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giovedì 26 gennaio 2023

Secondi pensieri - 503

zeulig

Islam - Radicale e non, non è una fortezza, un bastione compatto, coerente, ma un ammasso. Odia, ma a volte no, e comunque non gli basta, l’odio non unisce. Petromonarchie, primavere, fondamentalismo religioso, dall’Iran degli ayatollah colti alla Somalia e alla Nigeria selvagge - la Nigeria è la metà dell’Africa. Un Arco sempre delle Tempeste, ormai è un secolo, dalla dissoluzione dell’impero ottomano: di inabilità, instabilità, guerre, per lo più interne, intestine. Dall’Iran che le moschee schiavizzano all’Afghanistan in perpetua rivolta, al Pakistan che ammazza i suoi eletti, al Bangladesh sott’acqua, all’Indonesia militarizzata. Dalla Tunisia, che non sa per che cosa manifesta, all’Algeria, in guerra col Marocco, al Marocco, in guerra con l’Algeria, alla Libia, in guerra con se stessa, all’Egitto, da un secolo in attesa di diventare un paese normale, un mondo senza pace: Sudan, Somalia, Eritrea, la stessa Etiopia, lo Yemen, il Libano, la Siria, l’Irak, i Palestinesi – e non esclusa, incongruamente, Israele nella deriva teocratica.
 
Occidente – L’Unesco vota Odessa “patrimonio dell’umanità” dopo “una lunga e turbolenta discussione in seno al comitato direttivo”, con questa maggioranza: sei Paesi a favore, 14 astenuti, contraria la Russia. A favore I paesi impegnati nella Guerra contro la Russia, con armamenti e\o le sanzioni: Italia, Belgio, Grecia, Bulgaria, Thailandia e Giappone. Astenuti: Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Etiopia, India, Mali, Messico, Nigeria, Oman, Qatar, Ruanda, St-Vincent and Grenadines, Sud Africa, Zambia. L’Occidente non sa in che mondo vive - il mondo globale, che ha creato per guadagnarci meglio, di cui ancora non percepisce che è – era – “inferiore” soltanto per il reddito.
 
Il trionfo era visto come la fine dell’Occidente da Benedetto Croce con singolare perspicuità alla fine della guerra: “Nel corso e al termine della seconda guerra mondiale si è fatta viva dappertutto la stringente inquietudine di una fine che si prepara, e che potrebbe nei prossimi tempi attuarsi, della civiltà o, per designarla col nome della sua rappresentante storica e del suo simbolo, della civiltà europea”. È l’attacco di un saggio, “La fine  della civiltà”, pubblicato nel 1846 nel secondo dei “Quaderni della Critica” – ora recuperato nel volumetto dallo stesso titolo, ed. Morcelliana.
Un trionfo che si è poi spinto fino alle guerre “umanitarie”, ancorché aeree (missilistiche), ad alto potenziale distruttivo e ad alta imprecisione, e ora, in Ucraina, alla guerra per procura, combattuta cioè sulla pelle degli ucraini per il bene dell’Occidente. Alla gestione armata dei diritti civili o umanitari, come esportare la democrazia, liberare le donne. Che non è logico, oltre che ineffettuale, ergersi a guardiani dei diritti con la violenza.
Il trionfo dell’Occidente nel 1989, la “fine della storia”, fu peraltro un incidente, provocato dal malaccorto Gorbaciov (lo fronteggiva un mediocre Reagan), che le politiche economiche non seppe allineare a quelle politiche, e finì per buttare anche il bambino insieme con l’acqua sporca. Fu cosiderato il trionfo del capitale su ogni altra ricetta produttiva, “definitivo”. Come se l’armamento non avesse pesato – la moltiplicazione degli armamenti – nel fallimento di Gorbaciov, dell’Unione Sovietica.
La globalizzazione, in clima trionfalistico, non estendeva il dominio occidentale all’Asia e all’Africa, al Terzo mondo, ma trasferiva il potere alla Cina e all’India, potenze demografiche, ingovernabili (imbattibili). Che ora sfidano gli Stati Uniti non colo alla Unesco ma perfino alla Wto, che gli stessi Stati Uniti hanno creato dopo “la fine della storia”, l’organizzazione mondiale del commercio.  
 
A lungo l’avamposto dell’Occidente fu Berlino, come di entità contrapposta agli Slavi e ai Balcani. Cioè la Germania, che sempre si vuole “altra”. Ogni popolazione tedesca che poco poco sia associata con altri popoli si dice sempre altra. I lombardi si aggrappano ai latini, e perfino agli slavi bizantini, i francesi ai galli, gli inglesi ai francesi. E quante radici celtiche non si scavano. Del resto i tedeschi, venendo a Occidente, non incontravano che welsch, tali erano per loro i romani, i latini, ma la lingua li direbbe celti, e insomma incontravano “europei” - Europa è toponimo greco del genere alberghiero, significando Belvedere o Bellavista.
A Salamina Temistocle salvò la libertà contro Serse e nacque l’Occidente
 
Il mito di Faust, così centrale all’identità dell’Occidente, è di un imbonitore da fiera.
 
La storia è occidentalista, degli orientalisti occidentali, che la vogliono inventata. A partire dal solito Schopenhauer, per il quale fanno la storia le risse europee. La storia e la cronologia sono scoperte occidentali, ribatte Borges, adepto di Schopenhauer e Budda. E come dargli torto: la storia è solo occidentale, la democrazia, il progresso, la costruzione del futuro. È cristiana, ma cominciò con l’essere ellenica, grazie ai barbari di Erodoto. La storia è dunque l’Occidente che viene dall’Oriente.
 
È l’affermazione di sé. Non in affari, tutti sono buoni. Nella storia, o la filosofia. È l’affermazione di sé, il Nord identifica in questo l’Occidente – che non va tanto a Ovest quanto a Nord, non ce n’è molto nel Brasile, né in Nord Africa. Una qualsiasi squinzia delle periferie britanniche, sformata, ignorante, le unghie sporche, diventa signora nell’India opulenta o in East Africa. Benché squinzia ponga un problema: essendo escuinca all’origine, messicano per ragazza sguaiata, bambinaccia, come ha fatto a penetrare il romanesco, c’è un Occidente retrogrado?
L’Europa cristiana e borghese, dice Hegel, è “la conclusione del grande giorno dello Spirito, che va da Oriente a Occidente”. Ma è il fine o la fine? Si vaga al centro dell’Europa respirando il vuoto, in tanta presunzione. Sembra ignoranza, pur tra le accademie, di come è e come va il mondo.
 
Per il vescovo Berkeley l’Occidente è “la via dell’impero”, che va a Oriente. Questo no, l’Occidente è fuga. Fisicamente è poca cosa: emerge allontanandosi dal ceppo originario, è un’inquietudine. L’Europa s’è messa a correre verso Occidente, l’Europa che Ercole strappò all’Asia, il precursore di Cristo. Così dice il mito dell’Occidente. E forse è arrivata. Ma ne aveva il presentimento. L’Iliade e l’Eneide, le epopee che la fondano, si nominano da una città e una famiglia sconfitte. L’Iliade, che Simone Weil vuole poema della forza, è pure il poema del vincitore-vinto. Se è vero ciò che dice Tucidide, che ottant’anni dopo aver battuto i troiani loro pari, loro pari in bellezza e intelligenza, gli achei furono soggiogati da rozzi barbari. Il canto di Omero ha la malinconia del vinto.
Che ne direbbe Pound giocoso: “L’Occidente si basa sul podere”? Un’eminente lettura della storia pone le origini del potere in Occidente nella pastorizia. Ma questo è il potere in Oriente, a Ovest col re e il prelato contano il giudice, il poliziotto, il padrone e il giornalista, e la famiglia, l’Azione Cattolica, la scuola, l’azienda, l’officina, il mercato rionale, e quello degli affari pubblici. Forza, potere e autorità, Passerin d’Entrèves lo spiega, fanno “la dottrina dello Stato”. La mafia, che non ha studiato, lo sa.
(continua)
 
Onore – “Virtù degli in giusti!” lo dice Camus, presentando “Il diritto e il rovescio”. Con l’appendice: “Ma è una parola, l’onore, che il nostro mondo reputa oscena: aristocratico è un insulto letterario e filosofico”. Detto in chiaro senso antifrastico. Nel senso comune essendo “retrospettivo”, di tradizione, lignaggio, superiorità non confrontabile. Mentre ha un senso attivo: di comportamento onorevole, come nelle battaglie personali, nei duelli, nei combattimenti.
 
Parole – Sono segni, sonori prima che grafici, che creano. Basti pesare ai segni (simboli) matematici. In divenire costante.
Suoni che articolano varie rappresentazioni del sistema sensoriale, fino a un assetto più o emo definito – non definitivo: essendo suoni creativi, le parole sono in divenire costante.

zeulig@antiit.eu

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