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giovedì 19 luglio 2012

La simulazione è islamica

Avviene ora in Siria come già in Egitto, Tunisia e Libia: i rivoltosi non si dichiarano. Fanno appello alle organizzazioni internazionali e umanitarie in nome dei diritti politici e civili, ma senza alcun impegno e senza neanche dichiarare per conto di quali principi o organizzazioni si battono. Tutti peraltro, in ognuno dei paesi della “primavera” araba, ben dotati di soldi, armamenti e organizzazione. Si suppone, si sa in realtà, da parte dell’Arabia Saudita e quindi degli Usa, ma non si dice. Salvo poi manifestarsi, in Tunisia, Egitto e Libia, emanazioni di un islam sunnita, ovunque retrogrado e talvolta reazionario.
Questo islam si presenta moderato nelle questioni internazionali. E in questa chiave si sarebbe guadagnato la benevolenza Usa. Ma con eccezioni: dove gli Usa si sono illusi di poter imporre il rinnovamento sulla base dei diritti politici e civili, in Afghanistan e Iraq, questo stesso islam è stato violentemente americano. Ciò cera la maggiore incertezza oggi fra le diplomazie: che ne sarà di Israele in un mondo arabo dominato dalle forze islamiche.
La taqyiah, la dissimulazione, è centrale nell’arte politica araba e anche nella religione islamica: è possibile e anzi è consigliabile dissimulare per il bene della causa islamica. Mediata dal cosiddetto levantinismo, e di esso ora parte costituente e anzi preponderante – il levantinismo era legato alla presenza cristiano-ortodossa nel Medio Oriente, greca, libanese, copta, che ora si può dire cancellata.
La taqyiah è stata studiata in epoca recente negli Usa, in numerosi studi a partire dagli ultimi anni 1960. Pochi anni prima che si avviasse la controrivoluzione islamica, allora antisovietica, in Pakistan prima e poi in Iran (contro lo scià) e in Afghanistan.

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