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mercoledì 9 gennaio 2013

La santa dell’eugenetica, criminale

“Volevo un mondo sicuro per i bambini” (p.194). Che una ricerca governativa faceva dipendere dal reddito domestico, dall’intervallo fra le gravidanze, dal numero dei parti – 32 secondogeniti su 100 morivano, 60 su 100 se dodicesimogeniti. Erano gli anni della prima guerra mondiale, negli Usa.
L’eugenetica fu semplice e bella anche per Margaret Sanger. Che Charles Davenport, genetista, aveva divisato a fine Ottocento, per una società in cui “innamorarsi con intelligenza”, niente di più. Ma gli amori intelligenti Davenport riuscì a  immaginare solo tra partner astemi, danarosi e nordici. Margaret Sanger, che gli subentrò nell’impegno, li praticò personalmente a partire da Havelock Ellis, il sessuologo. Al quale si legò una volta libera dal secondo matrimonio con tre figli - dopo il primo di prova contratto a diciott’anni. Si fece patrona degli immigrati, contro lo stesso Davenport  che non li voleva di razza latina o balcanica, meno che mai asiatica, e quelli che c’erano voleva sterilizzati. E distribuì personalmente profilattici gratis nei quartieri poveri di New York. Nel controllo delle nascite individuando anche il nodo della liberazione della donna.
Si espongono o uccidono le bambine, Margaret spiegò nel 1920 in “Woman and the New Race”, in India e Cina, a iniziativa delle stesse madri. Come già a Sparta, dove le donne, possedendo i due quinti della terra, controllavano la famiglia e l’infanticidio selettivo. In Germania la pratica fu tanto diffusa che “un solo principe ebbe a condannare ventimila donne a morte per infanticidio”, e un decreto del 1532 dovette comminare a scopo dissuasivo pene quali l’impalamento, la sepoltura da vivi, l’annegamento in un sacco con un serpente, un cane e un gatto. In Italia per ogni 100 uomini infanticidi Margaret registrava 477 donne – senza contare che l’uomo “di solito lo fa istigato dalla donna”.
L’aborto selettivo surroga oggi l’infanticidio, con effetti variati: nei paesi islamici si abortisce, Margaret Sarger rilevò, sempre in “Woman and the New Race”, dopo che è nato il figlio maschio. Negli Usa stimò fra uno e due milioni di aborti l’anno, “una disgrazia per la civiltà”. Abortivano di più i neri, che però insistevano a procreare, e questo era insieme una disgrazia e un problema, affermava Sanger, moltiplicandosi criminali e asociali. Su questa base l’aborto selettivo diverrà la soluzione anche per lei, appena due anni dopo la “disgrazia per la civiltà”: per duecento pagine in “The Pivot of Civilization” calcolò il costo “dell’imbecille sull’intera razza umana”, anche “finanziario e culturale” - con prefazione di H.G.Wells.
Con la “The Birth Control Review”, 1917-1921, già qualche mese prima Margaret aveva finito per parlare di “peso morto di rifiuti umani”. Allargando la “minaccia alla razza” a neri, latini e balcanici, a causa non della lingua ma dell’inferiorità mentale. Contro i poveri fare appello alla scienza è non si sa se filantropia o crudeltà.  
The Autobiography of Margaret Sanger, Dover, pp. 504,  $ 13

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