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mercoledì 20 aprile 2022

Diderot critico disappetente

L’originale accompagna la traduzione, con un apparato critico molto esteso, e una lunghissima presentazione: i nove saloni coperti dal critico Diderot, dal 1759 al 1781, coprono un quato del testo, poco più. Di cui nulla resta di memorabile – a parte, nell’ultimo saggio, da critico già in età e deluso, l’individuazione del debuttante David, col “Belisario”: “Lo vedo ogni giorno e mi sembra sempre di vederlo per la prima volta”.
Diderot amava la pittura e amava la società. Ma fece il critico d’arte per la pagnotta, recensendo anonimo la mostra periodica a Parigi dei nuovi artisti, dapprima ogni paio d’anni, poi a caso. Per la “Correspondance littéraire, philosophique et critique” di Friedrich Melchior von Grimm, che si forniva agli abbonati, eletti e pochi, manoscritta per evitare la censura.
Sono scritti che Diderot volle anonimi, per non offendere la sensibilità degli espositori, che comunque avevano faticato. Testi ritenuti all’origine della critica d’arte. Ma non per altro memorabili, a parte uno o due aneddoti diderotiani, piccanti – l’erezione incontrollabile di Diderot nudo modello per un ritratto della “capricciosa artista prussiana” madame Therbouche, donna “non molto giovane, nè carina”, che voleva sdebitarsi di una recensione favorevole. O la censura di Boucher, che per “L’odalisca” aveva “prostituito” la moglie, dipingendola nuda. O dell’amato Greuze sottintendendo che anche la moglie (di Greuze) era stata da lui (Diderot) amata – ma in passato, ora “la tinta giallastra e la mollezza sono della signora”. Materialista e edonista, rifiuta la pittura libertina dei Boucher, Baudouin, Fragonard ("Mi sembra di aver visto abbastanza tette e culi"),
Un catalogo anche utile, ma non di più. Diderot censura la licenziosità camuffata da mitologia neopagana, perché vi scorge gli eccessi di una civiltà distrugge il desiderio banalizzandone il mistero in cliché. Una maniera - “Dove mai si sono visti pastori vestiti con tanto lusso ed eleganza?” E si fa paladino della naturalezza – specie nella prolissa trattazione di Vernet, il pittore delle marine. Salvo aggiungere: “L’imitazione rigorosa della natura renderà l’arte povera, misera, meschina”.
Scritti umorevoli, che riletti adesso risultano avariati, tipo quelli in cui all'arte assegna il compito di creare una nuova religione civile sulle macerie morali del cigolante Ancien Régime. Sono anche le tare dei suoi “drammi borghesi”, congegnati per rinnovare il teatro . malgrado il paradossale “Paradosso dell’attore”. E se Diderot fosse, fosse stato, un battutista? Naturalmente no. Forse è la critica d’arte un genere di poco fondo . si vedano oggi gli stucchevoli diluiti chiacchiericci attorno alla Biennale di Venezia – il cui tema peraltro è il “postumano”, di che épater tutti i borghesi.
A cura di Maddalena Mazzocut-Mis e Massimo Modica.  
Denis Diderot,
I Salons, Bompiani, pp. 1980, ril. € 70

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