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martedì 4 febbraio 2020

Gli ebrei a Hitler, i polacchi a Stalin – un’altra storia della guerra

Karski non scoprì l’Olocausto, come usa dire da qualche anno: dei rastrellamenti e dei campi di lavoro, con decimazioni sommarie, si seppe da subito, nella primavera del 1942, dai ferrovieri polacchi. Karski lo ha per primo spiegato, di persona e quale testimone oculare, a “tutta Londra” nell’autunno dello stesso anno, e poi a “tutta l’America”, compreso il presidente Roosevelt – l’unico che non gli credette fu il presidente della Corte Suprema Felix Frankfurter, di origini ebraiche. Testimone de visu per essere stato prima introdotto dalla Resistenza polacca, di cui era parte, nel ghetto di Varsavia, e poi in uno dei primi lager per ebrei deportati - che lui credette essere Belžec, come era nei piani, e invece era stato dirottato all’ultimo momento dalle sue “guide” a Izbica Lubelska, a metà strada fra Lublino e Belžec. Introdotto nel ghetto da due leader politici ebrei, un sionista e un “bundista” (socialista), di cui dà un commosso ricordo, specie del bundista – dei due ritratti si compone quasi tutto il racconto, sul ghetto di Varsavia il gran libro verrà nel 1958 con Alberto Nirenstein, il combattente della Resistenza polacco-israeliano-fiorentino, “Ricorda cosa ti ha fatto Amalek”.
Della sua attività Karski aveva già reso conto per iscritto in numerosi rapporti, inoltrati a Parigi e Londra dalla Resistenza. Non era del resto il solo. La sua testimonianza ha assunto valore storico per essere stata resa di persona, da perfetto poliglotta, nelle capitali Alleate. Per giornate, settimane e mesi, in sedute di botta e risposta che dice “estenuanti”. E poi trascritta, nel 1944, a New York, in un libro, che è poi questo ma intitolato “The Story of a Secret State”, stampato in 400 mila esemplari subito esauriti, ristampato immediatamente in Gran Bretagna, e nel 1945 in Svezia. Forte anche dell’esperienza personale. “Karski” o “Witold” nella Resistenza, di suo Kozielewski, era stato giovane diplomatico, e tenente dela riserva. Evaso due volte dai tedeschi, la prima dopo essere stato scambiato dai russi, di cui era prigioniero militare, con gli ucraini e bielorussi prigionieri della Germania, ai termini degli accordi Ribbentrop-Molotov, o Hitler-Stalin, del 1939. La seconda dopo essere stato arrestato dalla Gestapo in Slovacchia come resistente. Una liberazione che costò la vita a 35 persone: 32 dei locali abitanti, tra essi due preti, fucilati dai tedeschi per la cosiddetta responsabilità oggettiva, è tre dei quattro del commando liberatore, deportati a Auschwitz.
Karski lavorò in clandestinità per la propaganda del maggiore movimento di Resistenza polacco, Armia Krajova, Esercito Nazionale, e per il collegamento con il governo polacco in esilio, in Francia nel 1940 e a Londra nel 1942. Qui redasse il “Rapporto Karski” propriamente detto, sulle esperienze vissute nel ghetto di Varsavia e nel lager presunto di Belžec, che il governo polacco in esilio fece conoscere ai governi britannico e americano, incaricandolo poi di una missione di propaganda negli Stati Uniti.
È una testimonianza in realtà, come dice il titolo originario, della Resistenza polacca. Delle persecuzione anti-ebraica, sia attraverso le Einsatzgruppen del tiro libero al bersaglio, le squadre speciali (tedesche, baltiche e ucraine), sia con le prime deportazioni di massa, si sapeva. Le Nazioni Unite, che il 17 ottobre 1942 avevano creato una UN War Crimes Commission, una commissione d’inchiesta sui crimini di guerra, prepararono una “dichiarazione solenne” il 17 dicembre di condanna dei “massacri criminali degli Ebrei dell’Europa centrale”, a firma dei dodici Stati alleati, più il Comitato della Francia Libera (De Gaulle). La testimonianza di Karski aveva il merito di riferire le cose viste, invece che de relato. Ma alla persecuzione degli ebrei dedica solo due capitoli, il XXIX e il XXX, dei trentatré totali. Una trentina di pagine in tutto, molte prese dalla parte organizzativa delle incursioni (contatti, documenti, camuffamenti). E con l’ottica sempre della Resistenza, delle formazioni anche ebraiche, politiche e militari, della Resistenza.
Questo forse è quello che nocque alla testimonianza di Karski: perché la Polonia era, già nel 1942, di ostacolo alla relazione privilegiata con Stalin. A Londra e a Washington solo l’Unione Sovietica contava, che si era annessa una parte della Polonia in base agli accordi con Hitler, e per il dopoguerra ne aveva già disposto la condizione di Stato satellite, attorno ai socialisti polacchi che si erano rifugiati nella zona annessa da Mosca. Il successo di Karski col libro fu immediato ma non durò. La rivista “Soviet Russia Today”, allora diffusissima negli Stati Uniti, lo censurò con asprezza, la riedizione non si fece, il libro restò dimenticato.
La graphic novel di Rizzo e Bonaccorso privilegia la denuncia della persecuzione ebraica. Che resta oggi il maggior titolo della memoria di Karski - dopo la guerra, interdetto di tornare nella Polonia sovietizzata, sarà professore di Relazioni internazionali all’università gesuita di Georgetown a Washington. Il Karski oggi ricordato è riemerso nell’ottobre 1981 a una Conferenza internazionale dei liberatori dei campi di concentramento organizzata da Elie Wiesel e dal Consiglio Americano del Memoriale dell’Olocausto. L’anno dopo nominato “giusto tra le nazioni” in Israele – successivamente anche cittadino onorario. E nel 1985 testimone nel primo film sullo sterminio, “Shoah” di Claude Lanzmann. Ma “La mia testimonianza”, sottotitolo “Ricordi 1939-1943”, resta importante per la storia, quando si farà senza più l’ottica della guerra fredda, degli assetti europei postbellici decisi nel corso della guerra tra gli Alleati – specie nell’edizione francese (derivata dalla riesumazione polacca post-1989, la stessa tradotta in italiano), molto bene annotata. E per comprendere la Polonia, quella di ieri come di oggi. A partire dall’assunto che Karski ripete variamente: che la Polonia è stato il solo paese occupato in cui non si sia prodotto nessun collaborazionismo – “nessun Quisling” è il leitmotiv della testimonianza. Vittima di Hitler come di Stalin.
Le testimonianze di Karski sulla Polonia annessa da Stalin sono scarse e sempre radicali, ma incisive. Molto è detto del contributo militare polacco alla guerra antitedesca, con i circa 150 mila soldati dislocati in Francia e in Gran Bretagna, con i duemila piloti nella battaglia d’Inghilterra , con l’armata di Anders. E con varie curiosità, che dovranno prima o poi essere assunte nella storia. La più strana e la percorribilità della Germania, andata e ritorno, di resistenti e anche di ebrei.
Il titolo originario, della prima edizione in America, “Storia di uno Stato segreto”, propone la continuità dello Stato polacco, di prima, durante e dopo l’invasione, attorno alle coalizioni della Resistenza che si riconoscevano nel governo in esilio a Londra. Nel “rapporto sul libro” che scrisse per il governo polacco in esilio – ancora per poco - a Londra nel 1944, così ne precisa lo scopo: 1) il movimento di Resistenza non è solo un una forza di combattimento, è lo Stato, con l’auctoritas, le istituzioni, il funzionamento di uno Stato democratico; 2) il governo legale si trova a Londra; 3) la Polonia è il solo Stato occupato a non aver collaborato in nessuna forma con l’occupante - “nessun Quisling”; 4) “la nazione polacca è animata da una volontà di democrazia, di libertà, di progresso”.
Ma la Polonia nel 1944, e già nel 1943, era considerata un ingombro, sia a Londra sia a Washington. E nella stessa Polonia post-1989 troverà problemi a riemergere: la testimonianza di Karski è stata tradotta solo nel 1999, poco prima della sua morte. Un tentativo nella Polonia di Jaruzelski e Solidarnosc’, nel 1982, era finito nel nulla. Il riallineamento delle posizioni in Europa, della storia europea durante e dopo la guerra, non è stato ancora avviato, a trent’anni dalla caduta del Muro, ma con ogni evidenza si impone. Il racconto di Karski, a tratti anche noioso (meticoloso, puntiglioso), propone fondati motivi per la revisione. Prima di essere riscoperto da Wiesel e Lanzmann, Karski è stato soprattutto, come storico a Georgetown, l’autore di una ricerca d’archivio, settecento pagine, “The Great Powers and Poland. 1919-1945. From Versailles to Yalta”, che non si cita nemmeno tanto è eretica. “Un libro triste” lo dirà lo stesso Karski. Ma necessario: “Churchill sbagliò di più, ma Roosevelt fu più nocivo”, ne è la sintesi, dello stesso Karski. Troppi i lutti postbellici. E quanto necessari?
La graphic novel che Bonaccorso e Rizzo hanno tratto dalla testimonianza di Karski è la riedizione del volume già pubblicato da Rizzoli Lizard, 2014.
Lelio Bonaccorso-Marco Rizzo, Ian Karski, l’uomo che scoprì l’Olocausto, la Repubblica, pp. 160, ill. € 9,90
Ian Karski, La mia testimonianza davanti al mondo, Adelphi, pp. 513, ill. € 32

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