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venerdì 12 giugno 2015

Alice in Italia

“Il fascino di Roma è un argomento banale. Gli scrittori, tuttavia, per solito ne trascurano un aspetto, il colore degli edifici”. Nulla di eccezionale, minute cose viste, elaborate e riposte in poche righe, molte anche scontate. A Bologna il ritornello di ognuno con cui gli avviene di parlare, lui inglese ricco, è se non vorrebbe un incontro con “qualche signora amica”. Sempre a Bologna  a vedere Bologna-Alba, la finale per il campionato tra italiano tra le squadre vincitrici della Lega Nord (Bologna) e dea Lega Sud (Alba, la squadra allora di Roma), il tifo è quello che è novant’anni dopo, fuori e dentro lo stadio, col sudore invece del deodorante. E tuttavia è già il viaggiatore Byron, molto inglese (molto snob) ma simpatico, autore in proprio di classici del viaggiare, l’ispiratore di Leigh-Fermor, Annemarie Schwarzenbach, Chatwin, Peter Levi.
La riscoperta dopo ottant’anni di questo suo libro d’esordio, pubblicato nel 1926 a ventun’anni, se non ha il pregio della “Via per Oxiana” e di “Gente di pianura, gente di montagna”, è una lettura istruttiva e attraente, da Londra a Atene. Dell’inefficienza teutonica dell’ordine. Dei Wandervolel, i vagabondi tedeschi. Della Baviera, “la regione più tedesca della Germania”. Della ottusa cattiveria burocratica degli italiani. Con aspetti inediti dei monumenti celebri che abbiamo sotto gli occhi. Anche del fascismo, che non gli piaceva, alla vigilia delle leggi speciali: “Il fascismo è una specie di regime di boy-scout, con la differenza che invece di portare le bandiere loro portano le pistole:  l‘Italia è vittima non tanto di una dittatura ma di un’oclocrazia, un governo fatto di una massa armata, e una massa immatura per di più”.  O della riscoperta del barocco a Lecce, e poi in Sicilia, a opera dei Sitwell. Poi viene la Grecia, che diventerà la sua patria ideale, forse più dell’Italia: tene, Fidia, il nome Byron
Byron era stato in Italia già due volte, nel 1923 e nel 1924. Nell'estate del 1925, espulso dall’università a Oxford, ci ritorna in un lungo polveroso viaggio in macchina, con due amici, David dei abroni Henniker, e Simon Trower. Ha vent’anni, non ha molti studi regolari, ma sa molte cose. A Eton si era segnalato per le imitazioni della regina Vittoria. Pratica che continuò a Oxford, fino a che non gli valse l’espulsione. Ma aveva l’occhio, evidentemente: molta arte, e anche storia, si sa da lui, al suo modo svagato. Il titolo originale è “Europe in the Looking-Glass”, e come Alice Byron si muove, garrulo ma giusto al punto, la grazia è quella di Lewis Caroll, divagante e no.  

Robert Byron, L’Europa vista dal parabrezza, excelsior 1881, outlet, pp. 406 € 8,25

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