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sabato 25 agosto 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (373)

Giuseppe Leuzzi


Questa notte i lupi sono scesi in montagna a mille metri di altezza e hanno sgozzato 23 pecore. Di un gregge tenuto al chiuso per il maltempo insistente e violento. Una perdita rilevante – molto per il pastore cui appartenevano: per resa di latte, riproduttività, macellazione. Senza nessun beneficio, nemmeno per i lupi, che non mangiano più di una pecora o due.
Il lupo non c’era – non c’era più – in montagna, è stato reintrodotto per “ricostituire la catena ecologica”. C’è molta improvvisazione, ma se non è furbizia mascherata da protervia, nell’ecologismo. La furbizia dei soldi ch

“Napoli è anarchica ma non rivoluzionaria. Non è una città ribelle, si adatta” – Francesco Patierno, alla presentazione del documentario “Camorra”, che andrà a Venezia a fine mese. È la condizione del Sud. Di buona parte del Sud, Campania, Calabria, la Sicilia dell’interno.
È una forma della democrazia, o una degenerazione? L’anarchia dissolutrice è irreprimibile.

Muoiono dieci persone alle gole del Raganello nel Pollino, in modo drammatico, torrentisti colpiti con violenza enorme dalla piena, e l’apertura del “Corriere della sera” è: “Autostrade paghi di più!”, una non notizia – forse nemmeno per i Benetton che dovrebbero pagare le vittime del crollo a Genova. Eppure al “Corriere della sera” ci sono i migliori giornalisti. Sarà il giornalismo come lo vitupera ogni giorno Trump?

“Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. È citazione di Pavese che s’infittisce in rete negli ultimi anni. Dopo il governo Monti che ha gravato le case d’origine al paese di Tari, Tasi, Imu  eccetera, avviandone l’abbandono, dopo secoli di fedeltà, se non di accadimento, specialmente al Sud, area di emigrazione – che era la specialità dell’Italia, la continuità storica. È già una forma di nostalgia?
È vero che al citazione di Pavese dovrebbe cominciare così: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”.

Cara antimafia
La raccolta differenziata dei rifiuti, avviata cinque anni fa, ha funzionato egregiamente. Tabelle precise della suddivisione dei rifiuti per il riciclo, contenitori adatti per ogni prodotto da riciclo, con colori diversificati, mai un ritiro saltato, il paese ha fatto in fretta a prendere confidenza, e la pulizia era specchiata, quasi un rimprovero alle tante case abbandonate fatiscenti. In primavera la ditta non ha avuto il rinnovo della certificazione antimafia, per carichi pendenti di qualcuno dei dipendenti, o per cuginanze mafiose, su certificazione di lettere anonime che sempre fioccano, e un’altra ditta è subentrata. Che però si è rivelata non avere la certificazione antimafia in partenza. E allora l’amministrazione si è affidata a una ong, per stare sul sicuro. Che operò ogni tanto non passa - e quando è il giorno dell’umido sono dolori. Oppure passa per un rifiuto ma non per l’altro da smaltire quel giorno. Cumuli di sacchi neri e cataste di cartoni asi sono presto moltiplicati lungo le strade a ogni esercizio commerciale, si cammina nell’abbandono, con un senso di sporcizia. E quando passa non lascia più le buste colorate per i diversi rifiuti,carta, plastiche, vetro. Segno che la raccolta non è differenziata - la carta non va avvolta nella plastica, neanche l’umido. Quanto ci costa l’antimafia.

Si moltiplicano la associazioni antipizzo. Ci sono dei soldi per questo. Ma si moltiplicano anche le denunce e gli scioglimenti di associazioni antipizzo. Specie in Sicilia.
Dopo l’antimafia confindustriale di Montante, ora va sotto processo quella di “Libero” – sottinteso Libero Grassi, il commerciante che si rifiutò di pagare il pizzo e per questo fu ucciso. La figlia di Grassi ha tolto il nome all’associazione Libero Futuro – “sulla lotta al racket serve limpidezza”. E i prefetti tolgono la certificazione di “affidabilità” a Libero Futuro in vari insediamenti, quattro o cinque sono stati già sciolti. Nel “tutto mafia” non c’è salvezza.

Prefetti perfetti
Il “tutto mafia” non sarà il sogno dei prefetti, oltre che di Milano? Sciogliere tutto, d’arbitrio.
Libero Futuro era stata organizzata da un imprenditore “con un passato un po’ contorto”, come diceva di se stesso, avendo pagato il pizzo, prima di decidersi a denunciarlo, Enrico Colajanni.
Aperta a gente come lui. Ma non c’è redenzione. Non più: nel politicamente corretto tute le iniziative per il reinserimento di condannati o inquisiti, da Buzzi a Colajanni – Colajanni non è inquisito né sospettato di alcunché, ma viene comunque “sciolto” – sono condannati per mafia. Il concorso esterno in associazione mafiosa consente tutto, e il delinquente è come nell’Ottocento, come diceva Lombroso, si vede da lontano – dal Nord ancora meglio.
Che un prefetto sappia di Lombroso, certo, è un passo avanti. Un gran passo avanti, una rivoluzione. In genere si limitano a dire no.

Dopo i morti di Civita, alle gole del Raganello, la Protezione Civile, cioè la Prefettura, si giustifica con i tanti allarmi gialli mandati. Gli allarmi sono di tre colori, giallo, arancione, rosso. Il giallo prevede anche frane e allagamenti, ma è l’allarme meno allarmistico, come dire “attenzione”. Viene lanciato a ogni temporale, che sia di poche gocce oppure una bomba d’acqua. Da un funzionario della Prefettura che gira il comunicato del Servizio metereologico. Intasando ogni giorno di allarmi i fax e le email dei Comuni. Dove il sabato e la domenica non vengono letti, essendo giorni di non lavoro, e nei feriali accatastati e accantonati.
Il ministro, che è un generale dell’Esercito, che pure non è, non dovrebbe, come fare senatore il  cavallo, non “tollera” e vuole subito il colpevole: il sindaco di Civita. Invece di far lavorare la Protezione Civile – il burocrate lo paghiamo comunque, sia che lavori sia che faccia il burocrate.
Il ministro generale non è solo. Di Civita, borgo ben tenuto di poche centinaia di abitanti, si sussurra, si cerca, si scava, si lascia intendere, che faccia guadagni esorbitanti sugli escursionisti allo sbando nelle gole scenografiche. Che invece sono aperte, libere, a tutti. Obiezioni del Parco, del ministro dell’Ambiente, sia pur esso un generale?

Calabrese è bestiale
Boiardo, razza, bestiale, poltrone, il manager che resiste dalla prima Repubblica: non c’è turpitudine risparmiata all’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono. Sul giornale “la Repubblica”, pilastro dei “belli-e-buoni” della Repubblica italiana. Peggio: Bono è anche socialista – i socialisti, ormai tutti ex , da un pezzo, restano specialmente invisi agli (ex) fascisti che con la caduta del Muro sono diventati le colonne dell’informazione di sinistra.
“Classe 1944”, Bono ha dunque 74 anni. Possibile che abbia resistito tanto in quanto socialista – i socialisti sono stati licenziati da un quarto di secolo ormai?
La storia è in realtà diversa. Questo Bono ha salvato, letteralmente, Fincantieri, nella crisi grave e prolungata della cantieristica. Facendola sopravvivere, anche alle bordate di “Report”, portandola in Borsa, dunque in qualche modo appetibile, e anzi imponendola come uno dei playmaker mondiali della cantieristica - perfino nella Francia che compra (di tutto in Italia, specie le banche) ma non vende (mai all’Italia). Probabilmente il gruppo industriale più grosso in Italia, dopo la Fiat. Dopo aver fatto guadagnare allo Stato sei miliardi con la quotazione di Finmeccanica, invece di svenderla con le solite privatizzazioni di comodo per gli “amici”. 
Questo può non interessare – con i cantieri si fa presto a fallire, basta mancare un paio di commesse. No, il fatto – la colpa, il peccato originale – è che Bono è pure “calabrese”. Peggio, “calabrese di Pizzoni”, come dire dei Baluba. Nel ritratto firmato da Sergio Rizzo. Che non è settentrionale.

La Germania sottomessa alla Calabria
“C’è un’altra Germania, una Germania che parla il dialetto calabrese. Una Germania ricca. Saldamente nelle mani della ‘ndrangheta. È tutta nelle loro mani, mani di reggini, cirotani, vibonesi, lametini, coriglianesi e cassanesi. Storiche famiglie che si sono spartite territorio, regioni, città, quartieri, strade”. In Germania? “Comandano loro, gestiscono il potere, frequentano i salotti della politica e dell’alta finanza”. Frequentano i salotti? “E fanno soldi a palate. Sono quattrini prodotti nelle miniere d’oro della ristorazione”, miniere d’oro?, “e moltiplicati poi attraverso investimenti in grosse partite di cocaina sudamericana”. Giovanni Pastore da Cassano Jonio, “Gazzetta del Sud”  20 agosto 2018).
I corrispondenti locali sono ingovernabili. Ora, si vede, imitano Saviano, “Gomorra”, i milioni di copie che Mondadori è riuscito a venderci. La corrispondenza di Pastore è brillante, ma le “storiche famiglie” che “gestiscono il potere” e “frequentano i salotti”, con le “miniera d’oro” in pizzeria, sono poca cosa, come si vede, e poco guardabile. Wishful thiknking? Scarsa geografia – la Germania è un po’ grande? Fantasie di potenza? No, probabilmente sono i Carabinieri, e il giudice Gratteri. Ma magnificare la delinquenza noi aiuta a combatterla. I mafiosi calabresi dominano la Germania?

leuzzi@antiit.eu

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