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martedì 21 marzo 2023

La virtù delle parole semplici

“Il ricordo sarà la vampa\ Che ancora lei mordeva negli occhi spenti” – antica sfida, o condanna, del suicida ai sodali. Come il mare, uguale a se stesso, importuno: “Le voci morte\ assomigliano al frangersi di quel mare”. Indispettita e intenerita - Cesare Pavese ossessiona gli amici - in pochi tratti, due versi dell’ampia produzione dello stesso Pavese, Natalia Ginzburg ne scolpisce l’immaturità, il disadattamento come ora la psicoanalisi la chiama, quell’introversione che preclude il mondo – “aveva un modo cauto e avaro di dare la mano nel salutare, poche dita concesse e ritorte”.
In brevi prose Natalia Ginzburg ribadisce la sua arte di far “parlare” le parole povere, l’eloquio piano, quotidiano – l’“infraordinario” di Georges Perec, suggerisce Domenico Scarpa nella lunga introduzione. Elzeviri scritti per giornali e riviste raccolti dall’autrice nel 1962. Una raccolta editoriale, per confermare ai critici e ai lettori la cifra di “Le voci della sera”, il primo libro topico, “ginzburghiano”. Pronuba di “Lessico familiare” - scritto mentre raccoglieve questi testi sparsi (sarà pubblicato l’anno successivo). Natalia Ginzburg li chiama saggi, ma non ne hanno l’impianto né il respiro, non se li propongono: sono divagazioni, di cose viste e vissute per lo più. Molti sono diventati subito “classici”.
Il confino col marito e i figli in Abruzzo nei tre anni della guerra – il rientro a Roma, dopo l’8 settembre, nei ranghi della Resistenza, sarà ferale per il marito, Leone Ginzburg. Con brevi note sui figli, Carlo, Andrea e Alessandra. E notazioni sparse che si rileggono come un’antropologia dell’Abruzzo montano, povero, isolato, a due passi dall’Aquila (con una notazione breve ma molto lusinghiera nella prefazione, brevissima, alla riedizione 1983 della raccolta). L’Inghilterra malinconica, altro pezzo famoso della raccolta, caratterizzata dall’immangiabile, chiamato genericamente food, in famiglia e fuori, sotto nomi esotici, “Le Alpi”, “Roma”, “Chez nous”. Con l’impossibiltià di avere in tavola acqua e pane. E la conversazione, stenta e formale. Per il riserbo.
Un lunghissimo, dettagliatissimo – quante cose non si fanno insieme in una coppia – “Lui e io”, lei è il secondo marito, Gabriele Baldini.
Il testo del titolo, che chiude la raccolta, è smisurato, pur nella brevità, come affannato più che conciso: tema il se e il come insegnare ai bambini il senso e il valore del denaro. Lo stesso “Il mio mestiere”, il testo che apre la parte Seconda del volume, dove si racconta profusa scrittrice dai primissimi anni, con capoverso lunghi pagine - uno dei primi “saggi”, 1949. Per il resto “saggi” tutti più o meno memorabili, “Le scarpe rotte”, “Il figlio dell’uomo”, “La maison Volpé”.
Al centro il famoso ritratto di Pavese, “Ritratto di un amico”, sette anni dopo il suicidio: “Il nostro amico visse nella città come un adolescente: e fino all’ultimo visse così”. Natalia Ginzburg può dirlo con cognizione, avendo cresciuto tre figli turbolenti, se non con problemi – spiega Scarpa nell’introduzione. Mossa da vera pietà – la quale non vuole essere pietosa. Un ritratto di cui la chiave è nella notazione che apre il testo centrale della raccolta, “Il figlio dell’uomo”. “Chi di noi è stato un perseguitato non ritroverà mai la pace”.    
Natalia Ginzburg,
Le piccole virtù, Einaudi, pp. XLV + 155 € 11 

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