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domenica 27 marzo 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (280)

Giuseppe Leuzzi

Del “carici”, o raganella, si è persa perfino la memoria in una generazione o due. È – era - una ruotina dentata, di legno, che si fa girare a manovella, e urtare contro una lamella di legno robusto  sollevandola a ogni giro con uno scoppiettio a ripetizione, da jusatre per le feste e specie per le cerimonie pasquali legate alla Resurreziolne. Dario Fo ne attesta l’uso a Pasqua anche nei suoi borghi in Lombardia, in “Dario e Dio”,  dove ricorda, p. 123, l’“andare di casa in casa con le raganelle durante i giorni della Passione a scacciare il diavolo”.

“Si è perso il Milan. Il silenzio della società non è un bel segnale per il futuro di Mihajlovic”. È un
titolo di quando? Del 6 ottobre 2015. Milano sempre si assolve: la colpa è degli altri.

Giorgio Romanelli denuncia al “Corriere della sera” il disastro della Milano-Torino fino a Novara, in rifacimento da quindici anni, e interminata, tra deviazioni e restringimenti, benché breve e in pianura. Elogia al confronto la Salerno-Reggio Calabria, che ha lunghi tratti montagnosi, con decine  di lunghe gallerie, e 45 km di viadotti, uno dei quali, di 1.160 m., dice il più lungo d’Europa. Ma senza esito: non un articolo sulla Milano-Torino. Mentre piove sempre sulla Salerno-Reggio. In omaggio alla libertà d’opinione.

Il mito nordista del Nord
Il Nord nasce col razzismo. Spiega e fonda il razzismo. La lunga ricerca sul “mito del sangue”, sul razzismo, che Evola fa nel libro così intitolato, è anche una ricerca del mito del Nord. In tutte le sue componenti – che nell’Otto-Novecento tedesco sono state moltissime. La trattazione di Evola suona prolissa e ripetitiva tanto è lunga, di storici e antropologi: Herder, Fichte, Gobineau, Düring (e lo stesso critico di Düring, Karl Marx), Hans F.P. Günther, Hermann Wirth, F. Ludwig Clauss, psicoantropologo, Franz Bopp, Theodor Poesche, Karl Penka, Friedrich Lange, Ludwig Woltmann (“I Germani e il Rinascimento in Italia”, 1905, che si annette il Rinascimento, e tutti i personaggi storici da Dante a Garibaldi e Cavour, fa tedeschi di nome, è tuttora edito in tedesco), Gustav Friedrich Klemm, Alfred Weber, Heinrich Driesmans, Oskar Lange, Christian von Ehrenfels, Joseph Ludwig Reimer (“La Germania pangermanista”, tuttora in edizione), Merkenschlager, Boehm, Von Leers, l’olandese Herman Wirth, lo svizzero Bachofen - per quanto altrimenti benemerito.
Una produzione sterminata, instancabile, anche se con poca fantasia: dalla “vagina nationum” all’origine “polare” delle razze. Con, in alternativa, i fantomatici “ariani”, di cui i popoli nordici sono la sola espressione, benché quelli fossero meridionali, quasi dell’equatore, e un po’ neri. E con classificazioni interminabili in tipi e sottotipi al limite della demenza. Per concludere con la “religione nordica” di Rosenberg, Hauer, von Reventlow,  Bergmann. O quella laica di Water Darrè, “Contadinato quale Fonte di Vita della Razza Nordica”.
Fa lega con lo stimato Darrè l’antropologo Ludwig Wilser che introduce nella scienza tedesca, dice Evola, “il mito «nordista», che poi troverà ampi sviluppi”, nel 1899, direttamente, senza menarla sulle origini. Sulla base di “una antica tradizione lombardo-bizantina, secondo la quale la Scania – la Scandinavia – sarebbe stata una vagina gentium, un focolare di popoli” eletti – “tutti gli Arîi sarebbero scesi dalla Scandinavia”, non più dalle montagne indo-iraniche. Il capolavoro di Wilser,
“Origine e preistoria degli Arî”, 1899, ancora circola in Germania. Spiega che le culture pre-greche, l’assira, l’egizia, la cretese, devono tutte a vene di sangue nordico. Mentre la civiltà persiana, quella macedone e quella romana, ne sono il trionfo, su razze e culture aborigene deboli. Si legge come si vede “Il mio grasso, grosso matrimonio greco n. 2”, in cui per il nonno tutto è dovuto ad Alessandro Magno, e lui stesso. Ma non per ridere, come uno sfoggio di scienza.
Un lavoro di propaganda più che di studio e di scienza – di studio piegato alla propaganda. Non si tratta delle qualità, o di un modo di essere, di uno o più popoli del Nord. È un lavoro comparativo: la connotazione, costante, quasi uno slogan, è che il Nord è migliore del Sud. La Germania lo è, come popolo puro, originario, eletto. Da sola o in uno con i popoli del Nord, comunque “germanici”. Dalle Svalbard a Trondheim e alla Bretagna.
Era la Germania che si voleva affrancare dal Sacro Romano Impero, e quindi doveva crearsi un nemico nella latinità e abbatterlo. Ma con una pugna costante su tutto il fronte culturale -  ne fu espressione anche il Kulturkampf, la lotta bismarckiana contro la confessione cattolica nella stessa Germania. Dagli effetti “mitici”: convinti, dominanti, incontestabili.

Il Nord del Sud
A lungo fu Nord pure il Sud. Il mito del Nord trionfando quale proiezione dei desideri del Sud, la forza applicata all’industria, la perseveranza, il senso civico e della giustizia, cui la fortuna si piega. C’è un desiderio di modelli, forse di padroni - nessun dubbio anzi, ma non si può dire, la servitù volontaria vuol’essere incerta.
A un certo punto Giuseppe Sergi, siciliano di Messina e fine folklorista, scoprì che gli europei in blocco vengono dall’Abissinia. Giunti in Europa, presero due direzioni, il Nord baltico e il Sud mediterraneo. Quelli del Sud, dice Sergi, “per parecchio tempo dovemmo difenderci dai barbari ariani”. Sembrava una conciliazione e invece manteneva, seppure sottile, la distinzione.

Il Sud del Sud
Il mito del Sud -  mito deprecativo: del Sud retrogrado, selvaggio, inferiore, delinquente - è opera in Italia del Sud, prima e prevalentemente. Del folklorismo, e dell’antropologia, discipline più spesso, se non quasi solo, applicate al Sud. In senso forse innocente, con intenti presuntamente di ricerca, ma devastanti. Nel Sette-Ottocento e anche di recente.
La lista è lunga di studi e studiosi applicati alle origini e le tradizioni del Sud – molto più estesa di quella applicata alla Padania, per dire, o alle Italie alpine. È che resta insito, presunto e ovvio senza nemmeno professarlo, nelle scienze umane il metro valutativo, di un più e meno, di un meglio o peggio, e per l’etnologia e l’antropologia più che per le altre discipline. Che in Italia si prestano subito - e anzi lo fondano e lo rafforzano – al “divario” tra Nord e Sud, due categorie, si penserebbe per un vero studioso, piuttosto vacue.
Il Sud è terreno preferito di questi studi perché, si penserebbe, più ricco di tradizioni diverse. Ma non è così. La Padania, per dire, o le valli alpine devono avere, a naso, tradizioni ben più radicate e complesse. Ma solo il Sud è materia di studio – di oggettivazione. E l’effetto è devastante. Valga per tutti la produzione di Ernesto De Martino, antropologo napoletano stimato per i suoi studi sulla magia, ai quali aveva titolo come qualificato studioso delle religioni. Sulla magia in Italia, ottimo tema. Che però lui indaga al Sud. E nemmeno indaga: fissa e sanziona. Anche se sono pratiche inesistenti, echi di echi letterari vecchi di secoli. Si rileggono con sgomento i suoi capolavori, “Sud e Magia” e “La terra del rimorso”, che fissano e censurano pratiche inesistenti, forse nemmeno come semplici giochi di società, dalla jettatura, alle diavolerie. Napoli fissando sulle magherie, che è la città più “metropolitana” d’Italia, innovativa in tutti i sensi, inclusa la violenza urbana. O il Salento in una civiltà rurale primitiva, mentre è stata greca ed è avanti a tutti nella protezione paesaggistica e ambientale.G oethe era di diverso avviso: “Più si va verso Nord”, diceva, “più aumentano le fumisterie e le stregonerie” – compreso il malocchio, si sa.

leuzzi@antiit.eu

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