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giovedì 2 marzo 2023

Secondi pensieri - 508

zeulig

Dubbio ­ - È la verità della scienza – la via della verità (che invece è rara). Di ogni epistemologia.
Della riflessione, evidentemente.
L‘accettazione dell’ignoranza. Non ovvia come appare, se c’è voluto qualche millennio per arrivarci: Socrate essendo stato messo a morte, si è andati avanti per un paio di millenni sulla strada della fede, della verità come ipostasi, il progresso limitando ai “tentativi ed errori” di Popper epistemologo.
All’altro capo del filo, all’altra estremità, si pone l’ignoranza come assunto teorico e teoretico – come verità. Nelle parole del fisico Nobel Richard Feynman: “L’unica speranza per un progresso dell’umanità in una direzione che non ci porti in un vicolo cieco… risiede nell’ammissione dell’ignoranza e dell’incertezza.  Io dico che non sappiamo quale sia il significato della vita e quali i giusti valori morali, e non abbiamo modo di sceglierli” – “Il senso delle cose”, p.44. E altrove (p. 58): “”Il dubbio e la discussione sono essenziali al progresso”.
Di fatto l’età del dubbio è della crisi. Quale oggi, l’epoca in cui il mondo se la cava meglio, più prolifico, più curato, e più ricco, con una ripartizione quasi equanime della ricchezza, fra Stati se non nelle società. Per un’ipocrisia di fondo, l’agnosticismo (l’equivalenza, l’indifferenza) sui “valori morali”.
 
Look – “Il wolf haircut, il taglio delle “ragazze lupo”, il taglio dei capelli, trascende i confini di genere, esprime individualità e anticonformismo, esprime il rifiuto del mainstream, del conformismo. Intimidatorio a prima vista, eppure democratico e d’avanguardia”. Il look è politico e psicologico - fa la personalità. In teoria la riflette, in realtà la fa, nella proiezione pubblica, sociale, della persona, compresi i familiari. Il wolf haircut “esteticamente funziona perché apre collo e viso, attirando l’attenzione su colo e zigomi” (settimanale “D “). Si dice creativo, in realtà creatore?
 
Parola – È un segno di classificazione – di individuazione e assegnazione – prima che di comunicazione. I caratteri nel cassetto del vecchio tipografo disposti più o meno casualmente, in base ai suoni, più o meno gutturali, più o meno articolati, che saranno le parole. Delimita, certo, più che arricchire, ma con un numero elevato di carati, dall’inarticolato (inclassificato, inappropriato) al produttivo (significante, utile). Da sempre open source.
 
Pedagogia – È una disciplina – una forma di disciplina. Con l’imprinting forma (condiziona) il soggetto. Un bambino che ha un’educazione religiosa sarà un adulto diverso da uno che non ne ha, non solo come conoscenze ma come sensibilità e criterio di giudizio.
È una costrizione? È un aiuto? La libertà si vuole senza confini – del bambino cresciuto senza religione si dice: da adulto sceglierà? Ma tanti Tarzan cresciuti soli nella foresta, anche nella prateria, non arriverebbero a nulla, dovrebbero cominciare tutto daccapo, a partite dale, arole, come segno di riconoscimento (classificazione) prima ancora che di comunicazione.
 
Scienza
– Non è democratica. Implica un principio di autorità, se non si basa su di esso - non c’è scienza senza un pedigree.
È altro dal potere, e non lo condiziona. Ci può essere, c’è stato da poco (nazismo, sovietismo), un potere fondato sulla scienza, senza che la scienza ne abbia minimamente influenzato presupposti e natura, o carattere.
 
Tolleranza – Non è egualitaria, implica un dislivello alto-basso, superiore-inferiore. È una sorta di concessione, di una persona, un gruppo, una società nei confronti di altri, non eguali - un po’ in difetto, un po’ in torto, un po’ in errore. Si “tollera” la differenza. Come dire che non si procede con la condanna. Una sorta di perdono, preliminare.
 
Totalitarismo – È il monopolio della forza. E la pervasività della stessa, con la coercizione e con la persuasione occulta (propaganda – pubblicità), fino alla “verità”, al convincimento. Alla sua interiorizzazione, nel “consenso”.
La storia non registra fenomeni di consenso politico più vasto di quello dei regimi totalitari del Novecento: fascismo, nazismo, sovietismo. Se non quelli della fede: la fede è – è stata – un fattore di forza più vasto e radicato di qualsiasi argomentazione propagandistica o politica. Nelle guerre di “religione”, nel persistente jihad, inteso come guerra all’infedele, anche al di fuori del perimetro del fondamentalismo, p. es. nel khomeinismo, nell’induismo.
 
Se ne torna a parlare per il saggio di Emilio Gentile. Senza riferimenti, curiosamente, alle primissime analisi del fenomeno, di Hannah Arendt, 1949-1951, “Le origini del totalitarismo”, di Adorno, 1950, “La personalità autoritaria”, e di Jacob Talmon, 1952, “Le origini della democrazia totalitaria” – e di A. Huxley, di Orwell. Per non dire, per restare in Italia, dell’ing. Sorel. E di “Roberto” Michels: un certo elitismo è il picco emergente di un iceberg totalitario. Curiosamente perché si evitano i connotati del fenomeno oggi contemporanei, perfino dominanti.
Della sociologia e la politica totalitarie la sintesi più probante è proprio di Hannah Arendt, e di Talmon. Un fenomeno politico nuovo - quasi lapalissianamente tale, per le radicali novità delle forme di comunicazione e persuasione (subliminare, occulta, e invadente). E anche distruttivo, nel senso che fa tabula rasa delle nozioni politiche e degli ordinamenti sociali storici: è il regime politico della società di massa, per l’isolamento e la “intercambiabilità” degli individui. Con - ma anche senza, va aggiunto – il bastone o i manicomi giudiziari.
I regimi politici moderni sono tendenzialmente totalitari perché di massa? No, ma anche si: anche nelle società democratiche, andrebbe aggiunto, oggi per i social ma da sempre in epoca costituzionale, dal suffragio universale e i suoi “partiti di massa”. Ci sono pochi elementi democratici nelle democrazie, e più sotto forma di controlli (checks) e denunce (sovversioni), cioè a posteriori.
Adorno ne ha rilevato in una sorta di ricerca demoscopica, di psicologia induttiva, i caratteri salienti. Talmon la quintessenziale parentela tra giacobinismo e stalinismo – di una dottrina politica “egualitaria” con un solo interprete. Al di fuori delle leggi, andrebbe aggiunto, anche morali, e contro di esse, ma con la forza della convinzione, non solitaria.
 
Il fenomeno è italiano, si dice, perché la parola è italiana. Simona Forti ne ha accertato la primogenitura in un articolo di Giovanni Amendola sul “Mondo” nel 1923. Dove non ne faceva un’eccezione o un caso, ma un “sistema”. Come “
promessa del dominio assoluto e dello spadroneggiamento completo ed incontrollato nel campo della vita politica ed amministrativa”.
Promessa e non premessa: una paetitio favoris, una induzione al consenso – senza più l’olio di ricino. Ma più esso è l’effetto, italiano, di un certo hegelismo, che più confluiva in Gentile (da ultimo nell’“ordinamento corporativo”), dello Stato etico. Che non è propriamente e non si vuole totalitario nel senso repressivo, censorio, ma del consenso sì. Una deriva che sarà applicata anche alla dottrina dello Stato elaborata da Hans Kelsen.

zeulig@antiit.eu

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