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martedì 7 aprile 2020

La fatica della (auto)satira

Perché c’è qualcosa intorno a me, invece di niente? E perché quella? Prose in solitario, in solitudine. Eccetto qualche sgarbo, di un’amante, di una mendicane che sputa l’elemosina. La madre, malata di misantropia. La nonna liberata dalla memoria, allegra.  A Todi, attorno a Todi, e a Campo dei Fiori, che in effetti è un mondo – allungato a Largo Argentina, per le gattare di un tempo. E viaggi , con molti bagagli. Ma senza una meta, non sappiamo dove. Immaginando male: “Perché il lieve viaggiatore intelligente non ha bisogno che di un piccolo bagaglio? Perché non immagina proprio niente” – ma non è al contrario? Col corredo di una raccolta, “Varietà”, di riflessioni brevi e brevissime. In un universo femminile. Al maschile è solo declinato un viaggiatore che si porta vie tutte le lenzuola degli alberghi dove dorme, per non separarsi dai sogni – ma perché viaggiatrice suona male (o l’aneddoto è storico?)? Con molto interrogarsi, riflettere se stessa, sul nulla. Il mal di testa. Il piacere della cucina, ghiotta, robusta, abbondante.
 “Con passi giapponesi” va una “piccola sarda” – la sarda è piccola, si sa, questa e anche “culo basso”, da qui i passettini, giapponesi. Unica amata, a prova di abbandoni. E alla fine “unica vedova” – in un mondo senza più morti? Una fiamma, forse svanita, ma confusa - a parte l’astio. Consapevolmente: è “luogo comune l’inquietudine spesso dolorosa con la quale molte donne scrutano gli altrui corpi femminili”. O è l’amore non amato? Col cruccio di non averlo mai fatto con un uomo? “Io che non ho mai conosciuto l’amore con un uomo, ma sempre ho sentito parlare di disastri e di potere, ora con te, donna assoluta”, il grido erompe a un certo punto, “ora io conosco ogni oppressione”.
Ma le giapponeserie non si vorrebbero delicate, di cose, di parole-cose? Prose oneste, probabilmente, non atteggiate - facendo a meno del blurb promozionale di Berardinelli, che evoca Longhi e Parise. Ma di suono rondista: prose d’arte. Forse Cavalli si vede  ragazza, e anche il lettore, come nelle foto di copertina, e non si capacita, non vuole. E abbandona la concisione arguta, allegra, che la caratterizza. Per una satira, ancorché contrita. Del guardarsi o specchiarsi, che alla fine non è più euforizzante: “A quarantadue la bocca si fa grave”, dopo i cinquanta “le gambe si insecchiscono”, e “quei segni crudi agli angoli degli occhi, chiamati appunto zampe di gallina”. Un procedere swiftiano, “ma quanta fatica”.
Patrizia Cavalli, Con passi giapponesi, Einaudi, pp. 168, ril. € 17,50                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

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