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mercoledì 25 gennaio 2023

Quanta russofilia, e russi in Italia

Molti socialisti, e molte donne ed ebrei, categorie cui l’accesso all’università era vietato in Russia, presero a fare gli studi a fine Ottocento in Italia, i più a Napoli, Torino e Pisa. Nel marzo del 1913 Gork’kij e gli altri russi di Napoli-Capri potevano ideare un “Primo congresso delle organizzazioni russe culturali, sociali ed economiche in Italia”, che si tenne a Roma, in una biblioteca russa, la “Leone Tolstoj”, che allora esisteva, in via Sistina. Molto poi si farà per gli esuli della rivoluzione d’Ottobre, isolati rispetto ai grandi centri dell’emigrazione, Berlino, Parigi, Londra, ma presto e bene inseriti.
Antonella D’Amelia, che ha coordinato una serie di progetti prin dedicati ai russi in Italia, e ha pubblicato a Mosca tre anni fa, insieme con Daniela Rizzi, l’enciclopedia “La presenza russa in Italia nella prima metà dell’Ottocento”, raccoglie qui nove ricerche, dettagliate e ottimamente raccontate, di grande lettura, su varie attività e vari personaggi della cultura russa attivi in Italia nel primo Novecento. Le esposiziono internazionali in voga a Fine Secolo, fine Ottocento, e i padiglioni russi nelle esposizioni italiane, fino alla rivoluzione d’Ottobre. Come Torino diventò la “capitale del cinema” italiano, attrazione irresistibile per i russi. Lo straordinario torinese Riccardo Gualino, artefice di mille iniziative, compresa una “Nuova Pietroburgo” in Russia prima delle fibre sintetiche in Italia – che Mussolini non eviterà di mandare al confino a Lipari. Il Sud come “cartografia fantastica”, specie Napoli, Capri, Sorrento e la Calabria. Le più ampie, e finora uniche, ricerche e ricostruzioni della scena teatrale italiana tra le due guerre, così vivace, e di interesse vasto, si direbbe popolare, sebbene innovativa, di ricerca. Soprattutto a Roma: attorno ai Bragaglia (la Casa d’arte e il Teatro degli Indipendenti), al Teatro d’Arte di Pirandello, a Rosso di San Secondo, e ai tanti artisti russi che hanno movimentato le scene: Pëtr Šarov, Tatiana Pavlova, Jia Ruskaja, Ivan Mozžuchin, i Pitoëff (una prima vindication dei Pitoëff, si può aggiungere, il regista e l’attrice, bizzarramente dimenticati belle storie del teatro, che tanto hanno fatto tra l’altro per il teatro italiano a Parigi nel dopoguerra, soprattutto Pirandello, e ancora negli anni 1960). Il pittore armeno Sciltian. Il Teatro Romantico Russo. I Sacharov – teatranti. Il teatro ebraico Habima. Nella russofilia tra le due guerre, specie negli anni 1920, prima che anche nella cultura Mussolini privilegiasse l’autarchia.
Una rappresentazione vivace di Torino, nel primissimo Novecento, e poi, dopo la Grande Guerra, di Roma. Di quando, nei decenni pur seclusi tra le due guerre, era centro d’attrazione della cultura europea, di letterati, musicisti, pittori, scultori, quale poi non è più stata. Soprattutto, si direbbe, dei russi, e per merito loro. Un incredibile innesto della cultura russa in Italia ne esce documentato, durante e dopo la Grande Guerra, per tutti gli anni 1920-1930, nel teatro, la danza, la musica. Dopo la rivoluzione bolscevica ma anche prima. Ci fu perfino una voga russa. Il comediografo Bonelli per maggior successo si finge russo.
Sorretta da una bibliografia sterminata, Antonella D’Amelia riesce a costruire in dettaglio e a condensare in poche pagine affascinanti le stagioni artistiche della prima metà del Novecento. Con molti à coté interessanti e importanti. Una circostanziata rivalutazione di Respighi, nelle sue attaches russe, e altre. Il ripescaggio di Ruggero Vasari e Vinicio Paladini. Le serali stagioni dell’Opera Italiana a Pietroburgo e a Mosca a cavaliere del 1900. Zarjan, il musicista armeno che musica la sua patria infelice. O l’avventura di Giuseppe Chiacigh, architetto e pittore, “figlio di commercianti veneziani trasferitisi nella seconda metà del XIX secolo nel Caucaso, dove fondarono una colonia veneta non lontano da Vladicavkaz”, la capitale oggi dell’Ossezia, che dopo la rivoluzione d’Ottobre ritorna con la famiglia nella Slavia friulana. Berlino capitale degli intellettuali russi, emigrati e non, nei primi anni 1920, gli esiliati sul “piroscafo dei filosofi”, ben risaltata in due pagine. L’influenza duratura di Šarov, regista e animatore, a partire dal fantasmagorico “Gruppo praghese” di artisti del Teatro d’arte moscovita, ammirato in tutta Europa negli anni 1920, poi stabilitosi in Italia – molto attivo ancora nel dopoguerra, con Gino Cervi, Franca Valeri e altri nomi dispicco della scena. E ua miriade di personaggi delo spettacolo: Idel’son, Strunke, Benua, registi, scenografi, coreografi, danzatori, mimi.
Una ricerca è dedicata alla diaspora ebraica dopo la rivoluzione, a Trieste e altrove. Una al ruolo della Casa d’arte Bragaglia e del Teatro degli Indipendenti, sempre targato Bragaglia, una storia di cui capita di sentire parlare ma della cui proiezione, nella capitale e in Italia, non c’era ancora una rappresentazione altrettanto significativa. Più in generale un quadro diverso emerge dalla storia culturale della Repubblica, o delle “due culture”, la confessionale e la comunista. Con la ripresa di figure italiane seppellite dal compromesso repubblicano: Respighi, Rosso di San Secondo, i futuristi. Soprattutto questi: il futurismo a teatro, negli anni 1920, nelle regie, le scenografie, i costumi. La rivalutazione è decisa del futurismo in medias res, a teatro come in musica e nei testi. Dell’impatto che Marinetti aveva avuto sulla giovane cultura russa, poetica, pittorica e musicale.
L’arte russa in Italia è anche, di scorcio, una rassegna degli eventi artistici delle città italiane che ne videro la partecipazione, a Fine Secolo e primo Novecento. A Torino in particolare, ancora un po’ capitale, e a Roma. Ancora in piena guerra, fino al 1917, Stravinskij annota nelle “Cronache della mia vita” una concentrazione a Roma di artisti russi “sbalorditiva” – compreso lui stesso, a Roma per collaborare alla lunga tournée dei Balletti Russi di Djagilev, che il 7 maggio al Teatro Costanzi, l’Opera di Roma, a una festa per il coreografo Leonide Massin, dirigeva brani dei suoi “Petroushka” e “Oiseau de feu”, e il poema “Fuochi d’artificio”.
“Artisti e scrittori nell’Italia del Novecento” è il sottotitolo. Una ricostruzuione letteraria (artistica), e insieme da social scientist, da critico culturale. Un omaggio anche alla cultura italiana, viva, e di notevole attrazione internazionale, negli anni fino alla seconda guerra mondiale. Attorno al futurismo e non solo – aperta a molte innovazioni. Un recupero corposo e prezioso di personalità e epoche perdute o trascurate nelle storie del Novecento italiano. Per la russofilia, “un altro aspetto dominante nella cultura dei primi anni Venti, quando artisti, danzatori, musicisti, registi e attori russi invadono non solo le ribalte dei grandi teatri (Costanzi, Quirino, Valle), ma anche i teatrini di varietà e i cabaret (Apollo, Salone Margherita), immettendo nel teatro italiano echi e suggestioni delle coeeve esperienze russe”. E per la vivacità dell’innovazione, non ancora per un pubblico d’eccezione come ora avviene, ma come “fatto di cronaca”, di discussione, di seguito largo. 
Una ricerca che gli eventi hanno reso controcorrente – tutto ciò che è russo essendo bandito. Ma di una realtà, la forte attrazione che Roma e l’Italia ha esercitato su artisti e letterati russi, che ha trasceso altri epocali eventi.
Con molti “quadri” dell’Italia stessa negli stessi anni, vivacemente rappresentati. Di Roma agli inizi del Novecento, di Torino che diventa la capitale dell’innovazione (cinema, radio, telefono), della passoione per le Expo. Le meraviglie del palazzo Stroganov, all’incrocio di via Sistina e via Gregoriana a Roma, di una collezione orientale che fu famosissima – col romanzo del conte Stroganov, “che possedeva miniere d’oro negli Urali, grandi latifondi, e fabbrche di vodca”, ed “era il mecenate della colonia russa romana”. Molto D’Amelia ricava dalle memorie del principe Volkonskij, centrali per la storia di Roma, bizzarramente non tradotte. Il “romanzo” di Gor’kij, a Capri e a Sorento, con personaggi altrettanto fantasmagorici, il poeta Zubakin, rosacruciano (della sua loggia “Stella” a Minsk faceva parte Ejzenštejn). Il romanzo di Gualino. Lo sucltore Konënkov, la cui moglie è una spia sovietica, e nella successiva emigrazione in America innamorerà Einstein e Oppenheimer, per carpire segreti sulla bomba atomica. La spia “Elena Ferrari”, al secolo Ol’ga Fedorovna Revzina, ufficiale combattente contro la controrivoluzione in Russia, mutilata in guerra di un dito della mano sinistra, già in missione in Turchia e a Berlino, che a Roma innamora mezzo futurismo. Oltre ai personaggi più noti, Jia Ruskaja, Tatiana Pavlova, Šarov, riproposti a figura intiera.
Una serie di racconti mirabolanti, ma di una realtà che era essa stessa mirabolante – inconsueta, innovativa. Registro anche, e testimonianza, delle radici europee della Russia, quella zarista e quella sovietica. Una raccolta insieme storica e, si spera, seminale. Di innumerevoli figure e filoni in larga parte ancora da arare. Di un mondo molto colto, molto europeo. Molto presente per almeno un secolo nella cultura italiana, direttamente e indirettamente.
Con una documentazione fotografica ricchissima, e “inedita”: di persoanggi, scene e costumi teatrali, pitture e sculture. L’indice dei nomi va su due colonne per oltre venti pagine.
Antonella D’Amelia, La Russia oltreconfine, Carocci, pp. 375 € 39

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