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mercoledì 8 aprile 2020

Su Roussel un giallo Sciascia

Uno dei primi libri Sellerio – allora Edizioni Esse – dopo una prima pubblicazione sul settimanale “Il Mondo”, il 14 marzo 1971 – con una nuova presentazione di Pasquale Squillacioti. La ripresa di un “cold case”, i casi giudiziari non risolti, sollevato nel 1964, il 10 dicembre, da Mauro De Mauro su “l’Ora”, il giornale di Palermo: la morte a Palermo, al Grand Hotel et Des Palmes, il giorno della Bastiglia del 1933, dello scrittore francese Raymond Roussel. Trovato chiuso nella sua stanza, per avere “esagerato”, disse l’inchiesta sommaria di Polizia, “nella dose dei farmaci”, che prendeva perché “era ammalato  al cervello e pigliava dei medicinali per stordirsi”. Grazie anche alle testimonianza del cameriere Tommaso Orlando, figlio di Gaetano (poi curiosamente chiamato da Sciascia Gaetano Orlando), che per primo era intervenuto due settimane prima a salvare Roussel che si era tagliato le vene dei polsi. Di un facchino svizzero, Kreuz. E del medico dell’albergo, il professor Michele Lombardo. Il dottore era diventato nelle passate settimane confidente e amico del morto, del quale ricorda che giorni prima, affacciandosi dal balcone, gettava denaro ai passanti. Con l’ausilio del preciso diario terapeutico che per il morto teneva la signora sua convivente, “da circa 23 anni, maritalmente pur non avendolo mai sposato”, Charlotte Fredez, 53 anni, tre meno di Raymond. Nonché delle chiacchiere del giovane autista della “sontuosa e funebre roulotte” con la quale i due viaggiavano. 
È il primo di una sere di racconti-indagini che prenderanno poi la scrittura di Sciascia, “I pugnalatori”, Majorana, Moro, lo “smemorato di Collegno”. L’inquisitore Sciascia non risolve il caso, lo moltiplica. La morte di Roussel lascia agli “atti” giudiziari che riproduce, ma vi introduce il mistero dello scrittore che nella vita si perde, e vi rinuncia. Anzi, ne aggiunge due, anche uno suo. In “Nero su nero”, la raccolta di scritti vari di pochi anni dopo, 1979, Sciascia dirà che Roussel non gli interessava in quanto scrittore, semmai per “il suo non essere scrittore”. Per essere incapace di esserlo. “Scriveva, scriveva”, dice del morto senza pietà, irritato: “Ma tutto quello che ha scritto si accumula come una dolorosa gratuità, una enorme e tragica insignificanza. Non era scrittore, e voleva esserlo. Non aveva talento, e voleva darselo. Il suo ideale di scrittore era Pierre Loti (che è quanto dire)”. Mentre Roussel non voleva essere Loti, scrittore di esotismi, anche se scrisse un “Impressions d’Afrique”, ma tutto il contrario.
A Roussel Sciascia dedica in “Nero su nero” queste poche righe. Liquidandolo subito poi come scrittore della domenica, o il concorrente delle vecchie sagre locali, ora nazionali, alla “io scrittore”: “Anticipava una tragedia che molti oggi vivono. O che non vivono: se è facile, com’è facile,  trovare sempre qualcuno che è disposto a riconoscere talento a chi non ne ha, a proclamare scrittore o pittore o filosofo chi scrittore o pittore o filosofo non è”.
Come genere, la freccia tossica di Sciascia è bene indirizzata. Ma Roussel è incolpevole – gli studi rousseliani riempiono una vasta e qualificata bibliografia, rilanciata da Foucault. Ed è qui il terzo mistero, quello che la stroncatura apre: dei criteri o della capacità di giudizio di Sciascia. “Nero su nero” è uno zibaldone non ordinato, non per tema né per date. Ma esce a metà 1979. Quando almeno da due anni era disponibile la riedizione degli “Atti” a marchio Sellerio, con un risvolto che faceva stato di una setta agguerrita di “rousselâtres” in Francia. Del resto la Edizioni Esse degli “Atti”, 1971, nella Collana Bianca, recava in copertina uno schizzo di Clerici ben “rousseliano”. E un saggio ampio, quasi più del racconto di Sciascia, e argomentato di Giovanni Macchia, “L’ultima macchina di Roussel, ovvero la luce, l’estasi e il sangue”, su cui è difficile confondersi. L’illustre francesista vi riconciliava i due aspetti contraddittori di Roussel, di homo faber e di innovatore (precursore del surrealismo), “macchinista” e esteta-estatico. Uno scrittore non dai grandi risultati, forse, ma personalità complessa: “Tutta la produzione di Roussel, dopo i romanzi in versi, s’indirizza verso una sorta di modello puro, uno di quei modelli che nessun viaggio esotico può riuscire a farci incontrare: frutti di una gioiosa e gelida malattia e di una formidabile dose di «humour noir»: farse automatiche che un acuto razionalismo applica al caso”. C’era di che indagare. 
Leonardo Sciascia, Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, Adelphi, pp. 69 € 7


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