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martedì 29 dicembre 2020

Viaggio nella clausura

Rumiz rilegge il diario della pandemia, del primo lockdown, da metà marzo, che è venuto tenendo per “la Repubblica”. All’ombra del convento benedettino dell’Isola di San Giorgio a Venezia, dopo “la terrificante acqua alta del novembre 2019”. Una clausura volontaria dopo quella obbligata. E ne ricava un altro metro della vita, del mondo. Non poveristico ma critico: del dispendio di materiali e energie per una vita di commercio, di consumo, di ilare autodistruzione, convinta.
Un viaggio in surplace. La claustrofobia – il tetto del veliero è la tessa condominiale. La gita in cucina - “c’è il dovere del pessimismo”, ma intanto i fagioli crescono. Gli incontri senza storia e i minimi aneddoti dei mesi della clausura non volontaria.  Partendo dalla collera contro l’Europa, incomprensibile nella pandemia (ma no, è comprensibilissima), che ha pensato di proteggersi dal virus mettendo dei paletti alle frontiere  - e godendo delle disgrazie degli altri, nel caso dell’Italia, che è stata la prima infettata.

Per il giramondo la scoperta del mondo in cui vive. Della compagna Irene. Dei figli, anche se lontani. Dei nipotini. Le curiose vicinanze che si creano nel distanziamento, nella impraticabilità del movimento. Degli amici anche mai sentiti, lontani. Dei ricordi.

La verità è che è una crisi ma non una catastrofe. O forse una catastrofe, soprattutto per chi vive lavorando, ma non un’ecatombe. Ma abbiamo paura di tutto.  
Questi “Appunti per una clausura”, come recita il sottotitolo, vengono buoni per la seconda ondata – e per la terza? Rumiz è pessimista, ma l’Europa, come gli spiega il libriccino di Steiner, “Un’idea d’Europa”, ha la pelle dura.

Paolo Rumiz. Il veliero sul tetto, Feltrinelli, 125 € 13

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