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mercoledì 22 agosto 2018

Non c'è più religione, nell'economia

Il cambiamento religioso di cui al titolo è il secolarismo, cioè l’abbandono della religione. Non il vecchio laicismo positivista e anticlericale dell’Ottocento, no, l’agnosticisimo, un abbandono senza residui – un oblio, la trascuratezza. E dunque: il grande sviluppo, o crescita dell’economia, nel secolo scorso è stato l’effetto della secolarizzazione? I tre studiosi di Bristol vorrebbero dimostrarlo. Saltando nell’introduzione alla conclusione che “i paesi che sono più religiosi tendono a essere i più poveri”. Con qualche dato riassunto in tabella. Ma sporadico, tale che in conclusione non si sentono di sponsorizzarlo. Esponendo i criteri della ricerca, aggiungono subito che non si sa – non si è ancora deciso – “quale cambiamento precede quale nel tempo”. Ossia, “se lo sviluppo causa la secolarizzazione, o non viceversa”, con corredo di tabelle. Oppure “se entrambi i cambiamenti sono provocati, in differenti periodi, da fattori come l’istruzione o l’innovazione tecnologica”. Insomma, tutto e niente.Ma nel mezzo risollevano con i loro dati una vecchia e non peregrina questione sul carattere del capitalismo, se antireligioso all’origine, come vorrebbe la tipologia accaparratrice del capitalismo stesso, o non invece religioso.
Quando la questione fu dibattuta, a fine Ottocento, si trovò che il capitalismo è venuto con un certo senso religioso. Di una religione dell’individuo e della salvezza, della salvezza individuale. Col cristianesimo. Contro questa posizione Émile Durkheim, peraltro storico delle religioni, e teorico di un rapporto stretto tra religione e formazioni sociali, argomentò che non era più così, che lo spirito religioso era stato soppiantato nello spirito economico dalla tecnologie e dalle innovazioni costanti socio-economiche. Gli storici delle origini del capitalismo, Werner Sombart, “Il capitalismo moderno”, 1902, e Max Weber, “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, ribadivano invece che il principio dell’accumulazione – risparmio, investimento - risiede nello spirito religioso. Nello spirito cristiano.
Meglio si sarebbe detto dopo la guerra. Come fece Walter Benjamin col progetto de “Il capitalismo come religione”, 1921, anche se ha finito per lasciarlo allo stato di frammento. Lo spirito dell’accumulazione può autonomizzarsi, farsi religione per sé. Un approccio non ironico, da marxista convinto, seppure avventizio, quale Benjamin si era fatto con la  guerra. Un argomento ben sopravvissuto alla morte del marxismo: chi ne dubiterebbe poggi? Sembra perfino ovvio: la religione del calcolo, aritmetico e etico, dell’egoismo. Ma è così ovvio come sembra?
Religione o dispersione
Già Weber e Sombart presentavano il capitalismo, il principio della crescita economica, come l’esito di un orientamento razionale nell’agire. Di un più geneale processo di razionalizzazione. Ma di razionalizzazione “tecnica”, strumentale: organizzazione, calcolo, lavoro qualificato, mercato orgnanizzato, normato. Mosso però al fondo, e anzi originato, da un senso religioso della vita, finalistico. Weber ci aggiungeva uno spirito “protestante” del capitalismo, volendo spiegare “il carattere particolare del capitalismo occidentale e, in seno a questo, di quello moderno, e le sue origini”. Il rapporto indagando tra lo “spirito capitalistico” e le sette protestanti “ascetiche”, del thrift: cavinisti, anabattisti, puritan. E anche dei pietisti, i luterani più vicini per riti e liturgie al cattolicesimo. Una indagine quasi nazionalistica – altrettanto pro-capitalista fu la r. Ma caricando di spirito religioso l’operosità, l’abnegazione, lo zelo, la metodicità o organizzazione.
Resta ancora da dimostrare che il principio dell’accumulazione è laico. O non piuttosto  il secolarismo è per la dispersione? Gli autori della ricerca ne hanno alla fine il dubbio, anche se nel vago. Danno conto di studi che trovano una relazione biunivoca tra ricchezza e religione. Ma soprattuttoi confessano che il rapporto di casualità rimane però “sconosciuto”, anche perché varia nel tempo e nei luoghi. Sconosciuto cioè a loro: studiosi che si pongono il problema immerse in una cultura secolare chiusa.
Il dubbio si può risolvere agevolemnte: non c’è finalità nel secolarismo, a parte quella a corto, cortissimo raggio, del lavoro ben fatto, quando c’è. Il secolarismo è il consumismo :la dispersione. O giusto la ricostituzione del redditpo-per-la-spesa. Gli autori del saggio si chiedono se “la carità religiosa organizzata non possa inizialmente incoraggiare certi valori che facilitano lo sviluppo economico mengtre delimitano l’individualismo”. Ma basterebbe guardare la carta geografica. La regione probabilmente più prospera al mondo è il quadrilatero Lombardia-Veneto-Baviera-Svevia, diviso dalla lingua, dalla storia e dalle Alpi ma unificato dalla religione – dalla Controriforma. O leggere un po’ di storia. Di come la Lombardia divenne prospera, dedita al “lavorerio”, sotto il controllo minuzioso e affaccendato di Carlo Borromeo, il suo vescovo, un santo, un altro della Controriforma.
Damian Ruck-R.Alexander Bentley-Daniel J.Lawson, Religious change preceded economic change in the 20th century, “Science Advances”, free online

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