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sabato 4 marzo 2023

Essere russi e ucraini

Una patria persa, in realtà. “Ho tre case”, e la conclusione, “la mia terra bielorusa, che è la patria di mio padre e dove ho vissuto tuta la mia vita; l’Ucraina, che è la patria di mia madre e dove sono nata; e la grande cultura russa, senza la quale non riesco a immaginarmi. Ho care tutt’e tre, ma è difficile parlare d’amore, di questi tempi”.
Una di tre verità. Un’altra Svetlana Aleksievič annotava trenta anni fa: “La letteratura russa ha di interessante che è la sola a poter raccontare l’esperienza più unica che rara cui è stato costretto un paese un tempo enorme”. Di rimpicciolirsi. La terza è semplice: “L’«impero rosso» non esiste più, ma l’«uomo rosso» è ancora fra noi. Continua a esistere” E “il male non conosce pietà”: “Siamo gente di guerra, noi: o l’abbiamo fatta o alla guerra ci preparavamo”.
Nel mezzo, la riflessione che tutti si fanno sula Russia: “«Eravamo liberi solo durante la guerra, in prima linea»: ho sentito anche questo, una volta. Il nostro vero capitale è il dolore. Non il petrolio. Non il gas. Il dolore. È l’unica cosa che produciamo costantemente. Ma perché tanto dolore non si converte in libertà? Sto ancora cercando una risposta…. Eppure di grandi libri ne abbiamo in quantità….”.
Notazioni brevi, rapsodiche. Di un progetto sulla guerra, probabilmente, rimasto allo stato di appunti. Che oggi si pubblicano per altro motivo. Aleksievič, bielorussa, Nobel per la letteratura 2015, la guerra l’ha vista da dentro, da ragazza, in Afghanistan, ne ha visto le menzogne e la bruttezza. E l’ha sentita raccontare, dalle donne, carriste, artigliere, di cavalleria, contro e dentro la Germania di Hitler, le “”giovani donne del 1941”: “La guerra delle donne. Una guerra senza eroi. Senza eroiche uccisioni di altri esseri umani”.
Svetlana Aleksievič, Una battaglia persa, Adelphi, pp. 46 €5 

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