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lunedì 31 ottobre 2016

È femminicidio da un secolo e mezzo, per venerazione

Cosa muove l’assassino isolato e compulsivo? Qui non si parla di mafia o killer professionali, né  di eventi accidentali, per rabbia o gesto inconsulto: no, di delitti quasi “obbligati”. Questa violenza Wilson legge come “frustrazione creativa”. Ognuno ha bisogno di esprimersi. C’è chi non ci riesce, i più, e tra questi alcuni deragliano.
Un campionario compila quindi vastissimo di assassini seriali, compulsivi. Dei tipi più vari, ma femminicidi al 99 per cento. Che si confermano un’emergenza, ma da tempo. Con più attenzione, per un paio di capitoli pieni di dettagli, a Charles Manson – probabile aborto di uno studio sul caso. La costante ripresa della vicenda detta di Jack lo Squartatore. E una presentazione estesa di Lovecraft, di cui Wilson era ammiratore – “Blake, Nietzsche e Lovecraft furono outsider solitari”
Il fatto più interessante è che, statisticamente, ci sarebbe una “progressione”, una differenziazione epocale, nel delitto: dall’assassinio per fame, o per difesa, si è passati – si era passati sessant’anni fa e ancora prima, un secolo e mezzo fa - al “bisogno sessuale”. Un “bisogno” di molteplici accezioni. Ottimista: se – poiché - c’è un “progresso”, “rimane da chiedersi quali delitti verranno a prenderne il posto”, il posto di quelli sessuali, dei femminicidi: “Se ci assiste la buon stella, nessuno. Il livello dell’autostima è infatti un livello sociale”, e quindi, crescendo l’autostima, diminuisce l’impulso ad annientare: “L’uomo ossessionato dal bisogno di autostima potrà essere uno spaccone, un prepotente, un marito impossibile,  ma la necessità di tutelare il proprio buon nome nelle relazioni sociali gli impedirà di compiere atti criminali”.
La filosofia, come si vede, non c’è. Anche la sociologia lascia a desiderare. Con finale intitolato alla “via progressista”: la psicologia motivazionale di Abraham Maslow, che avrebbe soppiantato il fordismo, o frantumazione del lavoro, la psicoanalisi di Adler, Jung, Otto Rank, Binswanger, la filosofia della scienza di Popper. Un polpettone di nuovo positivismo. Ma il libro è pieno di cose.
Di golose analisi letterarie, oltre che di narrazioni di casi celebri. Dell’impensabile della tradizione romantica anzitutto, o dell’inadeguatezza: di Rosseau, Woodsworth (“Il mondo è troppo per noi”), e della grande letteratura del Novecento: Pound. T.S.Eliot, “La terra desolata”, e poi Proust, D.H.Lawrence, Faulkner, Hemingway, Aldous Huxley, Thomas Mann, Musil, Hesse, Graham Greene – sembra non esserrci nulla in comune, e invece… Fino a Hadley Chse, “Niente orchidee per miss Blandish”, 1939. Sul marchese di Sade prossimo di Nietzsche: Nietzsche o Sade, la volontà di potenza è la stessa.  Sul “tedio” in Dostoevskij. La “vertigine della libertà” di Sartre, 1939, “L’immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni”, o “trascendenza dell’ego”. Lo “straniero” di Camus, che si ritrova dopo il delitto. Il “gesto gratuito” di Gide, un atto di crudeltà. Miss Blandish vista da Orwell, “Raffles and Miss Blandish”: un mondo di piranha, compresa la vittima. La conversione a U di Bernard Shaw, “Back to Mehtuselah”, 1920, di fronte alla dissoluzione, della guerra e dopo: “L’avevo sempre saputo che avere una fede religiosa, per la civiltà, è questione di vita o di morte”.  Le sciocchezze di Marcuse:, “Saggio sulla liberazione”: il “sistematico uso del turpiloquio” consigliato, fino a dare del “porco” a presidenti e governatori, colpevoli dell’“innominabile delitto edipeo”, la droga per evadere dall’“io formato sistema”, e il “sabotaggio” sempre e comunque di ogni forma o norma sociale.
Il titolo originale è “Order of assassins” – Wilson è patito dei misteri, Atlantide, Aleister Crowley, Martha S., dei “poteri latenti nell’uomo”, altro suo titolo, delle invasioni stellari, e in genere dei “misteri irrisolti”, di cui ha compilato un lungo elenco. Questa “filosofia” ha fatto precedere da una  ricerca minuziosa di delitti specialmente atroci, e seriali, di cui ha compilato una sorta di enciclopedia in due volumi, “Enciclopedia del delitto”. Autore di “Outsider”, che a 24 anni, nel 1955, lo aveva imposto sulla scena letteraria, l’atto di nascita degli “angry young men” britannici, compila “La filosofia”  nel 1974 colpito dal fatto che “l’omicidio «cerebrale», l’omicidio da risentimento, è divenuto il crimine tipico del XX secolo”. Anche del XXI, evidentemente.
Il capitolo iniziale esplora l’anch’essa attualissima violenza indotta dal fanatismo tribale-religioso. Evocando gli “Assassini”, la setta ismailita di Alamut e il Vecchio della Montagna di Marco Polo, e quella indiana dei Thugs, del Vallo di Nerbussa.
Wilson, un poligrafo che si voleva filosofo, disserta se la “libido freudiana” non spieghi “il «dominio» in maniera meno convincente della volontà di potenza di Nietzsche”, col quale invece concorda: la violenza è l’espressione di un bisogno di affermazione. Anche sotto forma di sadismo, un pervertimento della volontà di potenza. Che esamina da principio nel “pensiero” pornografico e nel pensiero “magico” (Manson, Madeleine  Smith). Che trova spiegati nel primo Sartre, 1939, “L’immaginazione”. In dialettica, lui come Camus, “con James Hadley Chase, «Niente orchidee per miss Blandish»”… Disinvolto, e non.
Tra i motivi delle violenza maschile, c’è la venerazione: “Sembrerà strano, ma l’illusione che spinge certi maschi alla violenza carnale è una forma di venerazione della figura femminile”.
Colin Wilson, La filosofia degli assassini

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