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mercoledì 18 febbraio 2015

Letture - 204

letterautore

Correlativo oggettivo – È l’emozione, o la serie di emozioni, che un evento, un oggetto, una situazione evoca con immediatezza. Per abitudine mentale, o anche solo lessicale – ma forse per imprinting. Il caso più famoso è “Ossi di seppia”, il titolo della prima raccolta di Montale, 1925: gli ossi di seppia sulla spiaggia evocano sensazioni crepuscolari, malinconiche e anche di morte  o abbandono. Il conio della nozione stilistica, che sarebbe stata elaborata da Washington Allston, il pittore e poeta paesaggista americano, nella prima metà del’Ottocento, nell’introduzione alle sue “Lectures on Art” del 1849, è attribuito a T.S.Eliot, che la spiegò e utilizzò nel 1919 nel saggio su Amleto – “una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi pronta a trasformarsi nella formula di un’emozione particolare”.
È la forza del romanzo-scandalo di Houellebecq, “Sottomissione”: l’impossibilità di associare all’islam, in qualsiasi forma, non altro che sensazioni negative. Nulla è detto contro l’islam, che d’altronde nulla fa nel romanzo di riprovevole, ma il solo fatto che ci sia, che percorra la società francese, che stia andando al governo, crea uneasiness

Dante – Islamizzarlo è impossibile. Nel mentre che si ripropone Asìn Palacios, “Dante e l’islam. L’escatologia islamica nella «Divina Commedia»”, e si riscoprono le fantasiose ipotesi di Maria Corti sul suo arabismo, il fondamentalismo islamico non lascia varchi: Dante è blasfemo. Non si potrebbe dargli torto, Maometto e il suo genero Alì Dante tratta nel canto XXVIII dell’“Inferno” con la stessa ferocia dei fondamentalisti . Le tante traduzioni della “Commedia” in arabo, una mezza dozzina, devono tagliare o censurare i quaranta versi (22-63) del canto in cui si insolentisce il profeta dell’islam.

Ci sono versioni preliminari del “Libro della Scala” - dell’ascensione del profeta al paradiso, che secondo Palacios Dante avrebbe imitato – che rappresentano Maometto squarciato dall’angelo di Dio. Lo rappresentano cioè come Dante lo rappresenta. Ma con significati opposti. Lo squarciamento è in quelle prime versioni del miraj, il viaggio di Maometto, preliminare allo svuotamento di tutte le cattive dottrine e le malvagità, per riempirlo di fede e saggezza. In Dante è una pena, il “contrappasso” – termine hapax, qui usato per l’unica volta: Maometto viene diviso in due per avere diviso l’umanità in due fedi.  

Mamma - È lemma inglese antico, anche se non tanto quanto in italiano, che lo registra plurimo in Dante. Anche con la doppia mm-.
Il “mammismo” si vuole invece italiano. Un neologismo coniato da Corrado Alvaro nel 1952 in un articolo per il “Corriere della sera”, per dire della madre chioccia, e più dei figli che oggi si direbbero bamboccioni. Con riferimenti alla Grande Madre mediterranea, etc. Un fatto sociologicamente non provato, e contro il senso comune. La Grande Madre è piuttosto la famiglia, la parentela, e questa non ruota attorno alla madre. .
Pane – C’era il pane ferrarese. Di forme leggiadre, fantasiose, e anche sexy. Giambattista Vicari ne fece illustrazione sul “Caffè”. C’è ancora ma si vende come pane coreano.

Pasolini – Si presentò a Venezia per “Medea”, due anni dopo aver denunciato la Mostra come una celebrazione di borghesi, fingendosi  innamorato della Callas, la quale si fingeva innamorata di lui, roba da ufficio stampa. Sarà stata un’idea di Rossellini, Franco, il produttore, che aveva avuto l’idea della Callas tragica – ne aveva ben motivo: dopo otto anni di passione con Aristotele Onassis ne era stata abbandonata, per la frigida Jacqueline Onassis. E solenne annunciò un film su San Paolo. “In alternativa”, aggiunse, “a Gilles de Rais”, quello che si faceva i bambini. Dopo aver fatto l’estate con Moravia in Romania la cura del gerovital.
Una vera biografia ancora manca, e un assestamento critico dell’opera. Specialmente dolente, alla rielttura, nella parte saggistica, per la quale in Italia è più famoso. Era stato a Mogador, anche lui, al tempo giusto, malgrado il suo rifiuto programmatico del ’68, quando ogni freno era caduto, vi aveva scoperto il mondo arabo, maschile, ne fece oggetto di eccitata cronaca. Meditando “nuovamente”, scrisse ai lettori nella rubrica, di crearsi un’altra nazionalità. Nel mentre che dava lezioni a Moravia: “Il codice grammaticale è non normativo, non normativo, caro Alberto”. Distrattamente, peraltro, da maestro di scuola  - il maestro è sedentario mentale, e normativo. Dicendosi ormai “impegnato” nel cinema. Di cui però decretava: “Il pubblico del cinema è «massa»”, c’è ma è come se non ci fosse, mentre “il pubblico del teatro è «folla», può reagire”.

Troppe volte è deprimente. Uno scrittore, astraendo dalla sua storia, che esercita l’arte di Liala tra maschi membruti e signorine Scudéry, un mondo irreale e assurdo seppure nella vergogna – mademoiselle aveva però esordito con un titolo promettente, le Lettres masculines, sulle pene che le donne infliggono agli uomini. Il mondo dei vinti è come la carte du tendre, astrazione. La voglia di scandalo pure, se non è stanchezza.
L’“Usignuolo della chiesa cattolica” fu già celebrazione dell’amore dei ragazzi – non censurata peraltro, e nemmeno contestata. Fresca, prima della maniera e la carriera. Di religiosità profana, essendo i preti moralisti. Blasfema forse, se nell’amato Giovanni, giovinetto, il poeta ritrova Dio col Cristo: “Perduti in nubi\ d’indifferenza\ in Sé ci chiama\ e a Sé c’informa\ questo Tuo Corpo”. E tuttavia poesia religiosa, per quell’intimità col creato che fa il cristianesimo di Roma. Con l’unica poesia verginale per la Vergine dei moderni canzonieri. Gioioso nella malinconia.
Al cinema è diverso: il cinema è lampo e libertà, in quanto è luce, ma il sesso il poeta vi fa sordido.

Scrittura - È recente, nel Mediterraneo ha 2.500 anni. Nel senso di letteratura scritta, e quindi tramandata tal quale, anche con le varianti, e della storia. Da quando Pisistrato, a metà del VI secolo a.C., fece mettere per iscritto Omero – di cui pero continuò la recitazione, e quindi la variazione, introdotta contemporaneamente da Ipparco nelle Panatenaiche. Le tragedie di Eschilo, Sofocle e Euripide, alcune, dalla  decisione di Licurgo nel 335 di farle trascrivere – quelle (alcune) di questi tre autori e non altre.
Ancora due secoli dopo Pisistrato, Platone manifestava ripetutamente, nei dialoghi e nelle lettere, la nota avversione per i testo scritto. “I libri”, dice nel “Protagora”, “non saprebbero né rispondere né porre domande”. E nel “Fedro” il libro “ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà”.
La scrittura promuoveva un’accelerazione-moltiplicazione nei processi della memoria analoga a quella che dopo due millenni e mezzo produce la rete.

letterautore@antiiteu

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