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lunedì 27 agosto 2018

Letture - 356

letterautore


Hughes-Plath – La storia si alterna, da mezzo secolo ormai, dal suicidio di lei per causa di lui. In altalena non del tutto bizzarra, se dettata da ragioni editoriali – vendere lei, vendere lui. Ora “ha ragione” lui, Ted Hughes, poeta laureato, anche sostanzioso alla rilettura, il “conquistatore di Cambridge”, dei cuori femminili, col sostegno dei due figli, che Sylvia Plath suicidandosi ha coscienziosamente preservato. Di quella dei due che parla e scrive, Frieda - il fratello minore, Nicholas, tace, per ora. Ora ha ragione lei, Sylvia Plath, giovane promessa della poesia americana, che non reggendo all’abbandono del miglior fico,è tornata alla pratica usata del suicidio, questa volta riuscendoci. Ora in senso proprio, in questi anni che vedono la riedizione delle sue opere, narrative e di poesia, e la pubblicazione della sua corrispondenza, di cui si annuncia il secondo volume, le lettere alla psichiatra – ora come subito dopo il suicidio, a febbraio del 1963. Ora Frieda, col secondo volume della corrispondenza, con le lettere di Sylvia alla sua psichiatra lontana, in America, si mette dalla parte della madre.
L’amore fiabesco fra i poeti giovani e belli, promesse certe, inglese lui americana lei, benedetta da due figli se non da un’intesa perfetta, finì male perché Hughes non rinunciò a fare il bello, e s’invaghì fra le tante di Assia Wewill. Che a trentacinque anni al suo terzo marito, quello da cui prese il nome, un David Wewil canadese di Londra, aspirante scrittore o poeta, più giovane di otto anni, che l’aveva sposata nel 1960 e le resterà accanto, secondo dietro a Hughes, rassegnato se non contento dopo una prima sfida, pare col coltello, fino alla morte nel 1969, alla morte di lei – Wevill vivrà a lungo, professore a Austin, Texas. Assia a sedici anni aveva sposato Richard Lipsky, un sergente inglese della Raf, per sfuggire alla famiglia a Tel Aviv, dove il padre, russo, si era rifugiato con la madre, tedesca. Il secondo marito, senza nome, era stato un professore della London School of Economics. La presenza costante di David non salverà Assia, che, abbandonata da Ted, si suiciderà nel 1969.
Alla morte di Sylvia, Hughes ne aveva distrutto molti scritti, sicuramente l’ultimo anno del suo “Diario”, per proteggere i figli, naturalmente, ma non prima che Assia li avesse letti. Uno dei tanti puntelli subliminali al passaggio della volitiva Assia a comportamenti emulativi e di invidia verso Sylvia, compreso quello finale, del suicidio col gas, senza avere mai prima, a differenza di Sylvia, manifestato inclinazioni suicide – ma lei non ha protetto la bambina di quattro anni concepita con Hughes, in costanza di matrimonio con Wevill, la porterà con sé.
Una storia romanzesca, se non fosse avvenuta. Sul fondo anche la famiglia del poeta, dagli appuntamenti ineludibili, per le feste e altre occasioni, ma in vario modo ostili. La sorella di Ted odiava Sylvia – ne era gelosa. I genitori non apprezzavano Assia. Hughes continuò ad avere relazioni plurime, mentre conviveva con Assia, e naturalmente dopo – Assia si suicida quando Hughes ha una relazione un po’ più stabile delle altre, e ne occhieggia una terza, più giovane e fresca. Wikipedia dice anche che “nella morale huguesiana la salvaguardia degli istinti animali è un’azione etica”. 
A periodi alterni, Hughes fu bersaglio del femminismo britannico, ma senza danni, vivrà onorato e premiato.
Astolfo ne fa un breve ritratto in “La gioia del giorno”, alla morte di Assia, di cui Jane, una conoscenza di società, racconta:
“ - Non era la moglie, non ha voluto sposarla – corregge. È morta col gas, come Sylvia Plath. E con la figlia Shura, di quattro anni. Sylvia, che Hughes tradiva in casa con Assia, risparmiò invece i figli, di tre e un anno. – Bella donna – dice Jane, che di Assia condivide l’età – a quarant’anni. Ebrea russa – aggiunge all’ammirazione.
“Tragico il destino di Hughes, che più di un dilemma pone all’epica, oltre che al femminismo, poiché queste morti terribili non sconvolgono il poeta, e forse neppure l’uomo. Assia si è uccisa per una concorrente, anch’essa in età, nelle grazie di Hughes. Che però aveva già un’altra fidanzata giovane, le fidanzate saranno una sua forma d’assicurazione contro le morti repentine. Hughes è l’Uomo di Ferro che ha inventato: si è poeti e grandi uomini con lo stomaco saldo. L’arcangelico Drago-Pipistrello che nell’“Uomo di Ferro” minaccia paesi e città del mondo ha una testa “quanto l’Italia”. Il poeta laureato, che annuncia in uscita tre nuove raccolte, è impegnato in difesa del salmone nei fiumi britannici. Le donne napoletane certo si toccherebbero al suo passaggio – ma dove?
“Sylvia Plath, che all’università usava rappresentarsi con Anne Sexton al caffè suicidi tentati o immaginari, l’11 febbraio 1963, preparata la colazione ai figli, si chiuse in cucina e aprì il gas, scrivendo un biglietto: “Chiamate il dottore”. Ma i bambini non capirono in tempo. “Per Sylvia la morte era un debito da pagare una volta ogni dieci anni”, annotò la poetessa Sexton, che si uccise dieci anni dopo. Per Karen Blixen i sognatori, gli uomini sognatori, non sono che suicidi beneducati. “Tale un ragno, tesso specchi”, scrive Sylvia conoscendosi. E: “Must you kill what you can?”, devi proprio seccare tutto?, “oh, macchina calcolatrice!””

Di Hughes Astolfo ritrae una presenza in libreria, a Londra, nel 1971, in “Non c’è anarchico felice”: “Su tre cartelli c’è scritto “assassino” tutto maiuscolo, “maiale” su uno, “macellaio” su un altro, cinque militanti pattugliano lo Strand davanti alla libreria, silenziose, nella luce grigia del crepuscolo sotto le nuvole. Protestano contro Hughes, che è dentro a firmare libri di poesia. Gli imputano il suicidio della moglie, della prima, Sylvia Plath, non della seconda, Assia Wevill. Sylvia aveva temperamento, la prima volta che Ted le parlò gli rispose con un bacio che era un morso, la calmava l’elettroshock”.

Pseudonimi – Oltre che di Pessoa e di Kierkegaard, sono il marchio degli scrittori di gialli. Senza rischi di dissociazione mentale. Fino a Banville, che i gialli firma Benjamin Black. Simon Brett ne elenca una luna serie, tra gli autori del giallo collettivo “The floating Admiral”, 1931, alcuni multipli, qualcuno volutamente androgino, Evelyn. A nessun altro fine che legare un nome a un personaggio. Oppure a un genere. Oppure ancora a mascherare la professione quotidiana, quando non è la scrittura. Oppure diversificare la presentazione, da parte di autori prolifici – di Camilleri, di cui oggi il mercato assorbe volentieri una novità al mese, lui stesso agli inizi propose nomi diversi per i diversi generi, mentre oggi il nome è al contrario un brand, fa aggio sui generi e sul prodotto.

Stiletto – È marchio di fabbrica italiano. Fra le tante digressioni di cui Agatha Christie ha farcito il suo contributo controvoglia al giallo collettivo “The floating Admiral” c’è lo “stiletto aitaliano”, di una pettegola incontenibile, che della vittima spiega: “Colpito al cuore con uno strumento stretto, è così, vero? Uno di quei cattivi, micidiali, stiletti aitaliani. Wops li chiamano a New York – gli aitaliani intendo, non gli stiletti. E ricordi le mie parole”, dice all’ispettore, “che chiunque ha ucciso l’Ammiraglio è stato in Italia. Naturalmente non può essere stato un aitaliano, sarebbe stato notato. Usavano vendere gelati, sì lo facevano, ai miei tempi”.

Tormentoni – “Illimitable shop” li chiama Dorothy Sayers, la scrittrice di gialli che ha avuto lunga esperienza accademica, di chi parla solo del mestiere o della carriera, con altra gente del mestiere o in carriera. Tipicamente degli universitari ma non solo. Sayers lo dice del Detection Club inglese: “Il club è un’associazione privata di giallisti in Gran Bretagna che esiste principalmente allo scopo di consumare pranzi a intervalli decenti, e di parlare illimitable shop”, interminabilmente della propria attività.  


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