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giovedì 23 agosto 2018

Il ricordo è la speranza

Sull’onda del tempo, quella sollevata da Annie Ernaux e “Gli anni”, un memoir sul tessuto delle epoche e le latitudini attraversate, le memorie personali incastonando fra le novità o la diversa realtà degli anni. Che per alcuni mondi, quale quello dell’autrice, di paese, di montagna, al Sud, sono remote già a distanza di una generazione. Mondi in rollìo, se non in sviluppo, continuo, come testimoniano le tante foto che arricchiscono il racconto, di pose, luci, fogge di un tempo giù arcane, e più per mostrarsi subito seppiate, di patina ingiallita.
Un racconto inevitabilmente apologetico - non si suscitano i ricordi per aggredirli, la nostalgia è patina indelebile. Che però naviga convincente tra le miriadi di nomi, e gli eventi, i mutamenti, le trasformazioni del secondo Novecento: mezzo secolo di vita e di storia.
L’autrice è stata a lungo insegnante. L’insegnamento ha avviato ventenne nel bergamasco, in una valle fredda delle Prealpi lombarde, ma col calore della gente – il leghismo è un progetto politico e un pennacchio sovrapposto forse a una popolazione di suo paciosa, a un humus obbediente più che corrivo. Lo ha poi continuato al paese natio in Aspromonte. Anche qui con sorprese. Un mondo quanto mutato in pochi decenni – “come non ricordare le merendine passate di nascosto ai ragazzi bisognosi”, esperienza comune agli insegnanti di non molto tempo fa nell’ubertosa Calabria. Quindi una felice convivenza con un artista geniale dell’occhio e del colore, Tommaso Minniti (“Mintom”), dopo una persistente tentazione dei voti, di una vita conventuale al servizio degli altri. “Un uomo inquieto, tormentato, ma in fondo speciale”, che, quando Mimma si pensiona appena ne ha la posibilità per stargli più vicina nei frequenti spostamenti, muore in soli cinque mesi di morbo incurabile.
Una storia di solitudine anche, in mezzo alla famiglia, affettuosa, numerosa, e ai riconoscimenti, nel proprio ambito “naturale”. E di un mondo femminile formicolante – ennesimo sberleffo allo stereotipo sciocco della “donna del Sud” – di amicizie, idee, progetti, sogni anche.
Riflessioni in versi intervallano la narrazione, tra il lirico e il sapienziale, con punte alte di verità poetica. “L’oblio è la negatività,\ il ricordo è il riscatto\ dell’umana fragilità” è l’esergo. Il ricordo insorge “a diluire nello scorrere del finito\ le mie ansie di eterno”. Un racconto di personaggi e fatti  “nei ricordi tornati per dare un senso\ al mio presente”. Risarcitore, in età, nell’isolamento inevitabile, a volte ricercato – “il mio animo vuoto\ si sazia di nostalgia”. Avventuroso – “ti ho ritrovata mia giovinezza\ speranza di infinite\ certezze”. Infine contento: “Mi sono abbeverata di certezze\ mi sono saziata di passato”. La chiave della scrittura de “Gli anni”, semplice ma accattivante.
Con una presentazione della poetessa Pina De Felice – “la parola diviene libertà”. E una postfazione di Giancarlo Musicò. Musicò, giovane sacerdote, coglie il punto nodale di questo tipo di scrittura, agganciandolo alla speranza – che è virtù cristiana: “Proprio perché Mimma sa lavorare all’interno della sua storia, senza ritoccarla, fa del suo testo un «testo di speranza», in quanto la speranza cristiana non è utopica né sganciata dalla concretezza anche dolorosa della vita, al contrario è una virtù che entra nel labirinto della vita e trova sempre nuove vie d’uscita, strade inaspettate di paradisi anticipati”.
Mimma Licastro Minniti, Tra le pieghe del tempo, Nuove Edizioni Barbaro, pp. 128, ill. € 10

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