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Su Roussel un giallo Sciascia
Uno dei primi libri Sellerio – allora Edizioni
Esse – dopo una prima pubblicazione sul settimanale “Il Mondo”, il 14 marzo
1971 – con una nuova presentazione di Pasquale Squillacioti. La ripresa di un “cold
case”, i casi giudiziari non risolti, sollevato nel 1964, il 10 dicembre, da
Mauro De Mauro su “l’Ora”, il giornale di Palermo: la morte a Palermo, al Grand
Hotel et Des Palmes, il giorno della Bastiglia del 1933, dello scrittore
francese Raymond Roussel. Trovato chiuso nella sua stanza, per avere
“esagerato”, disse l’inchiesta sommaria di Polizia, “nella dose dei farmaci”,
che prendeva perché “era ammalato al
cervello e pigliava dei medicinali per stordirsi”. Grazie anche alle
testimonianza del cameriere Tommaso Orlando, figlio di Gaetano (poi
curiosamente chiamato da Sciascia Gaetano Orlando), che per primo era
intervenuto due settimane prima a salvare Roussel che si era tagliato le vene
dei polsi. Di un facchino svizzero, Kreuz. E del medico dell’albergo, il
professor Michele Lombardo. Il dottore era diventato nelle passate settimane
confidente e amico del morto, del quale ricorda che giorni prima, affacciandosi
dal balcone, gettava denaro ai passanti. Con l’ausilio del preciso diario
terapeutico che per il morto teneva la signora sua convivente, “da circa 23
anni, maritalmente pur non avendolo mai sposato”, Charlotte Fredez, 53 anni,
tre meno di Raymond. Nonché delle chiacchiere del giovane autista della
“sontuosa e funebre roulotte” con la quale i due viaggiavano.
È il primo di una sere di racconti-indagini che
prenderanno poi la scrittura di Sciascia, “I pugnalatori”, Majorana, Moro, lo
“smemorato di Collegno”.
L’inquisitore Sciascia non risolve il caso, lo
moltiplica. La morte di Roussel lascia agli “atti” giudiziari che riproduce, ma
vi introduce il mistero dello scrittore che nella vita si perde, e vi rinuncia.
Anzi, ne aggiunge due, anche uno suo. In “Nero su nero”, la raccolta di scritti
vari di pochi anni dopo, 1979, Sciascia dirà che Roussel non gli interessava in
quanto scrittore, semmai per “il suo non essere scrittore”. Per essere incapace
di esserlo. “Scriveva, scriveva”, dice del morto senza pietà, irritato: “Ma
tutto quello che ha scritto si accumula come una dolorosa gratuità, una enorme e
tragica insignificanza. Non era scrittore, e voleva esserlo. Non aveva talento,
e voleva darselo. Il suo ideale di scrittore era Pierre Loti (che è quanto
dire)”. Mentre Roussel non voleva essere Loti, scrittore di esotismi, anche se
scrisse un “Impressions d’Afrique”, ma tutto il contrario.A Roussel Sciascia dedica in “Nero su nero”
queste poche righe. Liquidandolo subito poi come scrittore della domenica, o il
concorrente delle vecchie sagre locali, ora nazionali, alla “io scrittore”:
“Anticipava una tragedia che molti oggi vivono. O che non vivono: se è facile,
com’è facile, trovare sempre qualcuno
che è disposto a riconoscere talento a chi non ne ha, a proclamare scrittore o
pittore o filosofo chi scrittore o pittore o filosofo non è”.
Come genere, la freccia tossica di Sciascia è
bene indirizzata. Ma Roussel è incolpevole – gli studi rousseliani riempiono
una vasta e qualificata bibliografia, rilanciata da Foucault. Ed è qui il
terzo mistero, quello che la stroncatura apre: dei criteri o della capacità di
giudizio di Sciascia. “Nero su nero” è uno zibaldone non ordinato, non per tema
né per date. Ma esce a metà 1979. Quando almeno da due anni era disponibile la
riedizione degli “Atti” a marchio Sellerio, con un risvolto che faceva stato di
una setta agguerrita di “rousselâtres” in Francia. Del resto la Edizioni Esse
degli “Atti”, 1971, nella Collana Bianca, recava in copertina uno schizzo di
Clerici ben “rousseliano”. E un saggio ampio, quasi più del racconto di
Sciascia, e argomentato di Giovanni Macchia, “L’ultima macchina di Roussel,
ovvero la luce, l’estasi e il sangue”, su cui è difficile confondersi.
L’illustre francesista vi riconciliava i due aspetti contraddittori di Roussel,
di homo faber e di innovatore (precursore del surrealismo),
“macchinista” e esteta-estatico. Uno scrittore non dai grandi risultati, forse,
ma personalità complessa: “Tutta la produzione di Roussel, dopo i romanzi in
versi, s’indirizza verso una sorta di modello puro, uno di quei modelli che
nessun viaggio esotico può riuscire a farci incontrare: frutti di una gioiosa e
gelida malattia e di una formidabile dose di «humour noir»: farse automatiche
che un acuto razionalismo applica al caso”. C’era di che indagare.
Leonardo Sciascia, Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, Adelphi, pp. 69 € 7
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