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sabato 27 dicembre 2014

Le sottigliezze del quotidiano

Si ripropongono i temi familiari a Irène Némirovsky, già variamente tradotti in altre edizioni – qui da Simona Mambrini, che ne sveltisce i ritmi. La famiglia è anche il tema prevalente fra i racconti qui raccolti.
“L’Orchessa”, che uscì il 24 ottobre 1941 su “Gringoire”, rivista peraltro antisemita, sotto lo pseudonimo Charles Brancat, a causa delle leggi razziali che impedivano alla scrittrice di pubblicare, è sul rapporto madre-figlia, tema inesausto di Irène Némirovsky, per ogni verso soffocante. In questa raccolta è il tema pure di “Ida”, in filigrana: la fine delle illusioni con l’età – la madre di Irène non voleva invecchiare. Così come vi si adombra l’altro suo tema ricorrente, l’insofferenza per l’ebraismo: qui con compassione, ma sempre con la sorpresa di doversi sentire in colpa per questo. Irène Némirovsky ne subì il pregiudizio nell’infanzia a Kiev, tra i pogrom contro gli ebrei, nel’isolamento della famiglia ricca, e poi sotto forma di diffidenza nella libera Parigi. Per una “identità di sangue” che, senza pregiudizio, sentiva però come una gabbia e un limite. Non per colpa ma per la forza dell’abitudine, del pregiudiziale “noi e loro”. La scrittrice credeva alla Francia, all’Europa, alla libertà: la denuncia nello sfollamento e la deportazione - probabilmente anche la morte a Auschwitz - la sorpresero.
 “La confidenza” narra le sottigliezze dell’amore mescolate al pigmalionismo. Che non può mutare le nature: l’ambizione, la bruttezza acuta, acuminata, la bellezza sciocca. Con “La confidente”, altro raccontò uscito su “Gringoire, il 20 marzo 1941, firmato  “Pierre Nerey”, siamo di nuovo nell’ambito delle estraneità tra familiari, per cui la più insignificante badante sa e sente di più.  “Domenica” è quella dei fratelli che si ritrovano con le consorti attorno alla vecchia madre. Un’occasione doverosa più che lieta: tutti “provano l’indicibile fatica che s’impossessa dei membri di una famiglia quando si trovano riuniti insieme da più di un’ora”. Per quell’indissolubile legame che, pur in mezzo a esperienze e ambizioni diverse, li soggioga. È insieme la critica e la nostalgia della famiglia: l’infelicità dell’amore nel giorno della festa, l’attesa gioiosa della figlia all’appuntamento mancato, il ricordo delle attese felici della madre, che il marito lascia per correre dall’amante, la madre che “non ama l’amore”, non più.
“Legami di sangue” – un racconto lungo che troverà un’architettura più solida nel romanzo “Il calore del sangue”, uno dei meglio riusciti – mescola i due temi dominanti: tratta i misfatti della consanguineità, dei legami familiari, anche se senza colpe specifiche. Nella coppia la consanguineità fa inevitabilmente aggio sull’affetto (rispetto) reciproco - lo stesso nella parentela e nella società.
Niente aneddoti sorprendenti, ma un tono accattivante: lieve, vero. Qualche volta insistito, ma raramente, a volte scherzoso. Che alla lettura dà l’impressione di futile. In questa raccolta anche di ripetitivo, omogeneo – mentre la cifra della narratrice è variatissima. Ma è un’apparenza: è la qualità della scrittura, nascondersi dietro questa apparente semplicità. Che è forse il solo modo di narrare quello di cui Némirovsky è specialista, il quotidiano. Rilevarlo dalla-nella sua sordidezza.
Irène Némirovsky, L’orchessa, Adelphi, pp. 260 € 18 

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