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giovedì 19 gennaio 2023

La scoperta della Tauride

L’imperialismo russo in due brevi saggi, per la Società Italiana di Storia militare quello sul Tolstoj, di una studiosa russa. Su un territorio di cui non si contesta probabilmente più, malgrado le residue resistenze ucraine, il carattere russo, ma conquistato nel Settecento con una guerra lunga e feroce contro il khanato indipendente, all’interno dell’impero ottomano. Polomochnykh ricorda e contestualizza la conquista, ma soprattuto spiega come la Tauride, “come si chiamava fino a un secolo fa”, entrò nel cuore dei russi.
La scoprì Puškin, che “vi passò tre incantevoli settimane di vacanza nell’estate del 1820, durante il suo primo confino politico a Ekaterinoslav”, oggi Dnipro. “Sotto la benevola sorveglianza del generale Raevskij, padre di un suo compagno di liceo e di quattro bellissime fanciulle, tutte intelligenti, colte e – tranne una – più giovani di lui”, che naturalmente lo innamorarono – le prime due sposeranno dei “decabristi”, i giovani nobili rivoluzionari del 1825. Ci scrisse il poema “La fontana di Bachčisaraj”, “affresco romanntico dei fasti e degli intrighi dell’harem dei khan di Crimea”, e il mito dilagò, “storico, multiculturale e multietnico della Tauride”. Subito ci vennero Muravyev-Apostol, che la celebrò anche lui, l’amico Griboedov, e il giovane Gogol’.
“Nel Jurzuf”, centro balneare, Puškin ricorderà anni dopo, “vivevo sedentario, facevo il bagno nel mare e mi abbuffavo d’uva; mi sono abituato immediatamente alla natura del mezzogiorno, della quale godevo con tutta l’indifferenza e la noncuranza del lazzarone (in italiano, n.d.r.) napoletano. Mi piaceva camminare di notte e ascoltare per ore lo sciabordio delle onde. Vicino a casa cresceva un giovane cipresso; ogni mattina andavo a trovarlo e mi legai a lui con un sentimento simile ad amicizia”. Un idillio, per profonde ragioni, spiega Polomochnykh, oltre che per l’identificazione con Ovidio, anche lui esliato sul Mar Nero: “Il clima caldo e la natura gli parlavano della tanto agognata Italia, dove non poté mai recarsi. Non lontano si trovavano gli antichi insediamenti genovesi e veneziani, che aumentavano il fascino della Tauride cosmopolita, dove si mescolavano i resti delle colonie greche e romane, le moschee e le cupole cristiane. Col suo sangue africano, Puškin doveva sentirsi qui a suo agio”.
Tolstoj ci fece la guerra del 1853-1856, quella di Sebastopoli, della carica dei Seicento, e dei bersaglieri di Cavour – di cui la realtà, sotto il mito, è questa, nota Polomochnykh: “La guerra e il colera immolano un quarto di milione di russi e sessantamila inglesi, francesi e piemontesi”.  Tolstoj ci arriva ventisettenne, ufficiale d’artiglieria, reduce dal Caucaso, ancora “incantato dalla guerra” - “l’anno prima, esasperato dalla vita di guarnigione in uno sperduto villaggio, aveva chiesto il congedo”; non avendolo ottenuto, “aveva fatto domanda per Sebastopoli”. Nel diario si annota incantato dalla guerra. I commilitoni lo ricordano “insubordianto, sarcastico, scontroso, trascurato nel servizio, unicamente interessato alla letteratura, a parte il gioco d’azzardo”. Un vero principe, si direbbe – non batte ciglio perdendo al gioco anche la cas a di Jasnaya Poliana. Ma anche perché, operando nella zona più difficile, è bravo, “dimostra capacità di comando”.
Poi ritorna a San Pietroburgo, scrive i tre “Racconti di Sebastopoli”, e passa dall’ammirazione per la vita militare, per la generosità e la dedizione dei singoli del primo racconto, quello che ne crea la fama, lo zar in testa, al rifiuto della guerra. Non proclamato, non ancora, ma vissuto, rappresentato. Di grande impatto sul publico. I racconti lo consacrano scrittore, “Guerra e pace” ne germinerà. Sarà stato un ultimo miracolo della Tauride, si voglia russa opure tatara (tartara).
Tatiana Polomochnykh, Tolstoj in Tauride, limesonline, free
Id., La Crimea di Puškin, ib.

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