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domenica 17 aprile 2022

La felicità prima della fine - Nietzsche a Torino

“Molto strano! Da 4 settimane comprendo tutti i miei propri - anzi, li stimo. In tutta serietà, non ho mai saputo che cosa significassero; mentirei se volessi dire che, a parte ‘Zarathustra’, mi avessero impressionato” – p.160. È lo stato di particolare aura, prima dell’evento: di chiarezza anche autocritica. Al termine di un autunno “di sfrenata bellezza” ancora a dicembre, ottimi cibi, cortesia, musica  eccezionale – “sono appena tornato, il 2 dicembre 1888, una domenica pomeriggio, “da un grande concerto, che è stato a conti fatti, la più forte impressione  concertistica della mia vita”, commosso fino alle lacrime, per “un pubblico sceltissimo”, scrive al musicista Köselitz (“Peter Gast”), “tutte cose estremamente raffinate”: l’ouverture dell’ “Egmont”,  la marcia ungherese (probabilmente il “Divertimento all’ungherese”, n.d.r.) di Schubert, un pezzo per gli archi di Rossaro, musicista torinese morto trent’anni prima (è questo pezzo che lo ha fatto piangere), la “Sakuntala Ouverture” di Karl Golmark, “otto volte una tempesta di applausi”, ancora un pezzo per archi, il “Canto ciprio” di Vilbac, quindi l’amatissimo Bizet, l’anti-Wagner, l’ouverture “Patrie”.
Nietzsche a Torino è di un entusiasmo senza limiti, sfrenato, incontinente. Pensare di scrivere all’imperatore, di scrivere e Bismarck, di abbozzare comunque le lettere, per annunciare la rivoluzione, o di rivoluzionare il mondo con gli annunci editoriali, delle proprie opere, è eccessivo ma non strano. La concitata corrispondenza si segue divertiti ma non perplessi. Complici di una bizzarra efflorescenza di benessere. Una produttività straordinaria, quattro libri in quattro mesi, tutti “capitali”, e corrispondenze fitte, elaborate, con gli amici, gli editori, le conoscenze, i critici. Con progetti di edizione ovunque, in francese, in inglese. Per l’italiano pensa a Carducci, per il quale abbozza una lettera, a Natale del 1888, poco prima del crollo: “Stimato signore, so fin tropo bene quanto lei comprenda il tedesco: consideri se non vuole presentare agli italiani” anzitutto “Nietzsche contra Wagner”, l’ossessione principale.
“Un attentato” dice le sue ultime opere “volto alla totale distruzione dei tedeschi”, rei di non riconoscerlo, di con apprezzarne la grandezza, Ma, insieme, di perfetta lucidità nelle argomentazioni, contro Wagner e la décadence, per la creatività come gioco, lieve, e contro le nebbie della filosofia tedesca. Opinabile ma comprensibile.
La serie di lettere messianiche predisposte già molto giorni prima del crollo, all’imperatore, a Bismarck, a Taine, a vari interlocutori, alcuni fittizi per i progetti di edizioni multilingue, date per reali, e per annunciare l’“attentato al cristianesimo”, sono di evidente mania di grandezza. Una sorta di sindrome di onnipotenza. Declinata ragionevolmente (grammatica, sintassi, consequenzialità, titoli, personalità e qualità del destinatario). Ma in una sorta di hortus conclusus, in uno stato irenico, insensibile alla stagione – celebra l’eterna primavera a Natale a Torino, dopo la nebbia e il nevischio.
Una condizione di “entusiasmo”, in senso filosofico e teologico, un invasamento. L’esaltazione è confortata dagli apprezzamenti di Strindberg, entusiasta, e di Taine. Ma si nutre dell’ossessione di Wagner – ne è minata. Della Germania sempre. E anche degli ebrei, contro il cognato e la sorella antisemiti, ma in filigrana ubiqui: “Senza ebrei non c’è immortalità”, spiega da ultimo all’amico Köselitz (“Peter Gast”), “non a caso sono «eterni»”. Allo stesso ha spiegato il 9 dicembre, ancora presumibilmente lucido: “Lei sa già che per il mio movimento ho bisogno di tutto il grande captale ebraico?”.
Curate da Giuliano Campioni (sulla traduzione di Vivetta Vivarelli), che le dota di molte note, purtroppo come al solito in queste edizioni Adelphi di notevole perdita di tempo e distrazione, così complicate da compulsare.  
Friedrich Nietzsche, Lettere da Torino, Adelphi, pp. 269 € 15

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