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mercoledì 1 settembre 2021

Letture - 466

letterautore

Capitalismo – Baudelaire lo vuole antireligioso, il meccanismo antireligioso per eccellenza, “Mon coeur mis à nu”, 1862-64: in America, nella democrazia e nel mondo moderno “il progresso si misura non con l’uso dell’illuminazione a gas nelle strade, ma con la sparizione dei segni del peccato originale”. In un mondo delle cose.
 
Comico
– Nasce in canonica? “Lo scherzo non conosce altro scopo che il suo proprio esistere”, muiùove da qui Jean Paul, “Vorschule der Ästhetik”, § 9. Ma nasce dalla serietà: “Sì, la serietà si dimostra quale condizione dello scherzo persino negli individui. Il serio ceto ecclesiastico ebbe i comici più grandi: Rabelais, Swift , Sterne; Young a opportuna distanza; Abraham a Santa Clara e Regnier a distanza ancora maggiore; e alla massima distanza si può citare ancora il figlio di un pastore” - cioè Jean Paul stesso.
 
Dante – Il sesto centenario della morte, un secolo fa, fu ben avventuroso. A illustrazione di un saggio di Emilio Gentile su Mussolini deciso ad abbandonare il fascismo, nel mese di agosto 1921, sfidato dai “giovani”, Grandi, Balbo, Farinacci, “Il Sole 24 Ore” documenta l’altra domenica con una foto “la marcia su Ravenna”: “I capi della rivolta anti-mussoliniana marciano su Ravenna il 12 settembre 1921 per rendere omaggio a Dante nel sesto centenario della morte”. Si prendeva Dante a testimone del fascismo puro e duro – squadrista.
 
Fino a fine agosto 64 edizioni (e ristampe) della “Commedia” e  di altre opere di Dante, e 310 saggi (libri) – Giuliano Vigini nella sua rubrica  su “La Lettura”. Ma il centenario non è finito: “Ci apprestiamo all’ultima ondata di almeno 50 contributi danteschi annunciati da settembre a fine anno”.
 
Fratelli Moravi - O fratelli formiche nei “Primi ricordi” di Tolstoj, formica in russo dicendosi muravej.  Tolstoj si dilunga su un gioco che il fratello maggiore “Nicolino”, Nikòlenika, grande lettore e fantasioso inventore di storie, aveva inventato per i tre fratelli più piccoli: “Consisteva nel sederci sotto le sedie che prima avevamo circondate con casse e coperte con scialli; ci mettevamo a sedere sotto le sedie al buio, stringendoci gli uni agli altri. Ricordo d’aver provato un singolare sentimento d’amore e d’emozione, e amavo molto questo gioco”.
 
Intoppare – Sta per “incontrare all’improvviso, inaspettato, per caso” secondo il dizionario. Suona dialettale. E tale di più nella traduzione del vangelo di san Matteo, V, 28-30 (“chiunque guarda una dona per appetirla, ha già commesso adulterio…”, per cui “Sse l’occhio tuo destro ti fa intoppare, cavalo…, se la tua mano destra ti fa intoppare, tagliala…” premessa da Tatiana Tolstoj al racconto ”Il Diavolo” nella raccolta di “Racconti e memorie” del padre, da lei apprestata nel 1942, per la traduzione di Corrado Alvaro: “Se l’occhio tuo destro ti fa intoppare”, “se la tua mano destra ti fa intoppare”…. Anche perché  anacoluto, senza la persona o la cosa in cui s’intoppa.
 
Maternità – “La maternità è uno dei pochi miracoli di cui la natura ci faccia dono”, Pedro Almodovar, con Cicala, sul “Venerdì di Repubblica”.
 
Nuova oggettività - Si scrive, si insegna a scrivere nelle scuole per scrittori, sulla traccia inventata da Getrude Stein e Hemingway: la frase breve, l’anticipo, il dialogo in fieri, ripetitivo. In parallelo con la coeva Nova Oggettività figurativa nata nella Germania disillusa dopo la guerra in reazione all’espressionismo, che ambiva alla concretezza e alo sgonfiamento del genere “artista”. Ma come poi adattata – aperta al solco sociale – dalla  scrittura beat anni 1950, Kerouac, Ginsberg et al.. Benché slegata di fatto dalla vita, passioni e dolori esibendo per cataloghi.
Usa nella forma racconto-saggio che “Gomorra” di Saviano – prodotto ampiamente editoriale, studiato a fini commerciali – ha introdotto con tanto successo in Italia. È una letteratura fatta con lo stampo. Ben scritta, ma immemorabile – non vissuta? non veramente (criticamente) costruita? La storia della letteratura provvidenzialmente caduta in disuso faticherebbe ad aggirarvisi: morto Calvino, che altro?
 
Petrolio – Ricordando Arbasino, “Stile Alberto”, Michele Masneri ricorda la sua fissa del capolavoro assoluto del secolo, il romanzone alla Thomas Mann-Musil-Proust-Joyce, che si portava appresso per aggiornarlo di continuo, e per la paura di perderlo, in un furto o in incendio a casa. E quando viaggiava depositava in una cassetta di sicurezza in banca. Questo specialmente dopo un incendio in casa e un incidente in automobile. Lo ricorda a proposito dei rapporti tra Arbasino e Pasolini, finiti sull’acido. E a questo proposito riesuma la recensione di “Petrolio” su “la Repubblica”, uno “sfottò colto”.
In realtà, a rileggerla, la recensione non era sfottente. Però, Masneri, che all’epoca frequentava Arbasino, assicura che una sessantina di pagine del “capolavoro disperso” erano sull’Eni. Qualcosa di analogo, ricorda, in piccolo, alla fantasia morbosa, cattiva, di Pasolini. E si può immaginare perché: il petrolio è un po’ diabolico (oggi la cosa fa ridere, ma negli anni 1970-1980 no), sporco, caro, il multinazionale per eccellenza del terrorismo, e l’Eni era l’unica cosa italiana attiva in campo internazionale, su petrolio e affini, imponente, e un po’ riservata. Ma per esperienza personale, avendoci lavorato in quegli anni, e proprio nel settore più sensibile, dell’informazione, all’esterno e all’interno, si può assicurare che non c’era niente di diabolico, nemmeno di corrotto (sic!) –solo un po’ più di conoscenza di “Chiasso”, che a Arbasino in teoria avrebbe dovuto fare piacere. Tanto più se Pasolini lo accusava di “un certo provincialismo” – il lombardo figura sempre provinciale, up-to-date di programma, il tipo delle novità e delle mode, quello che “fa” l’inglese a Londra l’americano in America e ora, chissà, il cinese in Cina.
 
Recensore – Figura scomparsa, il recensore di libri – se noin sotto la forma della pubblicità indiretta, della frase ad effetto da servire come soffietto pubblicitario (blurb).Anche perché autore di un opus infinito? Era l’ipotesi di Jean Paul, in uno dei tanti pensierini, il n. 144, di cui infioretta  il racconto satirico “Viaggio a Fl ”: “È”, era, “l’unico in tutto il dizionario biografico degli autori a non poter mai compilare ed esaurire se stesso, anche stando seduto un secolo o un millennio davanti al calamaio”.
 
Christian Schubart – Hermann Hesse, L’uomo con molti libri, fa raccontare al giovane Mörike, nel corso di una visita a Hölderlin nella torre insieme con Waiblinger, di un avventuriero, Joachim Andreas Vogeldunst di Samarcanda, che tra le tante sciocchezze gli chiede se “Schubart, il poeta, viveva ancora – intendeva dire quell’infelice che era stato venduto agli ottentotti  da Federico il Buono e che là aveva composto l’inno nazionale africano”. Per dire di un ciarlatano, che scambia Federico il Grande per Federico il Buono, e Schubart organista e compositore per un colono in Africa. Ma Schubart è lo stesso personaggio “inventato”: musicista, giornalista, polemista politico, poeta – morì compianto da Hölderlin.

letterautore@antiit.eu

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