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giovedì 5 luglio 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (368)

Giuseppe Leuzzi


La poesia Thomas Jefferson voleva “meridionale”. Viaggiando nel 1787 da Parigi, dove il futuro terzo presidente americano era ambasciatore, per il Sud della Francia e il Nord dell’Italia, così ne scriveva al segretario William Short il 21 maggio: “Ora mi spiego perché non c’è mai stato un poeta al disopra delle Alpi, e perché non ce ne sarà mai uno. Un poeta è una creatura del clima, come un arancio o una palma”. Ciò “dopo alcuni giorni trascorsi sotto un cielo limpido”, commenta l’americanista Sioli.

 

Il Milan cinese ha giocato, grosso, allo scoperto, con più rilanci, e ha perso. Più cinese forse che milanese. Ma ora può contare sullo scudo del Coni e della Federazione Gioco Calcio. Come se fosse una vittima del bluff altrui.

È il potere che fa la verità.

 

Cateno De Luca, personaggio un anno da di questa rubrica,  

http://www.antiit.com/2017/11/a-sud-del-sud-il-sud-visto-da-sotto-346.html

si è fatto sindaco di Messina. Da solo, le due liste d’appoggio non hanno preso il 5 per cento. Dopo 17 assoluzioni, l’annullamento del sequestro dei beni, e una denuncia della Procura di Messina alla Procura di Reggio Calabria, con un pamphlet, “Lupara giudiziaria” , molte preghiere, e una posa seminudo con un pinocchio in mano e il libello nell’altra. Ha vinto al ballottaggio contro un candidato di Forza Italia. Cosa promette De Luca? Un po’ di Dc.

 

Medici e infermieri delle ambulanze a Napoli vengono regolarmente, si dice per dire, sequestrati, picchiati, quanto meno insultati, e rallentati nei soccorsi. Il 118 a Napoli pare sia lento, ma i casi che il “Corriere della sera-Napoli” registra sono di violenza ordinaria, non causata dal ritardo dell’ambulanza. Si può pensare a un’animalità esuberante, che si “libera” nella paura, o nel dolore - una tara. O non è la condizione metropolitana? Napoli è metropoli, probabilmente la sola metropoli in Italia, malgrado le professione d’uso di napoletanità e napoletanitudine, con le insensatezze della vita metropolitana.

 

Angela Salemme, napoletana, 54 anni, due figli grandi, ha deciso di prendere la maturità, e ha studiato tre anni alle serali. Non per uno scopo preciso, perché era l’ambizione di sua madre, che faceva la domestica a ore e amava leggere, di tutto: fare studiare lei e la sorella, orfane del padre. La madre non ce l’ha fatta, Angela lo ha fatto per lei.  

 

La prima “Smorfia”, la trasformazione delle figure del sogno in numeri da giocare al lotto, fu opera del calabrese Rutilio Benincasa, l’“Almanacco perpetuo”. Napoli, 1593.  Poi revisionato da Ottavio Beltrano di Terranova da Sibari, emendato dei dati che l’Inquisizione aveva detto controversi. Per una volta il Sud ha marciato compatto, unito nella lotta.

 

I vivaisti sono in allarme: spesso i fiori italiani finiscono in Olanda, dove vengono lavorati e marchiati e poi rivenduti come olandesi, anche in Italia. È vero, cc ne sono nella piana di Gioia Tauro e in quella di Lamezia, piccole piantagioni, ma recintate e sorvegliate. Per limitare il valore aggiunto? Una produzione di ricchezza al contrario.

 

In Sicilia secondo Pitré l’arcobaleno ha solo tre colori: giallo, rosso, e verde. Non una bandiera italiana un po’ rancida: giallo sta per il grano, secondo il folklorista, rosso per il mosto, verde per l’olio. Dalla prevalenza di un colore sull’altro si ipotizza l’andamento dell’annata.

 

Pirandelliana

Pirandello era di famiglia marinara – “era nato dentro una sterminata dinastia palermitana di gente di mare” - Mario Genco, “I Pirandello del mare e la favola del nonno cambiato”. Almeno quattro fratelli di suo padre Stefano, tra essi il suo mancato suocero Andrea, comandavano mercantili, e molti cugini, naturali o acquisiti, erano ufficiali mercantili imbarcati. Ma nei suoi racconti non ce n’è traccia – nemmeno nelle autobiografie, sottoscritte o mascherate: il mare, quando c’è, raramente, è miasmi e fetori.

 

Si possono scrivere più libri pirandelliani parlando solo di Pirandello. Il nonno paterno di Pirandello, Andrea, è morto di colera, a 46 anni, avendo generato 24 figli. Tutti con la stessa moglie, Rosalia Vella. I Vella erano di Palermo, Andrea un armatore e uomo d’affari di Pra’, Genova.

 

Questo è quanto Nardelli racconta di Pirandello in “L’uomo segreto”, travisando tutti i successivi biografi. Quanto lo steso Pirandello lasciava scrivere di sé, Nardelli essendo un suo protetto, e quasi segretario informale. La storia vera è invece un’altra, che Mario Genco ha ricostruito sui registri dello stato civile. Andrea era il bisnonno di Pirandello. Un genovese di Pra’ emigrato nel 1772 a 18 anni a Palermo, dove a venti aveva sposato Antonina Passantino, di 17, avendone non si bene quanti figli. Il terzo fu Luigi.

 

È Luigi il nonno di Pirandello. È lui che posa Rosalia Vella , con la quale fa 20 figli, non 24. E muore “durante l’epidemia di colera dell’estate 1837”, ma non di colera. Avendo avuto regolare e protratta cerimonia funebre per più giorni, certificata dagli atti comunali. I morti di colera non avevano funerali, non protratti.

 

Il colera quell’anno fu terribile, scrive Genco: “L’epidemia durò centoventisei giorni e uccise più di ventisettemila palermitani”, dei 177 mila che popolavano la città. Tra le vittime 33 medici. Nel corso dell’epidemia morirono almeno tre Pirandello, oltre al nonno Luigi: il capostipite Andrea, una sua nuora, Angela, e un bambino, Giovanni Battista, figlio di Giovanni,  fratello del nonno Luigi.

 

Il nome ricorreva a Palermo, dove si erano insediati già molti genovesi, in numerose varianti: Pirandelli, la più comune, spesso applicata allo scrittore, Perandello, Perrandello, Perendello, Piranelli, Pirandella, Peranelli, Peronello, Paranelli, Parandello, Pisandello, Perrantello. Tutti nomi che Genco può ricondurre a parenti delo scrittore – “e una volta anche Mirandello, su un registro della «Matricola della gente di mare di prima categoria”.

 

Il suocero di Pirandello, Portolano, quando il fisco ingiunse a Pirandello di pagare la tassa sulla dote, fu costretto dallo scrittore, in tribunale, con accorgimento avvocatesco, a ricostituire la dote stessa, che il padre di Pirandello aveva dilapidato.

Pirandello argomentò che non poteva pagare la tassa su un bene di cui non aveva mai avuto il possesso. Era colpa sua, del suocero, continuava l’argomentazione pirandelliana, se la dote si era dissolta, non avendone egli preteso l’intangibilità al momento del conferimento, come la legge prevedeva. Non molto elegante ma furbo. E così il tribunale ingiunse al Portolano il versamento di una seconda dote.

 

Stefano, il padre di Pirandello, ritrovò una sue vecchia fiamma e con lei si deva appuntamento la domenica nel parlatorio di un convento, di cui era badessa una zia dei due. Era un amore giovanile lei era figlia di una sorella di Stefano: una nipote quindi. Ma detta cugina, poiché la differenza d’età non era molta, Stefano essendo stato l’ultimo dei 20, o 24, figli di Andrea. Tubavano imbeccandosi, racconta Pirandello nella novella “Ritorno”, che in questo atteggiamento pare li abbia sorpresi da bambino – così spiegherà al suo biografo accreditato Nardelli.

 

Stefano padre era stato con Garibalni nell’impresa dei Mille, e fino all’Aspromonte, 1862. L’anno successivo aveva sposato Caterina Ricci Gramitto, sorella di un suo compagno garibaldino. Giovanni Ricci Gramitto. Il padre dei due giovani era stato tra gli organizzatori della rivoluzione del 1848-49, che in Sicilia, come in Calabria e a Napoli, fu liberale più che nazionale. Fu quindi esiliato a Malta, dove morì l’anno dopo, nel 1850.

Il nipote Luigi, come già il padre Stefano, l’ex garibaldino, sarà uomo d’ordine, fino al fascismo.

 

Sciascia ha molto scritto di Pirandello. Due raccolte sono intitolate a Pirandello, “Pirandello e la Sicilia” e “Alfabeto pirandelliano”. Con un corredo di innumerevoli riferimenti ovunque nella sua prima opera. A ne parla molto in quanto Grande Siciliano, non amando né il personaggio, né Agrigento e il suo Caos, e neppure la sua opera. L’unico complimento che gli fa, in uno dei tanti saggi della prima delle raccolte, “Pirandello e la Sicilia”, è: “Il carattere originale che muove e spiega tutto Pirandello, è un qualità elementare, molto rara, la più rara: il candore”. Ma è un complimento di Bontempelli, in una dimenticata commemorazione di Prandello il 27  gennaio 1937 all’Accademia d’Italia. Che Sciascia s’ingegna poi a demolire, acculando Pirandello al realismo – come se il realismo (verismo) non fosse, non potesse essere, candido.

 

Ma poi, direbbe Sciascia, non lo dice dopo Bontempelli ma lo sottintende in tutta la sua opera, si è ma visto un siciliano candido?

Sciascia non ama Pirandello poiché ha una visione oscura del mondo, e vuole che gli altri abbiano una visione netta del nostro essere al mondo. Critica – oggi si direbbe - “corretta”. Un anti-Pirandello pirandelliano.

 

leuzzi@antiit.eu

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