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sabato 5 novembre 2016

La forza annienta, anche il pacifismo

Tre testi  di Simone Weil sul tema del potere. Ma centrati sul terzo, “L’Iliade, il poema della forza”
“Non ricominciamo la guerra di Troia” è un breve scritto che prende forza dall’uscita, alla vigilia della guerra nel 1939. Verrà l’anno dopo “L’Iliade o il poema della forza”. “L’ispirazione occitana” richiama il messaggio di Cristo: riconoscere la forza, e rifiutarla: “Riconoscerla come unica sovrana di questo mondo e rifiutarla con disgusto e disprezzo”. Simone Weil è qui già alla fase ultima, del  mistiscismo disincarnato.
Ne “L’Iliade” argomenta l’inconclusività della violenza, che pure si impone: “La forza trasforma chiunque da essa venga toccato”. Non è una soluzione se non distruttiva. Omero vi rappresenta non atti di eroismo, né l’imperscrutabilità del divino, ma la Forza, che rovina chi ne usa e annienta  chi la subisce. Il poema è anche l’assenza del perdono. Non c’è magnanimità, e non c’è il perdono – non c’è nella cultura greca. Ambigua categoria che la cristianità introdurrà. Omero, come le sue divinità, guardano imparziali e impassibili le sventure, dei Troiani come degli Achei. Senza perdono, l’uomo è ridotto alla sua finitezza. Ed è questo il racconto che, in filigrana storica, fonda l’Occidente. Nel mito, ma anche, nell’attualizzazione del mito, nell’Europa che Simone Weil viveva nel 1940 – nell’Europa tout court?
Un rifiuto combattivo e combattente, che il suo pacifismo impegnato, nella Resistenza – dopo un momento di “non belligeranza” nella Francia ad amministrazione italiana - e quindi nella guerra. Al punto da morirne – senza volerlo ma come di un lasciarsi morire.
Simone Weil, Il libro del potere, Chiarelettere, pp. 93 € 9,50

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