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martedì 12 febbraio 2013

Letture - 127

letterautore

Computer - Lo scrittore americano Scibona, che dirige una scuola di scrittura, dice il computer la tomba dei rifacimenti-riscritture: “Se un pezzo è scritto a mano o a macchina, continua a crescere. Sul computer, specialmente sulla pagina della stampante laser, che sembra come la pagina a stampa, appare finito. Perde elasticità. Quando riscrivo una frase sulla macchina da scrivere, prendo decisioni, quasi consciamente, su ogni parola e segno d’interpunzione. Sul computer non fai che emendare qualcosa che esiste già. Sul computer, devi solo stare attento al cambiamento che hai deciso di fare. Quando invece riscrivi la frase sulla macchina da scrivere, ti ritrovi a riesaminare ogni virgola e ogni parola, investendo tutto te stesso di nuovo nell’intera frase”.
Ma chi scrive a macchina? Se ne trovano ancora?

Don Chisciotte – Nietzsche lo consiglia all’amico Rohde “non perché sia la lettura più amena, bensì perché è la più amara che io conosca”. Nietzsche drammatizzava?

Don Giovanni - Nel lungo poema di Karoline von Günderode muore, letteralmente, d’amore.

Egemonia – Deriva certamente dalla Führerschaft di Max Weber – scaduto a vezzo intellettuale,  da cui Hitler derivò il Führerprinzip. Che a sua volta deriva certamente dall’egemonia di Platone. Ma Gramsci, seppure la parola potesse essere in quegli anni di uso comune, ne dà un’altra lettura: “Ogni rapporto di egemonia è necessariamente un rapporto pedagogico”. E può darsi soltanto in un ambiente culturale plurale: “Non solo nell’interno di una nazione, tra le diverse forze che la compongono, ma nel’intero campo internazionale e mondiale, tra complessi di civiltà nazionali e continentali”. Non nel senso del rapporto tra padrone e servo – non c’è padrone senza servo – ma degli apporti culturali diversi e tutti pari: “L’egemonia… presuppone una certa collaborazione, cioè un consenso attivo e volontario (libero), cioè un regime liberal-democratico”.
In effetti Gramsci, che molte polemiche nell’ultimo anno ascrivono ad apostata del sovietismo, è sorprendente.

Francese – È scomparso dalle librerie internazionali. Alcune hanno lo scaffale tedesco, in aggiunta all’inglese, ma non più il francese. Le Librerie Feltrinelli lo hanno sostituito col castigliano – prevalentemente sudamericano.

Nobel – Molti non ci arrivano per gli odi nazionali – e molti premi, per questo, vanno a candidati di secondo piano, trascurati nelle guerre civili o meno odiati perché meno in vista. Quando una prima scrematura è stata fatta dalle varie accademie scandinave, e c’è un orientamento verso una certa area geografica, l’uso è di presentire le comunità degli stessi paesi prescelti, letterarie, scientifiche, mediche, sul nome papabile. Queste comunità non possono decidere l’assegnazione del premio, ma possono farla fallire.
Il caso più famoso è quello di Mario Luzi. Il più recente di Claudio Magris. Il penultimo è del fisico Giorgio Parisi: il premio saltò per le denigrazioni della comunità “zichichiana”, allargata al Nobel Rubbia, che candidò Luciano Majani.
Majani, poi designato a capo del Cern di Ginevra per il forte peso che l’Italia, che lo finanzia, ha nell’acceleratore ginevrino, è stato da ultimo recuperato alla presidenza del Cnr. Su designazione di Parisi.

È discriminante in letteratura, “il” traguardo a cui si tende e che si riflette indietro sull’opera. Un fatto su cui ogni Grande Autore deve confrontarsi: ha avuto il Nobel, non ha avuto il Nobel. E perché sì, perché no.
Dal premio si riparte, l’editoria, la critica, i lettori, per sistemare, leggere, interpretare, gustare la lettura. Un autore, il libro di un autore che stiamo leggendo. Un tempo i contesti erano le periodizzazioni (il primo, il secondo, il terzo...), la storia, la società, il comparativismo, l’analisi linguistica anche, ora il Nobel. Con curiosi effetti di spaesamento, nel Nobel si annullano la geografia e la storia, anche letteraria.

Paternità – Saba molto elogia (“Scorciatoie”, 86-88, e 163)  il Foscolo, “Per la morte del padre”, attraverso il De Sanctis, in sintonia con De Sanctis. Che però elogia un altro distico di Foscolo, di altra poesia.
Un lapsus freudiano, direbbe un freudiano: Saba elogia erroneamente il Foscolo via De Sanctis, per non potersi esercitare lui stesso nell’elogio del padre. Vittima doppia del freudismo.

Semitismo – È la radice che l’epoca vuole per l’Occidente: dopo aver allargato la storia greca, nelle sue radici, al Medio Oriente, la si restringe al nucleo semitico. È il filone degli studi della Black Renaissance Usa e della rinascita cananea - negli Usa il revival negro-africano si combina con quello ebraico. Ma era stato preceduto da Nietzsche, “Il servizio divino degli dei”, alle pp. 29-31: “Una dominazione fenicia deve avere preceduto l’ellenizzazione in Grecia; gli edifici delle città, gli impianti e le istituzioni, così come i loro dei, i loro culti e le loro saghe, giunsero in parte ai greci”.

Th – Molto in uso in greco, è vocalico? Giuliano Campioni, nella traduzione di Nietzsche, “Il servizio divino dei Greci”, che ha curato,  “gli thesauroi” a ripetizione, “uno thesauros”, “nessuno thesauros”, “lo thesauros”, “allo tesauros”. Molto fastidioso: la filologia può essere inutile. Ma per il Rocci è una consonante aspirata. Non di quelle che in italiano richiedono “lo, uno, gli”: la s impura (seguita da consonante), z, x,  ps  (più gn-).

letterautore@antiit.eu

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