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venerdì 27 gennaio 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (514)

Giuseppe Leuzzi

“La luce sugli ulivi in Italia” Camus trova, nella prefazione del 1958, poco prima della morte, a “Il diritto e il rovescio” tra “tutto ciò”, dice, “che a miei occhi testimonia la verità”. Con non molto altro: “una madre silenziosa, la povertà, l’amore solitario e popolato”.
 
“Striscia la notizia” può fare un collage di scemenze attorno a Messina Denaro. Specialmente vocali: chi lo chiama Mattia, e qualcuno perfino Mattea – parliamo delle tv. Un colonnello (o generale, ha tre stelle) dei Carabinieri ne parla come di Mattia Massina Denaro. C’è molta distrazione sui fatti di mafia.
 
“Carlo Nordio, da Treviso, in via Arenula (ministro della Giustizia, n.d.r.). Fabio Pinelli, da Padova, vice di Mattarella al Csm. Andrea Ostellari, da Padova anche lui, sottosegretario alla Giustizia. Ciro Maschio, da Verona, presidente della commissione Giustizia della Camera. Pierantonio Zanettin, da Treviso, capogruppo di Forza Italia alla commissione Giustizia del Senato. E per chiudere pure l’intraprendente Alberto Rizzo, da Vicenza, capo di gabinetto di Nordio”.
Stupendo colpo d’occhio di Liana Milella al plenum del Csm: “Da ieri la cordata veneta che domina la giustizia italiana è al completo”. Il tribalismo è forte, la Lega, il più atico prtito italiano e, con alti e bassi, il più robusto, è tribale. Il Nord è tribale.
 
Singolare inchiesta di Giulio Sensi sul “Corriere della sera”, sulla pratica sportiva in Italia, anche solo di una passeggiata. Risulta che un italiano su tre, poco meno, il 30 per cento, è sedentario, non pratica “nessuna attività fisica”. Ma di questo terzo il 43,2 per cento vive al Sud.
Degli enti di promozione dello sport, il Sud vanta il 26,9 per cento dei tesserati, il Nord il 24,4 per cento. Che però fanno poca attività: degli “eventi” sportivi promossi, per favorire visibilità (attrazione) e atletismo: solo il 18 per cento si organizza al Sud, contro un 73 per cento al Nord.
 
La migliore antimafia è dei “mafiosi”
Mercoledì Berlusconi può vantare a Paola Di Caro sul “Corriere della sera”: “L’idea che essere garantisti significhi essere meno fermi nella lotta alla mafia è semplicemente assurda. Glielo dice un uomo che dopo aver reso permanente nel 2002 il carcere duro, cioè il 41bis, per i mafiosi, nell'ultima esperienza da premier nel 2011 guidò un governo che sequestrò alle cosche beni per 18 miliardi di euro, e fece arrestare 6.754 mafiosi, compresi 29 dei 30 latitanti più pericolosi. Ne mancava uno e si chiamava Matteo Messina Denaro, caturato oltre 10 anni dopo”. È vero.
Sono di Berlusconi, dopo Andreotti, le norme antimafia più punitive, di maggiore impatto. Dei due capi di governo più collegati dalla giustizia a Cosa Nostra. Andreotti è stato processato come fiancheggiatore, cioè protettore. Di Berlusconi il miglior collaboratore e uno degli amici più stretti, Dell’Utri, è stato anche condannato. Dopo che è stata variamente tentata, col “pentito” Spatuzza, l’incriminazione di Berlusconi stesso - memorabile il processo-monstre in transferta, con centinaia di giornalisti allertati, del giudice Alfredo Montalto nel 2011 per ascoltare i mafiosi Graviano, o uno dei Graviano, che avrebbe dovuto accusare l’allora presidente del consiglio Berlusconi (Montalto poi si illustrerà al processo Stato-mafia per la condanna di Dell’Utri e gli ufficiali del Ros dei Carabinieri – che in Appello saranno assolti – con una sentenza di cinquemila pagine: non per scherzo).
Da sinistra si ricorda invece la messa nel mirino del giudice Falcone – ampiamene documentata su questo sito, più distesamente in:
http://www.antiit.com/2010/05/la-vera-storia-di-giovanni-falcone.html
Da Leoluca Orlando e Michele Santoro denigrato in tv, alla Rai. Dallo stesso Orlando, con Alfredo Galasso e Carmine Mancuso, mandato sotto processo al Csm nel 1991 – Falcone se la cavò spiegando che gli appalti si facevano a Palermo col sindaco Orlando allo stesso modo come col sindaco mafioso Ciancimino: lo fece  sorridendo, ironico, e sbagliò. Dal Pci, che gli preferì Cordova come candidato alla istituenda Superprocura Antimafia - “l’indipendenza politica di Cordova è comprovata per tabulas ed è più marcata che in Falcone”, di Cordova che era missino professo.
 
Sciascia meridionalista
Il burbero Sciascia così scriveva nel 1964 a Vito Laterza, l’editore, che lo stimolava a nuove collaborazioni dopo il successo del debutto, “Le parrocchie di Regalpetra”: “Laterza è il mio editore «naturale»: per la geografia, per la tradizione, per il rapporto personale e di collaborazione che si è stabilito fra noi (io ricordo sempre quanto Lei mi abbia aiutato per le ‘Parrocchie’, a scriverle, a darle - sic! - forma), Einaudi è invece irraggiungibile, dietro le sue barriere burocratiche (e di una burocrazia che non ha nemmeno il merito di essere ordinata): e Lei può immaginare quanto ciò sia irritante per un meridionale come me, abituato a risolvere tutto nel rapporto personale, di amicizia”.
L’amicizia restò forte in Sciascia – fino a indulgere a qualcuno del suo paese in odore di mafia. Ma per pubblicare continuò a pubblicare con Einaudi. In un certo senso, doppiamente meridionale.
 
Le grida antimafia
Si legge con sgomento il resoconto dell’arresto del collaboratore di Messina Denaro, Andrea Bonafede, a sei giorni dall’aresto del caponafia:
https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/23_gennaio_24/andrea-bonafede-arresto-messina-denaro-7643b905-3e2a-42c7-bb6a-e65be877bxlk.shtml
Mai tanto garantismo per un galantuomo. E un’indigenza investigativa da non credere: si arresta dopo sei giorni, e solo per supposizioni, presunzioni, deduzioni uno che lavorava a tempo pieno per il latitante e lo ha aiutato in mille modi.
Si capisce la debolezza dell’antimafia. Due secoli dopo la denuncia di Manzoni, che pure tutti leggiamo a scuola, della stupidità delle “grida”, delle leggi contro le mafie di allora. Senza bisogno di dare credito alle denunce di chi sapeva tutto del latitante e non è stato ascoltato.
Che meritano però di essere ricordate, almeno due, fra le tante “solite” – ogni fatto di cronaca eccita gli animi. Un dirigente della Polizia di frontiera, Antonio del Greco, che esibisce a “Striscia la notizia” un verbale da lui redatto dieci anni fa con l’indicazione di una persona, suo confidente, che a Trapani sapeva tutto del superlatitante, degli spostamenti e degli affari. E il “pentito” Pasquale De Filippo, pentito del 1995, che chiama Palazzolo per dirgli: “Due giorni dopo la mia cattura, nel giugno 1995, avrei dovuto avere un incontro con Bagarella e Messina Denaro, per i dettagli dell’operazione (l’assassinio dell’ex ministro della Giustizia Martelli, n.d.r.). Dissi alla Dia che ero pronto ad andarci, per farli arrestare, ma non vollero”.
L’antimafia dà spesso l’impressione di essere un baraccone da fiera. Perché, come operazione di legge, anti-violenza, sarebbe anche fattibile, non difficile.
 
I giustizieri del Sud
Si riprone con lo scandalo calcistico, in piccolo ma in certo senso più acuto, serpeggiante più che proclamato ma diffuso, anche tra i meridionali, il fastidio per la “giustizia del Sud”, di Mani Puilite, del duo Borrelli-Di Pietro. Che il Nord non denuncia ma di cui si risente. Nei social in questo caso, e anche alla Figc, l’organizzazione del calcio. Contro lo stesso presidente della Federazione, Gravina, d’improvviso diventato “l’apulo-abruzzese”, e contro il Procuratore Chiné, “il calabrese” - come già a Torino per il dandy Santoriello, il giudice napoletano e proclamato napolista. Per la selettività del procedimento, perché la Juventus e non la Lazio, per esempio, e anche per l’approssimazione, dietro i leguleismi, della requisitoria e della condanna.
Molta insofferenza contro la sentenza è agitata dai club, che temono un crollo commerciale, di credibilità e popolarità nel mercato mondiale e dei connessi diritti tv. Ma pure tra gli stessi club si diffonde, oltre che fra i tifosi, l’insofferenza verso la “giustizia meridionale”. Gravina viene collegato al suo (ex?) sponsor Lotito, a cui Chiné abbuonò i finti tamponi fatti fare alla Lazio, per poter schierare in campo la squadra al meglio. Mentre condannava sportivamente Agnelli, cioè sempre la Juventus, per un processo penale in cui lo stesso era parte lesa.
C’è sempre, non se ne parla per il politicamente corretto?, una diffidenza persistente tra Nord e Sud sulle attività istituzionali, la giustizia, l’amministrazione (la burocrazia). Prefetti e questori meridionali – e in prevalenza sono meridionali - da Firenze in su lamentano sempre l’isolamento sociale. C’è pregiudizio perfino nella storia, nella storiografia: accanto a storici meridionali equilibrati, da Croce a Rosario Romeo, una insofferenza del Nord, pervicace, è della storiografia radicale alla Salvemini (che pure aveva debuttato con un’apologia di Milano, della politica milanese), da Giolitti a Togliatti. E della contestazione, tutta meridionale, del processo unitario. Che ha a specchio la persistente lettura gladstoniana del regno di Napoli.
In questo caso, del processo di Chiné, la condanna si fa curiosamente di una squadra e di una proprietà che hanno al Sud probabilmente più tifosi, e più clienti affezionati. La quota Fiat nelle vendite di automobili è al 27 per cento in Italia, al 33 per cento al Sud. Oltre che gli investimenti maggiori.

leuzzi@antiit.eu

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