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venerdì 31 agosto 2018

L'amore del padre, malgrado tutto

L’infanzia dello Scrittore. Che a nove anni viene confidato alla “istituzione militare” algerina, nella quale passerà 36 anni, fino al grado di colonnello: Mohammed Moulessehoul. “Yasmina Khadra” sono i due prenomi della moglie, uno pseudonimo adottato perché i suoi primi romanzi, i gialli nell’Algeria della guerra civile anni 1980 per cui è famoso, li ha pubblicati mentre era nell’esercito.
Un selfie vecchio stile, senza le solite trasgressioni che fanno audience. Ma con un flair locale, nazionale, ancora denso, di Orano, Tlemcen, Algeri, benché lo scrittore viva in Francia ormai da trent’anni e si consideri scrittore francese. Di una scrittura piana, quasi un omaggio alla insegnante di francese, una gentile signorina polacca, Lucette Jarosz, che muore all’improvviso alla vigilia del matrimonio: è lei che nell’ultimo capitolo gli impone una scrittura di cose, non forzata, dicendosi tradita dal suo uso sconsiderato del vocabolario, per fare “lo scrittore che sorprende il lettore”.
Allo stesso modo, senza sorprese né eventi eccezionali, viene narrata l’infanzia mesta in collegio, seppure con gli inevitabili personaggi bizzarri. La disciplina. La vita collettiva obbligata, senza spazio né tempo per sé mai. L’istruttore sadico. Il presidente Bumedien che in incognito si complimenta col ragazzo – ma sono “gli anni grigi della dittatura tranquilla”, in “un’epoca in cui la delazione e la spionite trionfavano”. Allo stesso modo, i cadetti militari sono ricordati “grandi lettori”, e le forze armate estremamente permissive, soggiogate dalla cultura. Che però non risparmiano al cadetto poeta-drammaturgo-narratore  umiliazioni, procedimenti, condanne, pene di ogni genere. In un paese che ha perseguitato i suoi poeti e artisti, anche rivoluzionari: Kateb Yacine, Mufti Zakaria, “l’aedo della rivoluzione”, Mouloud Mammeri.
Il tutto è aperto da una professione inconsueta di amore paterno, del riconoscimento del padre, dell’amore del padre. Che poi sapremo, per tutta la narrazione, averlo abbandonato, dimenticato, in convitto, in lite continua con la madre, con amori e famiglie nuove a ripetizione. Il futuro Yasmina Khadra e i suoi sei fratelli e sorelle lasciando in cura alla madre. A sua volta abbandonata, senza alcuna risorsa, da tugurio in tugurio per non aver pagato l’affitto, fino a finire in campagna. Poveretto. Giovane prima della guerra d’indipendenza, corteggiava ricambiato una signorina francese, Denise Ernest, quando una mattina era stato chiamato in fretta a casa dal lavoro perché doveva sposarsi, con una giovane che vedrà per la prima volta la notte delle nozze –lei pensava che lui avesse la scabbia, lui che lei fosse una nana. Ma, poi, il padre è un ufficiale dell’esercito, sebbene di basso rango, autoritario e assente. La funzione di padre presente e amichevole sarà svolta dallo zio, fratello anziano del padre, di nessuna risorsa – che anch’egli assolve il fratello padre. Niente condanna il padre, non la cacciata di casa di madre e figli una mattina, senza preavviso e senza meta, da una pattuglia militare della sua caserma. Neanche la scena finale in cui costringe il giovane letterato a iscriversi all’Accademia militare, e “diventare colonnello, chissà, ministro della Difesa”, per il solo beneficio, spiega, del suo orgoglio.  
Un’infanzia e una adolescenza tristi, per ogni aspetto. Che però richiama Simone de Beauvoir, “Per una morale dell’ambiguità”, dove trova in Algeria, nei bambini, “l’affermazione evidente della trascendenza umana”, la “speranza”, il “progetto”. Nell’Algeria ancora oppressa dal colonialismo, rassegnata: “In seno a questa rassegnazione sordida vi erano fanciulli che giocavano e sorridevano; e il loro sorriso denunciava la menzogna degli oppressori: era invocazione e promessa, proiettava di fronte al fanciullo un avvenire, un avvenire d’uomo…. È uno sguardo in agguato, una mano avida che si protende verso il mondo,è speranza, progetto”.   
Yasmina Khadra non arriva a tanto. Ma lo stesso dà un modo di essere comune essendo diversi, prima del “noi e loro” che sembra imperversare – che forse meriterebbe un romanzo di “Yasmina Khadra”. “Un’infanzia algerina” è il sottotitolo, e bisogna che sia detto per sancire la differenza, a parte i nomi e i toponimi. Nulla che una narrazione europea troverebbe impraticabile – semmai troppo scontato.
O allora onesta, nella differenza. Di donne non rassegnate, ma non protette. Dell’amato padre sottolineando violenze di ogni tipo.
Yasmina Khadra, L’Écrivain, Pocket, pp. 286 € 7





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