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giovedì 11 giugno 2015

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (248)

Giuseppe Leuzzi

Il giudice scrittore Carofiglio fa nel racconto “La velocità dell’angelo” la tassonomia dei pentiti, in questi termini: “Perché dei criminali si confidano con dei poliziotti? Per tante ragioni. Perché vogliono eliminare o danneggiare un avversario in qualche business illegale; perché vogliono assicurarsi un atteggiamento morbido dello sbirro rispetto alle loro attività; a volte per amicizia; spesso solo per il piacere di accusare qualcuno – infamità, si chiama in gergo”. La giustizia è lastricata di ragioni, l’una più onorevole dell’altra.

Per lo speciale “Pubblico spreco”, su Sky, quello della sanità Sarah Varetto illustra col nuovo padiglione del Policlinico di Catanzaro. Una struttura bellissima, ordinatissima, pulitissima, attrezzatissima, che attende di entrare in funzione per le solite procedure burocratiche. L’inviata di Varetto, accolta dal Policlinico orgoglioso con piena libertà di movimento, su e giù per i piani e attraverso le sale, dice il padiglione incustodito, ripetutamente, è un tormentone, per quattro o cinque lunghi minuti. Mentre tutto è in ordine. Avranno sbagliato indirizzo?

Per lo stesso speciale, come opera incompiuta Varetto porta la Salerno-Reggio Calabria, che dice in costruzione dal 1962. Tutto si può dire.

Il delitto d’onore
Si addebita il femminicidio a una mentalità arretrata. E cioè, più o meno consciamente, al Sud. Per il ricordo ancora vivo del “delitto d’onore”, che anch’esso si addebitava, e si addebita, al Sud – l’onore malinteso si vuole concetto meridionale (non in quanto “onore” ma in quanto “malinteso”). Anche se bisogna spiegare cosa è il delitto d’onore, la memoria si è persa – l’addebito c’è, ma non si sa di che.
Il codice penale riconosceva come delitto d’onore, comminando pene ridottissime, l’assassinio di un congiunto stretto reo di relazioni carnali “illegittime”. L’art. 587 C.P. poi abolito lo spiegava bene:  
Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.
L’art. 587 non veniva dal Sud. Veniva dal codice Zanardelli, 1890, che si impiantava sul codice del Regno di Sardegna, del 1859. E non vigeva solo in Italia. Non era inteso al femminicidio: aveva lo sconto anche la moglie tradita che aveva ucciso o fatto uccidere il marito e la sua amante – purché in “stato d’ira”. Fu abolito tardi, nel 1981, un decennio dopo l’introduzione del divorzio, ma non per le resistenze del Sud – che non contava, come non conta, nulla.
Soprattutto, l’imputazione al Sud è un’estensione del falso concetto della donna meridionale. Che viene vista, chissà perché, in condizione servile e in stato di semi-abiezione. Mentre è probabilmente più energica della “donna settentrionale”, nonché più avvenente della razza di palude padana, di colorito e di forme, e ha sempre fatto figli con chi ha voluto.   

Aspromonte
Tinto ultimamente di nero, dai Carabinieri e dalla Rai, è la “Montagna sacra”. Rielaborando qualche anno fa temi e esperienze di Polsi, il santuario mariano al centro della montagna, “Polsi, il luogo di culto con più continuità”
veniva spontaneo connotare l’Aspromonte, “la Montagna”, come montagna sacra. Ma più convergono in questo senso i toponimi, di paesi e località sparse: Santa Cristina, Sant’Eufemia, Santo Stefano, Sant’Alessio, Santa Giorgìa, San Luca, Aan Rocco d’Acquaro, Sant’Agata, santa Marina, san Salvatore, san Demetrio, sant’Angelo, Tre Croci, la Croce di Romeo, san Lorenzo, san Pantaleone... L’esito di una religiosità antica, se Polsi si può datare attorno al 5-600 a.C.. E della permanenza, lungo sei-sette secoli a partire da metà 700, quando Bisanzio lanciò la crociata iconoclasta, dei monaci ortodossi n fuga. Che occuparono, letteralmente, la Montagna, a valle e a monte, in romitaggi, anfratti (sul versante ionico resistono ancora delle “meteore”, eremitaggi dentro la roccia), monasteri.  

La Montagna è anche al centro di più cicli cavallereschi, benché alieni. Ora dimenticati, ma vivi ancora negli anni 1970-1980. I percorsi si sviluppavano tra toponimi e riferimenti al ciclo cavalleresco provenzale-occitanico, al ciclo carolingio del Reali di Francia fino al Guerrin Meschino, e al ciclo arturiano dei Cavalieri della Tavola Rotonda, in qualche frangia. Furono trapianti voluti dai Normanni appena arrivati, nell’XI secolo, nell’anonima “Chanson d’Aspremont”. Anonima, ma databile al primo Millecento. Due-tre secoli prima che Andrea da Barberino ne redigesse i suoi “romanzi” di successo. La “Chanson” fece da prologo alla più nota “Chanson de Roland” – e quindi all’“Orlando innamorato” e all’“Orlando Furioso”.
C’è una cospicua “materia d’Aspromonte”, un ciclo cavalleresco attorno alla Montagna, intesa come ultimo baluardo della presenza bizantina da conquistare, nei secc. IX-XI. Il lungo poema è di una storia d’amore, tra Ruggieri e Gallicella, della caduta di Risa (Reggio Calabria), e del giovane Rolandino, che nell’Aspromonte ha l’iniziazione al cavalierato, e si scopre eroico, imbattibile. Con l’accortezza di fare del nemico un occupante mussulmano, invece che bizantino: i Normani, gli agenti inviati dal papa a latinizzare il Sud Italia, avevano l’occhio anche su altre opportunità nei Balcani, d’intesa con l’impero bizantino. Il ciclo sarà sfruttato poi, tra Quattro e Cinquecento, dagli Estensi e altre signorie alla ricerca di nobili radici. Un ciclo adattato, di versioni e diversioni, di nessuna affidabilità filologica, ma pieno di echi, del ciclo dei Reali di Francia e della materia di Bretagna, o arturiana. 

Il controllo del territorio vi può essere ferreo. Sono i Morti, ma è tiepido e il cielo è sgombro. Dobbiamo scegliere tra le castagne a Gambarie e i funghi a Carmelia, optiamo per i funghi. Ma a Carmelia Liliana non ha aperto. Sarà occupata come tutti al cimitero, oppure non ci sono più cacciatori, né di uccelli né di funghi, da servire.
Non si è incontrato salendo nessuno, e nessuno si vede. Si lamentano tutti quest’anno che la montagna è invasa dai fungaroli, anche dalla Sicilia, e invece non s’incontra nessuno, non c’è nessuno. Ma non c’è tempo per chiedersi che fare, il cielo si rannuvola veloce. Decidiamo di provare a Zervò dalla Sciditana, la signora C.. Al peggio chiederemo rifugio a Antonio e Teresa, ormai è tardi per ogni altra cosa.
Comincia a piovigginare presto, già all’incrocio per Cannavi, e la strada è nuovamente dissestata. Larghe buche la punteggiano, che con l’acqua non si sa quanto sono profonde. La strada è opera della Comunità Montana e segue questo ciclo: per un anno è perfetta, opere murarie e manto stradale, il secondo anno compaiono le buche, poi per tre anni è dissestata, fino al nuovo appalto, che ricostituisce il manto di asfalto, dopodiché per un anno si va sul velluto, e così di seguito. Bisogna capitarci l’anno buono: le opere murarie tengono, essendo di cemento armato, l’asfalto no perché non è mai stata fatta la massicciata. Ci saranno nuovi criteri per fare le strade, chissà, con l’asfalto direttamente sulla terra.
Bisogna procedere in slalom. La macchina è di città, ha anche il baricentro basso, sulla strada della Comunità Montana si andrebbe bene con una 4 X 4. Anche per questo la macchina andrebbe cambiata. E perché porta impresso il logo Roma sulla targa, che espone a sicuri controlli dei Carabinieri, a ogni uscita, pratica fastidiosa - il logo dà più fiducia ai militi, che si passano senza pericolo i 10-15 minuti della trascrizione documenti? Ma con cautela si può farcela, ce l’abbiamo già fatta in precedenti cicli quinquennali. E poi non siamo più soli, una jeep si accoda, forse di cercatori di funghi.
La gita ora si allunga, faticosa. Per la pioggia, che non è a scroscio, è anzi sottile, ma è portata dal vento e ristagna sui vetri. Per l’incertezza, saranno aperti a Zervò? La comunità di recupero di don Gelmini è stata chiusa, che ravvivava l’ex sanatorio con attività collaterali - il prete è stato incolpato di pedofilia a 83 anni, dava fastidio, e ora è morto, dicono. E la strada si allunga, si raddoppia, si triplica, dovendo passare da un pizzo all’altro della carreggiata, e in prima-seconda per evitare il moto sussultorio. Dieci minuti, venti, forse trenta, Zervò non è mai stata così lontana. La Toyota segue con andatura più rettilinea, ma anch’essa scalando le marce, e non sembra avere fretta. Se non è di militari, il colore è grigioverde, di forestali o carabinieri.
L’ansia si moltiplica al momento di svoltare per Zervò, acuita dal lugubre edificio nuovo e abbandonato della caserma dei Cacciatori, il reparto speciale dei Carabinieri per la caccia ai rapiti, se non ai rapitori di persona. - ora lo Squadrone dei Cacciatori Calabria è eliportato, sta in città. Mentre gli edifici della Comunità serrati, con le imposte già scrostate, riportano alla memoria il vecchio Zervò, per decenni rudere monumentale di una sanatorio che la guerra impedì di ultimare. Ma è lo smarrrimento di un attimo. Il capanno è aperto. La signora C. cè, si fa sulla porta per vedere chi arriva. Le tiene compagnia la figlia, che si affretta con l’ombrello a prenderci alla macchina. Non ce n’è bisogno, la pioggia ha quasi smesso, ma è un gesto di cortesia. Il giardino è sempre curato, i grandi cespi di ortensia sono pareggiati e ripuliti, le ortensie blu hanno ancora il colore. Anche il capanno ha qualche miglioria: la cucina, il banco, i tavoli. Siamo soli ma la storia ora è a lieto fine.
Siamo al coperto. La tavola viene apparecchiata accanto al camino, e il camino viene acceso, luminoso, caloroso. Abbiamo i funghi per primo e i funghi per secondo. Abbiamo salvato la giornata della signora C. e della figlia. E ne possiamo godere la conversazione. La ragazza ha un debole per i militi, la Toyota era militare, con i quali si è fermata a conversare. “Credevano che foste cercatori di funghi”, dice col suo sorriso rumoroso, “ne girano tanti senza permesso”. E quindi abbiamo salvato anche la giornata dei militi, impegnati alla caccia dei cacciatori di funghi: non siamo scesi dalla macchina per fortuna lungo il percorso, e quindi non ci hanno potuto beccare per la multa, ma potranno sempre segnalare la nostra presenza. E poi: tra rapiti e funghi non c’è paragone.

leuzzi@antiit.eu 

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