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mercoledì 13 luglio 2022

L’Italia crolla, Washington è indifferente

La fine è della “Prima Repubblica”, o dell’assetto democratico, seppure debole, dell’Italia per un colpo di mano di un gruppo di giudici, napoletani di Milano, e dei giornali, sempre milanesi: un golpe all’insegna, non dichiarata, del leghismo (poi finito naturalmente nei torbidi, il partito più ladro d’Italia). La fine dal punto di vista americano, dell’ambasciata americana a Roma – “La fine della prima repubblica negli archivi segreti americani” è il sottotitolo. Archivi per la verità non segreti, non per la serie di documenti che Spiri ha potuto consultare, che sono i rapporti dell’ambasciata al Dipartimento di Stato, quelli ufficiali - quelli veramente segreti, se ne esistono, lo sono ancora. Non grandi analisi, avverte lo storico, i rapporti sintetizzano la situazione quale emerge dall’opinione pubblica italiana, dai media. Più o meno confermata da qualche conoscenza personale dei diplomatici (che però, va detto, fanno e facevano poca vita sociale).

I dispacci sono tutti pro-Milano. I giudici sono stati ricevuti all’ambasciata, dove hanno spiegato che faranno piazza pulita di tuti i partiti - mentre cancelleranno tutti i partiti eccetto i loro, il Msi e il Pci. E più volte dal console americano a Milano, che li cerca con insistenza. La sorpresa di questi dispacci è indiretta: la fine annunciata della “Prima Repubblica” non 9turba l’ambasciata, anche se l’Italia è un alleato e una base sensibile nel Mediterraneo. Le cronache vengono sintetizzate in chiave simpatetica. Si parla di manifestazioni di popolo per i giudici, che sono invece quelle che sono mancate – le “manifestazioni di popolo” sono l’imboscata del Pci contro Craxi all’hotel Raphael.

Ancora più strano è il distacco diplomatico considerando che la crisi politica si doppiava con quella dell’ordine pubblico, con le stragi di Palermo – Riina leggeva i giornali, o chi per lui, e sapeva cosa accadeva a Milano. Ma il collegamento che l’ambasciata fa di queste due emergenze è importante: nessuno storico, per tacere dei cronisti, lo ha rilevato e lo rileva, benché sia una lettera aperta.

Falcone era conosciuto e apprezzato negli Stati Uniti, dal tempo del maxiprocesso. I rapporti tengono quindi conto di Palermo. Ma più per il lato politico che sembrava emergerne, di una qualche responsabilità di Andreotti.

Spiri sembra fare differenza tra l’ambasciata della presidenza repubblicana, di George Bush, fino al 1992, e quella democratica di Clinton, dal 1993. Ma l’ambasciata americana a Roma in epoca Democratica è stata ben più interventista di quella repubblicana: prima di Clinton, e dopo Kennedy-Johnson, ci fu quella di Carter, il cui ambasciatore a Roma, lo storico diplomatico Gardner, 1977-1981, si agitò molto e in fondo sconfisse l’alternativa di sinistra, un governo alternativo alla Dc, con la partecipazione del Pci – Clinton porterà l’Italia addirittura a dichiarare guerra, alla Serbia (non a dichiararla, a farla).

Latita sempre – sempre evitato – un riesame storico dell’atlantismo, che fa ormai quasi ottant’anni, un’epoca, e in esso del rapporto fra l’Italia e gli Usa. Curioso, in questa più ampia disattenzione, è il non detto di questa “Fine”, va ripetuto: non c’è paura o apprensione per un procedimento di degrado politico, a opera di giudici avventurosi e del leghismo milanese, politico e editoriale, e quindi dell’indebolimento dell’Italia. La quale invece aveva appena avuto un ruolo di primo piano nell’indebolimento e la caduta dell’impero sovietico. Con i finanziamenti Bnl, cioè del partito Socialista, a Solidarnosc. Col sostegno al cardinale Glemp in Polonia, nella sua ambigua coesistenza col generale Jaruzelski (l’analisi famosa di Sandro Viola, “Il cardinale e il generale”), e al papa Woytiła a Roma. E soprattutto con il si allo schieramento in Italia dei missili americani Cruise, gli euromissili, che fecero saltare l’ultimo bluff sovietico, imposto da Craxi a De Mita (ministro degli Esteri Andreotti), e a Andreotti recalcitrante che gli succedette, col sostegno di Cossiga dal Quirinale. Si dice di Craxi che era indigesto a Washington  per la vicenda dell’“Achille Lauro” e di Sigonella, la base aerea siciliana dove fece schierare i Carabinieri contro i Marines che volevano il terrorista Abu Abbas, che Craxi aveva promesso di liberare al mediatore Arafat. Ma nel 1992 non c’era Reagan alla Casa Bianca, il il presidente americano che meno conosceva il mondo, ma il diplomatico George Bush.

Andrea Spiri, The End 1992-1994, Baldini + Castoldi, pp. 236 € 18


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