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giovedì 6 febbraio 2020

I giornalisti al fallimento

Si scopre con i 50 (cinquanta) prepensionamenti di giornalisti chiesti dal “Corriere della sera” che i giornali in attivo, specie i più ricchi, lo stesso “Corriere della sera”, “la Repubblica”, “la Stampa”, ristrutturano a spese dell’Inpgi, l’Inps dei giornalisti. La cosa viene ora sotto accusa perché anche i concorrenti, “la Repubblica” e “la Stampa”, vogliono un altro giro di prepensionamenti, e temono che il “Corriere della sera”, arrivato prima, prosciughi le risorse.
L’Inpgi ha speso 128 milioni in ammortizzatori sociali negli ultimi cinque anni, 260 in dieci anni.
Cifre intollerabili per un istituto dalle dimensioni ridotte, con una platea  assicurativa limitata e in contrazione. Per cui oggi è – sarebbe – tecnicamente fallito.
Ma più della contabilità pesa la politica. Non quella propriamente detta, quella dei giornalisti, dei settarismi che li sottogovernano. L’abuso dell’Inpgi quale finanziatore degli editori è stato denunciato da tempo. Per esempio da G. Leuzzi, “Mediobanca Editore”, 1997:
“Gli assetti autonomi dei giornalisti (previdenza, cassa mutua, contratto) sono stati scossi nella crisi Rcs” – c’era una crisi Rcs anche allora, ma vera, per un buco di 1.300 miliardi di lire. I governi Ciampi e Dini ne avevano aggredito l’autonomia “imponendo che gli utili dell’Inpgi, circa 30 miliardi l’anno, vengano prestati al Tesoro senza  interessi come contributo di solidarietà”. Non erano stati i soli: “Tiziano Treu, ministro del lavoro dei governi Dini e Prodi, ha operato costantemete a favore degli editori e a danno dei giornalisti e dell’Inpgi nell’esecuzione degli accordi sindacali”. Si sapeva, ma non si poteva dire, e comunque non valeva. 
Valeva ancora la spessa cortina – dirigenti di redazione e rappresentati sindacali - che dominava i giornali per conto di un partito che non più esisteva, ma continuava a controllare l’opinione. Mediante accordi di realpolitik con gli  editori: io ti tengo a bada le redazioni, tu mi sostieni.

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