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domenica 10 febbraio 2013

Susanna scopre la famiglia, contro la famiglia


Dunque, Susanna è cresciuta in paese sull’altopiano, tra il Carso e il mare. In una casa con un ampio giardino. Un giardino con un noce, un cedro del Libano, almeno un melo, almeno un pruno. Più un prato verde. Con un’altalena. Un tavolo. E una gloriette – il tavolo sotto la gloriette. E il suo dolore più acuto e duraturo di bambina è stato il taglio del noce. Può essere. La fine del noce le significa che non edificherà “palazzi né fortune”, e non formerà una famiglia. Questo è già più difficile, povero noce. Ma Susanna ha avuto così un’infanzia e un’adolescenza tristi, tristissime a sentire lei. Non menziona amici né amiche. Né conoscenti, che nei paesi solitamente sono intromettenti. Lei e la nonna. Vent’anni – venticinque? – a non sopportarsi.
Il secondo ricordo è infatti la cattiveria. Contro una nonna buona. Che aveva solo il vizio di leggere alla bambina, fiabe, poesie, e storie straordinarie – “la borghesia ebraica che aveva lascato lo studio della Torah per la lettura dei romanzi” (Susanna racconta e insieme situa il racconto, ne fa l’esegesi). Non giocava al pallone con lei e non faceva le capriole. Succede. Ma succede a tutti, l’anagrafe vuole le nonne invecchiate, anche senza la Torah e la borghesia.
Poi succedono molte cose. Subentra l’alzheimer. Che è una sorta di condizione felice. Ma un inferno per chi ci deve convivere. La nonna muore. La ragazza cerca la madre, morta già di quindici anni – o di venti. Le inventa un tardo Sessantotto, quello dei collettivi femministi, e un aborto, e la liquida con una fine miseranda, da drogata in una comune – Susanna, che si suppone yogin, non dovrebbe odiare, ma è del partito anti-68. Cerca allora e trova il padre che l’ha rifiutata. Un egoista nevrotico – “anaffettivo”. E qui fa un torto a Grado, situando il padre filosofo, sporchiccio, in un condominio sporco di un quartiere sporco, mentre Grado è un posto pulito, gradevole, e anche ecologico, tratta bene le piante e i fiori. L’ultima parte è un trionfo di radici e di pace in Israele. Leggendo la Bibbia, nella parte Nuovo Testamento.
Titolo sempre canzonettistico, tono svagato, Susanna è abile fabulatrice. Anche se non ci considera, noi lettori:è il terzo o quarto libro sulla nonna, dopo “Per voce sola” e “Va’ dove ti porta il cuore”. Uno storione familiare ristretto e interminabile. Tanto più impositivo alla rilettura in riedizione, a sei anni dalla prima uscita, nei “Libri di Susanna Tamaro”. La vita non è mai personale e laterale, non ci sono ganci, né affettivi né di semplice curiosità, ma ascese e discese lungo una sola pertica, nonni, prozii, zii, cugini, e figliolanze - ma non le proprie, che necessiterebbero un contatto. Filosofando molto – i geni del padre? Soprattutto in Israele, ma anche altrove, sulla vita, la morte, l’amore, e Dio. Senza costrutto. I sentimenti mantenendo scarni, semplificati – niente famiglia, niente palazzi né fortune? I vecchi sono stanchi, la famiglia è violenta, Dio è una bestia. E tuttavia i lettori la amano. Quindi, o sono i tempi in sintonia con Susanna, o Susanna è tutta nel tempo.
A p. 172 Susanna sente a Cafarnao una guida turistica dire, nello stesso inglese tedesco, le stesse cose, con parole quasi identiche, che la guida diceva nello stesso luogo nel 1969, nel 19721 o ’72, e nel 1974. Sul Cristo che vi s’era stabilito perché era il mercato delle carovane da e per l’Oriente, dove poteva sia imparare molto sia farsi pubblicità. Ma con l’onesta premessa: “Sono ateo”, “sono agnostico”: decristianizzare il Cristo è impresa dubbia.  
Susanna Tamaro, Ascolta la mia voce, Bompiani, pp. 209 € 9.

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