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sabato 14 gennaio 2017

Il mondo com'è (290)

astolfo

Bipartitismo – Si è tentato per venticinque anni, e si tenta ancora, di imporlo per legge elettorale. Senza formazioni partitiche degne di questo nome, forti cioè di una tradizione, organizzativa ed elettorale (di sistema elettorale), e di una disciplina etico-giuridica – l’unica che tenta di imporla è la formazione di Grillo, che è la più anti-partito, e peraltro la tenta con metodo antidemocratico.
Un residuo della modernizzazione intesa, a fine Novecento, come importazione di schemi e modelli anglosassoni. Il bipartitismo quindi come il confusionario sistema universitario, della laurea breve, o il depotenziamento dei licei, dove non si studia più nulla. Una camicia di forza in realtà, per impacchettare coalizioni, che fatalmente, dopo il voto, tendono a diversificarsi e a dissolversi. Accompagnata da una legge sul finanziamento dei partiti, al Parlamento nazionale e in quelli regionali, che invita alla frammentazione, alla costituzione di gruppi autonomi,  perfino di un parlamentare (si ottengono, pagati dall’erario, tre e quattro collaboratori personali, e una sede).
Il bipolarismo è stato introdotto forzosamente per favorire la governabilità. Contro la neghittosità, il rinvio, l’indecisione, e il negoziato perpetuo su ogni minimo provvedimento, che favorisce gli interessi particolari a scapito della funzionalità. Ha invece allargato l’ingovernabilità: ha portato alla caduta surrettizia e occasionale dei due governi Prodi, e all’inefficacia dei governi Berlusconi, preda sempre delle componenti più grette e retrive delle coalizioni di destra (le cacciate di Tremonti, la mancata vendita degli alloggi popolari, perché “i sottufficiali dell’Aeronautica a Roma si oppongono”…. ).

Fascismo – Si riabilita Starace, dopo Bottai e Ciano, gli architetti, Rocco, e gli anni del consenso. Dimenticando, un po’, Matteotti e Gramsci: la libertà vale meno oggi, nel regime dei diritti, o un assassinio. Fino alle leggi razziali, certo – non subito nel 1938, la cosa non fu afferrata subito, qualche mese o anno dopo. Il fascismo ha solo perso la guerra?

Governo – Un storia dei governi non c’è, e quindi è azzardato sistematizzare. Ma avendone vissuto una lunga teoria, diciamo dall’estate del 1963, del governo balneare i Giovanni Leone, che personalmente indirizava due gruppi di studenti, ognuno di una dozzina  di partecipanti, per un’esperienza sul campo del sottosviluppo e della cooperazione allo sviluppo, promossa dall’Iri in Tunisia e in Marocco, se ne può abbozzare una.
Si possono distinguere governi qualificati e attivi, di ministri in qualche modo conoscitori e anche specialisti del proprio campo: il quarto e quinto De Gasperi, Monti, Ciampi, Amato, Craxi. O per elevato spessore politico: i primi tre governi De Gasperi, nell’immediato dopoguerra, e il Craxi. Governi di gruppo, o ammucchiata: gli ultimi De Gasperi, i due Spadolini, quelli di Prodi e di Berlusconi. Governi inutili e inerti: i due promossi da Andreotti nel quadro della “solidarietà nazionale” o del compromesso storico, tra il 1976 e il 1979. Negli intervalli molti governi sono stati “monocolore”, cioè democristiani - seppure assistiti da “tecnici”, altrettanto democristiani: quasi sempre minoritari, sono però tra i più attivi, solo un po’ meno del primo gruppo.

Iraq – La liberazione voluta quindici anni fa dall’Occidente sta producendo la più gigantesca caccia all’uomo nel mondo, con conseguente esodo, dalla fine della seconda guerra mondiale. Un fatto oscurato dalla guerra in Siria col terrorismo islamico, ma di dimensioni più ampie dell’esodo dalla Siria, con più profonde implicazioni storiche, culturali. Sono infatti in via di eliminazione le minoranze, etniche o religiose, che qualificavano il Paese. Cancellati i caldei o assiri, in diaspora questi da molto tempo, dall’Ottocento, prima degli armeni e poi con gli armeni, con i quali si confondevano, specie quelli attorno a Mossul. Ritorna la caccia ai curdi, che tuttora sono tra un sesto e un quinto della popolazione. I cattolici romani, che erano un milione e mezzo alla caduta di Saddam nel 2003, sono ora meno di mezzo milione. Presidiavano Ninive, la vecchia capitale degli assiri, la maggioranza della popolazione locale, due terzi dei 175 mila abitanti, e sono scomparsi – forse nelle regioni a Nord, tra i curdi. Gli yazidi, che popolavano il Nord al confine con la Turchia, attorno al monte Sinja, sono scomparsi anche loro, colpevoli di non essere islamici – gli yazidi praticano una religione animista. I mandei  si soni ridotti da 600 mila a 60 mila: sono detti “cristiani di san Giovanni”, una confessione gnostica che usa celebrare il battesimo nel Tigri. Gli ebrei erano scomparsi già con l’arabismo di Saddam – erano una comunità rilevante in Iraq, di circa 130 mila membri.

Islam – È l’Occidente che forgia questo islam, militante: in Afghanistan, in Iraq, in Siria, in Libia, con tentativi abortiti dapprima nel Libano, e poi in Algeria, in Egitto, in Tunisia. Fanatizzandolo e finanziandolo, lautamente, attraverso le petromonarchie della penisola arabica. E ora con Erdogan, altro potentato portato dall’Occidente. Non se ne parla, ma è un fatto notorio. Che il professor Wael Faruk, un egiziano mussulmano, docente a Scienze linguistiche alla Cattolica di Milano, così sintetizza a formiche.net:  “L’attentato di Istanbul è conseguenza del sostegno di Erdoğan ai gruppi combattenti islamisti in Siria, come al-Nusra. Potenze regionali come il regime di Erdoğan pensano di poter controllare gruppi come al-Nusra per poterli usare per i propri scopi. Forse possono controllare il destino del gruppo intero, ma non le migliaia di individui che a questo gruppo appartengono, cui è stato fatto il lavaggio del cervello e sono pronti a farsi esplodere in nome di Dio”. Una fanatizzazione che viene da Occidente: “Alcuni autori occidentali hanno propagandato Erdoğan come simbolo di un islamismo moderato”, ma non ci sono mezze misure: l’islamismo è “un’ideologia”. E: “Non è favorendo un’ideologia religiosa moderata che l’Europa combatterà quella estremista del terrorismo. Nel mondo dell’ideologia vince il più fanatico e organizzato, che arma la cultura della violenza”.
Faruk ne spiega anche i meccanismi: “In Siria l’Occidente ha compiuto il grave errore di sostenere, nei primi anni del conflitto, i gruppi islamisti armati, presentandoli come combattenti per la libertà. Ora migliaia di giovani europei che si sono arruolati in questi gruppi e hanno giocato un ruolo in questa guerra, cosa faranno se l’accordo di pace avrà successo? Non penso che torneranno in Europa per riposarsi, ma per continuare la loro lotta e vendicare la caduta del Califfato. È già successo negli anni ’90, quando, finita la guerra in Afghanistan contro i sovietici, i combattenti islamici sostenuti dall’Occidente sono tornati in Algeria, Egitto e Tunisia e abbiamo avuto un decennio di terrorismo”.

Riforma – La divisione maggiore – peggiore – della cristianità, anche probabilmente la più sanguinosa, non fu l’esito di un’eresia o di uno scisma, ma un fatto politico: l’insubordinazione di un monaco.

Terrorismo islamico – Ne è ben nota nel mondo arabo e islamico la matrice, nonché le protezioni di cui gode, nelle sue varie denominazioni – ora prevalente l’Is. In Tunisia, in Algeria, nel Marocco, in Egitto, nel Libano, dovunque c’è ancora un minimo di opinione pubblica, di dibattito. La matrice è salafita-wahabita, cioè saudita. I suoi mullah vengono dall’Arabia Saudita, dal Qatar e dalla Turchia. Le moschee più prestigiose anche, in Nigeria, in Germania e altrove. Finanziamenti e armi a profusione dall’Arabia Saudita, dal Qatar e anche dalla Turchia. Non all’oscuro degli Stati Uniti, e quindi con il loro supporto – la neutralità in materia di terrorismo non è no, e nemmeno ni, è si.
Di questo però non c’è traccia nelle tante monografie dedicate al fenomeno, da Ahmed Rashid e i Talebani a Loretta Napoleoni e l’Is. Sono panoramiche fornite dai servizi d’informazione Usa e britannici?  Le monografie francesi sono già diverse - ma sembrano non sapere molto degli ultimi sviluppi, diciamo del Millennio (gli studiosi francesi non leggono più i giornali nordafricani? È vero che il Maghreb sta abbandonando il francese, il bilinguismo).

astolfo@antiit.eu

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