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sabato 31 maggio 2014

L’antropologia small talk, tra spiriti eletti

È l’ultima delle tante opere di Kant, una serie di note prese durante le sue lezioni - per trent’anni Kant insegnò l’antropologia – da lui riviste con cura e pubblicate nel 1798,  a 74 anni, quando la sua fama era all’apice. L’argomento forse a cui più teneva: dei 268 corsi accademici da lui tenuti, 28 furono di Antropologia. La quarta materia da lui insegnata, dietro la Logica e la Metafisica (58 corsi), la Geografia (49), l’Etica (46). E un modo di riflettere che si vuole retrospettivamente all’origine della filosofia contemporanea, spostando l’oggetto del discorso dalla metafisica, la logica e la morale alla domanda “che cos’è l’uomo”. Nel quadro di un’idea della storia come “progresso della cultura”, che libera l’uomo dalle tendenze naturali, lo apre alla libera finalità. Kant stesso lo spiega nella prefazione: “Occupandomi di filosofia pura, dapprima per scelta più tardi perché fui incaricato d’insegnarla, ho fatto per circa trent’anni due corsi sulla conoscenza del mondo: un corso d’antropologia (nel semestre invernale), e un corso di geografia fisica (nel semestre estivo)”.
La raccolta è divertente. Tanto più considerando l’età, la fragranza è di divertito (avvertito) libertinismo. È un Kant salottiero - a più riprese celebra la “conversazione”, in piccolo gruppo, fra amici o gente di spirito. Affronta anche questioni del tipo: “Una donna giovane… farà molto meglio la felicità coniugale con un uomo sano, ma notevolmente più vecchio?” “Il grande cinese di Königsberg fu soltanto un grande critico”, dirà Nietzsche, pettegolo invece di fama (“Al di là del bene e del male”, § 210. Ma, come per la geografia, Kant non sempre ci prendeva.
Foucault, che l’ha tradotto e pubblicato nel 1964, lo aveva fatto oggetto di una lunga disamina qualche anno prima. Una prima prova della grande forza, di analisi, sintesi e proposizione che sarà lui stesso - il tutto, saggio e traduzione, era stato presentato come tesi complementare nel 1961 per la libera docenza, la tesi principale essendo la “Storia della follia nell’età classica”, sotto la guida di Jean Hyppolite e Georges Canghilhem. Ma un po’ fonda  questo nuovo Kant, di più lo crea,  posticcio.
Foucault contestualizza la pubblicazione delle note trentennali. Nel “Conflitto delle Facoltà”. Nella riconosciuta preminenza intellettuale di Kant. Nella corrispondenza, un rinvio molto efficace. Nei corsi tenuti da Kant per Antropologia scopre anche l’esistenza di uno che poi il filosofo non pubblicò e andò perduto, “Von der Intellectuellen Lust und Unlust”, sui piaceri e i dispiaceri intellettuali. D’altra parte, non può fare a meno di rilevare le concordanze tra l’“Antropologia” e le “Osservazioni sul Bello e il Sublime”, 1764 - “il contenuto è sorprendentemente simile”. Un testo, giunge anche a dire d’acchito, prima d’invischiarvisi, “così arcaico nelle sue preoccupazioni, così remotamente radicato nella sua opera”, nella critica cioè. E tuttavia fa nascere il Kant dell’uomo: “L’Antropologia è pragmatica nel senso che non tratta dell’uomo come appartenente alla città morale degli spiriti (si sarebbe detta pratica) né alla società civile dei soggetti di diritto (sarebbe allora giuridica); lo considera come «cittadino del mondo»”. Con un principio, non poteva mancare, dell’intramontabile questione del linguaggio, la strutturazione dell’instrutturabile, a partire dalla frase “Man nennt das durch Ideen belebende Prinzip des Gemüts Geist“, intraducibile – ma Kant voleva solo dire che lo spirito (brillantezza) è la cosa (Prinzip) migliore della convivenza, e che lo si acquista con le idee, con la riflessione. Ma il quadro, certo, che propone è affascinante: “C’è dunque un banchetto kantiano – insistenza, nell’Antropologia, su quelle forme di società che sono i pasti in comune; importanza dell’Unterhaltung, di ciò che vi si scambia, e di ciò che bisogna scambiarvisi; prestigio del modello sociale e morale di una società in cui ciascuno si trova insieme legato e sovrano;…”, una lunga pagina di ricostituente convivialità, pragmatica. – “ciascuno è libero, ma nella forma della totalità”.
Con Nietzsche muore la filosofia e l’uomo
Con un finale sorprendente. In poche righe, cui poi non si è dato seguito, Foucault pone il quesito di Nietzsche riduttore di Kant, in due modi: Uno: “L’impresa nietzscheana potrebbe essere intesa come punto finale infine posto alla proliferazione dell’interrogazione sull’uomo”. E dunque, tutta la filosofia post-nietzscheana che cosa è? Due: “La morte di Dio non è in effetti manifestata in un gesto doppiamente mortale, che, mettendo un termine all’assoluto, è nello stesso tempo assassino dell’uomo stesso?” Ma Foucault non metteva l’interrogativo.
Immanuel Kant, Antropologia dal punto di vista pragmatico, Einaudi (a cura di M.Foucault), pp. IX + 392 € 23, Tea-Utet (a cura di Pietro Chiodi), pp. XXXIV + 221 € 12

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