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venerdì 25 marzo 2016

La guerra giusta, democratica, umanitaria ci consuma

Col “concetto discriminatorio di guerra”, tra guerre giuste e guerre ingiuste, “si giunge a scardinare l’ordinamento internazionale finora vigente, ma nessun nuovo ordinamento viene fondato al suo posto. Così viene soltanto avanzata una nuova pretesa di dominio mondiale, che solo una nuova guerra mondiale potrebbe tradurre in realtà”.
Il fondamento del “concetto non discriminatorio” è il riconoscimento del nemico come iustus hostis, invece di libellarlo Stato Canaglia, e non solo per la propaganda. L’esito è “che questa guerra priva del loro prestigio e della loro dignità i concetti di guerra e di nemico e li annienta entrambi, trasformando la guerra condotta dalla parte «legittima» in un’esecuzione o in una misura di epurazione, mentre la guerra della parte illegittima è una guerra illecita e immorale di parassiti, sobillatori, pirati e gangster”.
L’effetto è anche di escludere la neutralità, in tutte le sue forme, “benevola”, “armata”, “limitata”. In un disegno unitario che è imperiale: “Non appena viene negata l’idea di una possibile neutralità, e con essa la nozione di «Stato terzo» non partecipante alle ostilità, emerge la pretesa di esercitare un dominio universale o regionale”.
Introdotto da Danilo Zolo, tradotto e curato da Stefano Pietropaoli, la pubblicazione di questo Schmitt risale al 1938, la lettura se ne fa perciò con riserva – Schmitt, nazionalista conservatore, era anche vicino al regime nazista. Le tracce dell’epoca sono denunciate dallo stesso giurista subito, con un omaggio all’“articolo straordinariamente interessante del barone Julius Evola, «La guerra totale», nella rivista «La Vita Italiana (Il Regime Fascista)»”. E poi con una costante polemica contro lo spirito divisivo della Società delle Nazioni quando adottò le sanzioni contro l’Italia, uno dei suoi paesi membri, dopo la guerra all’Abissinia.
Pur con questo limite, la raccolta è di attualità estrema: dalla guerra del Golfo in poi, 1991, si conferma la “profezia apocalittica” di Schmitt, di una “guerra globale”, endemica, sottratta a ogni condizione e perfino alle formalità di legge – l’Italia di Scalfaro e D’Alema fece guerra alla Serbia senza nemmeno dichiararla, senza scandalo di nessuno, tacquero pure i vestali della Costituzione. E contro tutto e tutti, Stati, comunità, gruppi politici. Di una guerra “giusta” come una guerra civile, senza frontiere, e senza regole, né limiti. È già qui “la distinzione chiara ed esplicita fra il concetto classico di guerra (non discriminatorio) e quello rivoluzionario, improntato a giustizia (discriminatorio)”. Con tutti i fatti che oggi viviamo: la cancellazione dell’Onu, anche solo come foro di discussione, la criminalizzazione del nemico, la guerra preventiva ad libitum, da Israele nel 1967 alla Turchia oggi, la guerra “umanitaria”, la guerra di civiltà, gli “Stati canaglia” – altra categoria schmittiana, i vecchi Raüberstaat – e il Tribunale dell’Aja, creazione e strumento degli Usa.
La pubblicazione si compone di tre testi. Recensioni di alcuni manuali che innovavano il diritto internazionale, Scelle, Lauterpacht, Fischer Williams, McNair. Che ne rivoluzionavano il fondamento, svuotando la sovranità nazionale e l’autorità statuale a favore dei diritti civili, si direbbe oggi, di una concezione individualistica anche del diritto internazionale, all’ombra della Società delle Nazioni. Schmitt concorda che una innovazione è necessaria, lo ius publicum europaeum  era perento, ma la soluzione prospettata è in peggio: un’innovazione che apre e non chiude né limita la guerra, rispetto al vecchio sistema delle sovranità nazionali, degli Stati come soggetti di diritto internazionale. All’ombra, peraltro, di poteri di polizia imperialistici, ancorché non dichiarati. Un ritorno di fatto al diritto bellico medievale, quando l’arbitro era dichiarato ed era il papa.
La profezia della guerra globale
L’introduzione Danilo Zolo intitola “La profezia della guerra globale”. Questo Schmitt è infatti sorprendente oggi, nella guerra diffusa e globale – molto più che nella polemica tedesca. “Abolendo” la guerra nel senso clausewitziano, del perseguimento della politica con altri mezzi, il presidente Wilson e la Società delle Nazioni hanno aperto un vaso di Pandora, facendone uno strumento di distruzione illimitato, sotto i propositi pacifisti e universalisti. La Società delle Nazioni è, scrive Schmitt nel 1938, “solo un mezzo per la preparazione di una guerra «totale» in sommo grado, e cioè di una guerra «giusta» condotta con pretese sovrastatali e sovranazionali”. Non poteva che fallire. Oppure no, si potrebbe dire: ha preparato il terreno per l’Alleanza, poi vittoriosa nella grande guerra successiva, culminata infine con la Nato-Onu. Ma  ha anche instaurato un regime di guerra perpetua.
La dissoluzione dello ius publicum europaeum non è, non è stata, un fatto giuridico astratto: ha mutato  il concetto di guerra, e ci tiene in guerra anche in pace, nel riarmo morale e in quello repressivo o di polizia. Rompendo il sistema westfaliano, nato con la pace di Westfalia a metà Seicento: il mutuo riconoscimento della sovranità degli Stati, che ha preservato l’Europa dall’autodistruzione e le ha consentito il periodo di massimo sviluppo sociale e politico, nel Sette-Ottocento.  In questo che è il suo più lungo periodo di pace, dal 1945, l’Europa è stata in realtà in guerra fredda, con molti episodi bellici in senso proprio, poi nelle guerre etniche per i diritti, e ora nella guerra di civiltà o di religione con l’islam – con una parte dell’islam per fortuna, minoritaria anche se determinata fino alla morte (ma forse non molto minoritaria).
Già Versailles - i trattati di pace post-1918 – aveva decretato la guerra dei perdenti un “crimine internazionale”, da codice penale. L’art. 227 del trattato di pace con la Germania già prefigurava il tribunale di Norimberga. Con esiti infausti, poiché perpetua la guerra: giusto o non giusto, il diritto della “guerra giusta” è catastrofico. L’istituzione di Norimberga, nota Zolo, fu siglata l’8 agosto 1945, e cioè due giorni dopo il bombardamento di Hiroshima e un giorno prima del bombardamento di Nagasaki”. La guerra “giusta”, prolungata in “umanitaria”, è per di più una guerra di distruzione totale, senza distinzione fra obiettivi militari e civili, e senza più l’economia del minimo sforzo per il massimo risultato, ed è una guerra di polizia, ancorché si fregi di combattere per la libertà e la democrazia.
Il modello westfaliano è idealizzato e indefinito. A difesa di Schmitt, si può aggiungere che esso è risuscitato da qualche tempo dalla stessa America, da Kissinger già nel 1975, dopo la “lezione” del Vietnam, e ora con “L’ordine  mondiale”, del mondo multipolare. E, anche se non dichiaratamente, dal Dipartimento di Stato, e dallo stesso Pentagono. La pace di Westfalia, se stabilizzò il sistema delle potenze, fu lacunoso e imperialista (l’Italia, per esempio, non vi rientrava in alcun modo – né la Spagna), ma efficace: limitò la guerra. Fino alla Grande Guerra, che fu già una rottura dello ius publicum europaeum, prima degli Usa, di Wilson e di Schmitt. Come lo erano state le guerre coloniali: lo ius piublicum europaeum fu propriamente elaborato nel ‘500 (da Francisco de Vitoria et al.) come diritto di conquista. O già le guerre napoleoniche . La storia in realtà è questa: prima la Francia volle rompere l’equilibrio di Westfalia, nel primo ‘800, poi la Germania, un secolo dopo. E la Germania non si acconcia all’egemonia americana, con Schmitt negli anni della sconfitta, pre e post guerra mondiale, e ora con l’egemonia in Europa.
La polizia degli ideali
È la prima trattazione schmittiana dello sviluppo del diritto di guerra – del diritto internazionale che è di fatto diritto bellico -  che si completerà nel “Nomos della terra”. Redatta in un tempo in cui la Germania si risentiva di un assetto internazionale punitivo, e tuttavia di impianto forse oggi più valido di ieri, deprivato cioè del risentimento. A fondamento del nuovo diritto Schmitt pone la decisione americana, del presidente Wilson, il 2 aprile 1917, di dichiarare guerra alla Germania sulla base della ragione e del torto: è l’avvento di “una guerra totale”, nella sintesi di Zolo, “non più sottoposta a limitazioni giuridiche e quindi sommamente distruttiva e sanguinaria”. Tanto più, paradossalmente, per voler essere umanitaria – “e tuttavia considerata non solo «giusta» ma addirittura «umanitaria», perché concepita come azione di polizia internazionale contro i nemici dell’umanità”. Un diritto motore di instabilità e guerra cronica, presagiva Schmitt e oggi ognuno vede. 
Un raggiro diplomatico e legale, aggiungeva Schmitt, e una facile clausola di supremazia – chi osa opporsi al diritto umanitario? Lo diceva in funzione revanscista, ma non senza fondamento. Dopo una magistrale sintesi – non uguagliata – delle strategie Usa di politica estera. Dalla Dottrina Monroe, 1823, al “destino manifesto” di O’Sullivan, 1848, all’espansione “universalistica” di Theodor Roosevelt a fine ‘800, secondo la logica dei mercati economico e finanziario, alla “guerra giusta” di Wilson. Che è il tradimento del cosmopolitismo cui si appella, quello di Kant, di Spinoza, e l’instaurazione di un ordine mondiale inappellabile, sorretta da illimitata forza militare. Una polizia delle idee, anzi degli ideali.- “Caesar dominus et super grammaticam
Carl Schmitt, Il concetto discriminatorio di guerra, Laterza, pp. XLI + 85 € 15

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