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giovedì 23 marzo 2023

La libertà americana è dei servizi segreti

Una spy story da camera, in due o tre ambienti, una stanza, un’automobile. Senza in effetti ambienti, solo il buio, l’obbiettivo fissato sulle facce.
Un thriller di serie B o C, una furbata, una sorta di recita teatrale firmata, con un nome di richiamo, Mel Gibson – un’altra faccia, per lo più immobile. Ma un film curioso, della mania americana del complotto. Della libertà o democrazia come complotto.
A Hollywood è un filone, tanti i film in cui le forze del bene sono i servizi segreti. Spietati, qui anche crudeli, e doppiogiochisti – in cui Bene e Tradimento si intrecciano. Si direbbe che l’America si protegge mettendo le mani avanti, mettendo in conto che la sua Bontà (Giustizia, Libertà, Generosità) possa essere tradita dagli stessi americani. Una forma suprema d’innocentarsi, in particolare con i servizi segreti, che – quelli americani perlomeno, Cia e Nsa – non hanno mai fatto del bene a nessuno. Nemmeno all’America, si direbbe, che ha perso in pochi anni quattro guerre di seguito, Afghanistan, Iraq, Libia e Siria, non per mancanza di armamento ma per non sapere nemmeno cosa andava a combattere né dove. Ma - questa la curiosità - con esclusione totale del Resto del mondo, prima e anche dopo le quattro guerre perdute, per il quale la buona America si batterebbe.
Qui la didascalia ci informa che la camera di tortura è in “un paese dell’Est Europa”, che la consente agli americani, così ci viene detto  – in Belgio no, “non abbiamo licenza legale” si dice di un rapimento di persona a Anversa. Una prefigurazione sinistra – il film è stato girato quindici mesi fa – della guerra, con gli usi e le pratiche che hanno portato alla guerra.   
Dermot Mulroney,
Agent Game, Sky Cinema

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