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mercoledì 22 luglio 2020

Wagner contro gli ebrei

La “naturale stoltezza degli ebrei” dice tutto, si può anche non andare oltre. Anche perché poco prima o poco dopo Wagner rivendica una “insormontabile ripugnanza nei confronti della natura ebraica”. Ma la lettura merita: dice molto del razzismo, oltre che della Germania e di Wagner.
Wagner scriveva molto, di musica e di politica, e quasi sempre in guerra contro qualcuno. Da polemista, quindi, anche qui. Contro Hegel, tra i tanti, per “la devastazione provocata” dalla sua filosofia “nelle menti tedesche”, rifacendosi a Schiller, estetica del bello, e a Kant, dalle “grandi idee”. Contro gli impresari d’opera, che non lo mettono in scena. Contro i critici musicali, che non apprezzano la sua “musica dell’avvenire”. Ma soprattutto contro gli ebrei. Che monopolizzano l’informazione, l’editoria, i teatri, il mercato dell’arte. E contro gli artisti ebrei, incapaci di “vera arte”.
Contro Heine: “L’ebreo Heine, pur dotato di rare qualità poetiche, ha portato alla luce, con beffardo sarcasmo, la menzogna, la smisurata monotonia e la gesuitica ipocrisia dei fabbricatori di versi che si danno arie da poeti”. Ma soprattutto contro i musicisti. Contro Meyerbeer, che non nomina, dopo avere abusato dei suoi favori, a Parigi e anche in Germania, per un lungo decennio, importunandolo con ogni sorta di richieste. Mendelssohn-Barholdy, delle cui doti “germaniche” inoppugnabili si profonde in elogi e rimpianti, ripetitivamente ricacciando nel suo limite invalicabile dell’essere comunque ebreo.
Sulle prima non sembra, Wagner non è virulento. Sembra, vuole essere, persuasivo. La premessa è perfino onesta. Di uno, afferma che non è mai stato in conflitto con gli ebrei “sul piano esclusivamente politico”. Di più, “non ce la prenderemmo con loro nemmeno se fondassero un regno di Gerusalemme” – concludendo però beffardo: “Piuttosto abbiamo un solo rammarico: che il signor Rothschild  sia stato troppo astuto per diventare re degli ebrei, preferendo invece, com’è noto, rimanere «l’ebreo dei Re»”. Il problema è gli ebrei tra noi, “la natura di questa involontaria ripugnanza che la personalità e l’essenza degli ebrei suscitano in noi, questa istintiva e spontanea avversione… il nostro naturale disgusto verso la natura ebraica”. Niente di meno.
Abbiamo combattuto, ha premesso, “per l’emancipazione degli ebrei”, ma “combattevano più per un principio astratto che per un fatto concreto”. Wagner è reduce dalla rivoluzione del ’48, ancora bakuniniano, e quindi democratico, molto, ma con preclusioni. Psicologiche, dice: essere tedeschi di fronte a una presenza aliena. E di radicamento. Tanto più per un artista: il radicamento è necessario all’arte, il riconoscersi parte di una storia e una comunità, di un popolo. Con subisso già all’epoca, quarantottesca, di Volk e völkisch - quale si avrà nella Germania hitleriana e in Heidegger (ma anche, nota Wagner in segno di rimprovero, in Berthold Auerbach, che si vuole cantore ebraico di Volk  e völkisch). L’arte ha bisogno di radicamento, storico, tradizionale, sociale: popolare. Il poeta non può creare, solo il popolo. L’ebreo è incapace di arte perché è sradicato, non ha un popolo.
E non è tutto. Con l’emancipazione, aggiunge, abbiamo “consegnato nelle mani di ebrei operosi il comune gusto artistico del nostro tempo”. Da qui “l’impossibilità di produrre, sulla base dell’attuale sviluppo delle arti, opere d’arte naturali, necessarie e veramente belle”. Lunghe pagine quindi per dimostrare che l’ebreo resta straniero. E che l’ebreo è incapace, di musica, di arte. Quello  che si dice razzismo biologico, tra raffigurazioni fisiche grottesche e ripetuti sarcasmi sule melopee in sinagoga.
Con tutta la buona volontà, l’ebreo non ha la lingua, il suono, il canto. “La musica è la lingua della passione”. L’ebreo ne è incapace. Un’insensibilità particolare ha per il canto. È arrivato alla musica con l’imborghesimento. Che però facilita la riflessione ma non la poesia, non la musica. Per quanto accettato, l’ebreo riane diverso, specie nelle arti, limitato. E di suo inerte: “L’ebreo non ha mai avuto un’arte propria”. Per l’ebreo in generale anzi non c’è salvezza. Alla fine dell’argomentazione Wagner si fa profetico. La sola redenzione per lui possibile è la rovina, sono le ultime parole: “La redenzione di Ahasverus, la rovina, la fine, la morte, la caduta!”
Un senso c’è, è giusto non censurare questo Wagner. Il nazionalismo völkisch, tradizionale, etnico, sia pure rivoluzionario, fa più paura dell’antisemitismo – l’antisemitismo radica nel völkisch, ne è l’espressione popolare, fare breccia contro l’estraneo, l’intruso, in automatico eretto a nemico. Non vi vergognate di non provare ribrezzo per l’ebreo, chiede a un certo punto Wagner, sdegnato che non tutti i buoni tedeschi facciano quello che lui dice debbono fare.
A Wagner si perdona molto, ma ha molto da farsi perdonare. Non di cattiveria, ma di confusione. Da “buon tedesco”.
Il testo del 1850, di una trentina di pagine, pubblicato con uno pseudonimo, K. Freigedank, libero pensiero, tradotto per la prima volta nel 1897, è qui rimpolpato per la prima volta con la lettera, di lunghezza analoga, che inviò nel 1869 a Marie Muchanoff, contessa Nesselrode, che ne desse conto agli amici e nel suo circolo, per lamentare le critiche, vittima dei “giornali, non solo in Gerrmania, ma anche in Francia e persino in Inghilterra”, e le resistenze dei direttori dei teatri d’opera. Che il compositore attribuisce “agli ebrei”, agli editori, direttori di teatro, giornalisti e musicisti ebrei, che non gli perdonano la critica del giudaismo, di cui allega la copia. Leonardo V. Distaso, che ha tradotto e cura la pubblicazione dei due scritti wagneriani, li dota di un’ottima dettagliata contestualizzazione. Ricca di golosi dettagli. Basti quello di Spontini, ricavato dall’autobiografia di Wagner. È il bello algido compositore marchigiano che, a Parigi, porta il tedesco all’antisemitismo “musicale”: fautore della “serietà dell’arte”, gli spiega che gli italiani sono cochons, i francesi imitatori degli italiani, e i tedeschi rovinati dagli ebrei.      
Richard Wagner,
Il giudaismo nella musica, Mimesis, pp. 171 € 15


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