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mercoledì 15 aprile 2020

Il comico nichilista

“Uno ha bisogno di un po’ di sollievo dall’angoscia e il terrore dell’esistenza umana. L’esistenza umana è un’esperienza brutale per me… è un’esperienza brutale, insensata - una tormentosa, insensata esperienza, con qualche oasi, gioia, qualche incanto e pace, ma sono solo oasi. Nell’insieme, è una brutale, brutale, terribile esperienza”.  Inutili le obiezioni dell’intervistatore, basate sui suoi libri e i suoi film. Woody Allen è un altro, non il comico.
Un’intervista sorprendente, d’iniziativa di un sacerdote cattolico, della diocesi di Brooklyn, professore di Filosofia alla St.Johns University di New York – autore recente di un “Pope Francis’ Profound Personalism and Poverty”. Per una rivista di opinione quasi centenaria, di orientamento liberal, gestita da laici cattolici, con sede nel Centro Interchurch di New York. Woody Allen si presta disinvolto a testimoniarvi il suo ateismo. Su un fondo sorprendente di pessimismo radicale. A ogni obiezione, si può dire, di padre Lauder, che gli ricorda questa o quella scena dei suoi film che si legge come una promessa o un speranza, oppone al più un “forse”, tornando a insistere sul suo nichilismo, sulla “schiacciante desolazione del mondo”.
L’intervista parte dalla constatazione che in tutta la sua attività, di attore, scrittore, commediografo, sceneggiatore, regista, Allen ha posto “questioni filosofiche e religiose – l’esistenza di Dio, la vita dopo la morte, il senso della vita”. “Sono sempre state le mie ossessioni”, è la risposta,” fin da piccolissimo”. Crescendo, notava che i coetanei si occupavano di questioni sociali, l’aborto, il comunismo, le discriminazioni razziali, ma a queste non è riuscito mai ad applicarsi – “mi interessavano come cittadino, ma…”, dice, sono questioni di governo, più o men risolvibili, mentre lui era solo preso dal senso della vita. Con l’humour, obietta l’intervistatore, come Frank Capra? No, per l’ossessione: “Capra era un filmmaker molto più abile. Aveva una tecnica enorme”, lui, Woody Allen, no: “Ho fatto quello che ho fatto perché interessava me, di fatto mi ossessionava… Probabilmente avrei avuto più pubblico se fossi andato in un’altra direzione”.
L’intervistatore insiste. “A un certo punto, in «Hannah e le sue sorelle», il suo personaggio, Mickey, è molto deluso. Pensa di farsi cattolico e guarda «La guerra lampo». Come se pensasse: «In un mondo dove ci sono i Fratelli Marx e lo humour, forse c’è un Dio, chissà»”. No, è la risposta: una sinfonia di Mozart, i Fratelli Marx possono dare “una piacevole fuga per un momento, e questo è il massimo che si può fare”. E non dà scampo nemmeno ai credenti: “L’ho detto bene alla fine di «Harry a pezzi»: tutti sappiamo la stessa verità; le nostre vite consistono in come scegliamo di distorcerla, e questo è tutto”. Alcuni la distorcono “con cose religiose”, altri con gli sport, il denaro, gli amori, l’arte, ma “niente dà un senso”. Lauder insiste, ma Allen è irremovibile: “Non c’è giustizia, non c’è una struttura razionale. Questo è quello che è, e ognuno s’immagina un modo di fare fronte”Un Woody Allen insolito, tragico. E non per ridere, come in più di un film dice, di invidiare chi sa fare le tragedie. Forse per un ulteriore sberleffo a se stesso, al suo essere ebreo – in contrasto con la solida corrente di pensiero ebraica, ripresa per ultimo da Wittgenstein, che esclude gli ebrei dal tragico.
Robert E. Lauder, Woody Allen’s World: Whatever works, “Commonweal Magazine”, 15 aprile 2012 free online

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