italia impone al paese, è segno evidente della mancata unità nazionale: surrettizia, volgare, antidemocratica. I tirannelli sono ora intellettuali (giornalisti, esperti, politicanti), ma questo è peggio: reazionaria è pure l’intelligenza.
Non si saprebbe apprezzare abbastanza l’Italia, questo sito scriveva un anno fa, che è stata la consolazione dell’Ottocento:
http://www.antiit.com/2011/03/litalia-unita-consolazione-delleuropa.html
Ma un anno dopo l’unificazione l’Italia unita era in guerra contro il Sud, e ancora non ha finito.
L’unità d’Italia era stata la rivoluzione dell’Europa. Al tirare delle somme, anzi, l’unica rivoluzione dell’Ottocento. Ma non era quello che sembrò. Se dopo pochi mesi occupava in armi la metà del paese: una vera occupazione militare, con coprifuoco, stato d’assedio, esecuzioni. Rivelandosi presto per quello che era: l’espansione del regno di Sardegna. Non più lungimirante, morto Cavour. Protetta dalle Potenze – la prima “spedizione dei Mille”, quella dei “trecento giovani e forti” di Pisacane tre anni prima, era semplicemente fallita, mancando le coperture.

Si dice Sacco di Roma e s’intende quello del 1527. Che invece fu riparato: si ricomprarono gli arredi saccheggiati e si restaurarono i fabbricati danneggiati. In subordine, Cederna diceva sacco di Roma la costruzione dei quartieri popolari nel dopoguerra lungo le vie consolari di Sud Est, Appia, Tuscolana, Casilina, Tirburtina. Mentre il vero sacco di Roma, ancora visibile e incancellabile, è quello “piemontese” di Roma Capitale, successivo a Porta Pia. La Roma delle Mura Aureliane, che era bellissima e gioiello di urbanistca, fu sventrata per il business immobiliare, dei nuovi “banchieri”, gli affaristi venuti di Toscana, Lombardia, Piemonte, che ne saccheggiarono vile e palazzi, la riempirono di monumenti immondi, sempre nella corruttela, e ne disegnarono male pure gli assi viari. Attorno al Quirinale e al Gianicolo. Con l’esclusivo fine di costruirvi i loro palazzoni. Sole le mura del Tevere hanno una logica e anche un’estetica.
Si dice la Roma di Pio IX una città addormentata, provinciale, fuori del mondo. Per l’anticlericalismo che l’unità realizzò. Trascurando che fu lo stesso pio IX ad avviare l’unità. Su basi meno divisive di come poi s’è realizzata. E che Roma era, come è, città industre e bene amministrata. Con problemi, certo, ma la meglio amministrata d’Italia. Al confronto con Firenze per esempio, allora e oggi, con Milano, con Torino, per non dire con Napoli e Genova.

Breve storia del Nord - 2
Il Nord è nella Bibbia il luogo del male: “Dal settentrione soffierà la sciagura sopra tutti gli abitanti della terra”. Non per scristianizzare il mondo, giacché di Cristo fa variate sociologie, ma per disincantarlo, alla Weber. Non c’è musica nel suo mondo, se non arida matematica, né ritmo nel tempo, non c’è diletto se non nell’orgasmo, né corpo se non avariato. E come misurare l’uomo, con che metro? Dal Nord vengono Gog e Magog. I ragazzi non sono cavalieri, non pagano al bar. E non parlano, né prima né dopo, per questo le ragazze fuggono nel Mediterraneo. E non è vero che il Nord è più alto: ci sono più giocatori di basket in Grecia che in Scandinavia. Per non dire dei tedeschi di Hitler nelle foto: visi topini, occhiali, gambette, spalle strette, gli eletti hanno denti guasti, pance larghe, cappotti a botte per nulla eleganti, avevano freddo perfino a Roma.
È così che l’Europa è passata a Odino. Ai popoli di Odino, che dall’Asia, dove regnava sul Ponto Eusino, l’hanno seguito in Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia - in Finlandia no - e nel Vinland. Negli Usa cioè, che ai vichinghi prospettarono burloni e gesuiti. E ai regni che Odino assegnò ai figli: Russia, Sassonia, Westfalia. La storia viene dal Nord, con Eric il Rosso che scoprì la vela, e le sei tonnellate d’oro e argento dai vichinghi estorte ai parigini nell’845. Inizia dalla fine: Odino ha un palazzo di ombre, i morti ripetono le attività svolte in vita, dove i vivi sono dunque morti. Il Nord suona il corno e medita, nella Seconda sinfonia e nel Nordisches Lied di Schumann. Anche esporre le lenzuola in segno di lutto è uso nordico, fu portato al Sud da Arminio e Dorotea con Goethe.

Milano
Possibile che Belsito non sia un meridionale, un imbroglione nato? La colonna del “Corriere della sera”, Gian Antonio Stella, è sinceramente dispiaciuto domenica 26 febbraio, nel pieno dello scandalo per i rimborsi elettorali investiti in Tanzania, che l’amministratore della Lega, un ex autista, sia un “taroccatore” – che vuole dire imbroglione, uno del Nord tarocca e non imbroglia.

Milano tace. Osserva. Si riserva. Ma tutto controlla, nel parlamento e nell’antiparlamento, nella politica e nell’antipolitica, nella moralità e nell’immoralità. Non vuole perdersi nulla, ma nulla concede: non è buona tiranna?

È il porto dei siciliani silenziosi, dei napoletani taciturni – ce ne sono. Cuccia, Sindona, Virgillito, Ligresti, i prefetti, burocrati delle tenebre, qualche giudice. Ma fino a che rendono, poi li butta via. Ci provarono anche con Cuccia. Oppure finché non diventano concorrenti: i cavalieri dell’edilizia li spazzarono via con la mano sinistra, anche se a opera di volenterosi giudici siciliani: tutti avevano tra i dipendenti un lontano parente di un mafioso.
Michelangelo Virgillito era un muratore che vinceva in Borsa, con l’aiuto pare della Madonna di Paternò, provincia di Catania. Allievo di Attilio Marzollo da Vicenza, il commissionario che sparì con la grana e fa ancora impazzire Milano, d’invidia.

Milano, scrive Eric Ambler nel suo romanzo ambrosiano d’anteguerra, “è né più né meno che una versione italiana di Birmingham”. Sapere com’è Birmigham non è dato, Milano dovrebbe essere meglio, è il posto più ricco in Europa. Ma Ambler ne fa pure il centro della corruzione, e questo non è contestabile.

Bocciò “La dolce vita” alla prima uscita. Al cinema Capitol il pubblico milanese rumoreggiò, fischiò, e spintonò Fellini all’uscita. Poi vennero Roma, Cannes, l’America e il trionfo – che Milano osannò.
La prima si proiettava a Milano perché il produttore era Angelo Rizzoli. Un milanese diverso, socialista, cresciuto all’orfanotrofio.

Stendhal ci trovava l’amore. In una città popolare, vorace. Ma dov’è ora il popolo? O Milano ha stomaci di ferro?

Fece Mussolini e lo disfece, uccidendolo. Poi fece il terrorismo e lo disfece. Poi disfece la politica che l’Italia del dopoguerra era riuscita a tessere. Milano sempre vuole fare fuori qualcuno, ora Bossi e Berlusconi, dopo averceli imposti.
Fu nemica feroce perfino del centro-sinistra, che non voleva niente – una ricerca casuale sul “Corriere della sera” degli anni 1958-63 è orripilante.

Città d’integralismo, laico e confessionale. Entrambi acquisitivi e sempre indulgenti con se stessi. Perché la Controriforma vi ha inciso con la radicalità (self-righteousness) della Riforma. Laico naturalmente nel senso di predone.
Fa ogni anno a sant’Ambrogio la sfilata della ricchezza alla Scala. Usanza unica al mondo.

leuzzi@antiit.eu

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