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sabato 15 aprile 2023

Il mondo com'è (459)

astolfo


Berberi – Massinissa, Giugurta erano berberi, il regno di Numidia era berbero, anche quello di Libia. Molti arabi con i quali abbiamo avuto e abbiamo più commercio sono invece berberi. Che conoscono e parlano l’arabo per via del Corano, ma hanno una loro lingua, di cui sono sempre più orgogliosi – che non è l’arabo, anche se dello stesso ceppo. S’incontrano soprattutto in Marocco e in Algeria, specie sull’Atlante (Rif, Cabilia, Aurès), ma anche in Tripolitania, e qualcuno pure in Tunisia e in Egitto, nell’oasi occidentale di Siwa. E probabilmente tra i barbareschi che a lungo hanno infestato le coste tirreniche, dalla Calabria e la Sardegna fino a Ostia e alla Liguria.
Gli Stati barbareschi, vere e propri sultanati autonomi dentro l’impero ottomano, furono molti e a fioritura continua – la Treccani ne elenca una ventina. Dovevano il nome non a “barbaro” ma a “berbero”. Gli Stati barbareschi delle corrispondenze diplomatiche erano detti anche Barberia, o Costa berbera. E di fatto denominavano il Maghreb, il Nord Africa Occidentale, anticamente detto Libia, fino a Tipasa-Cherchell (Cesarea) e oltre.
Per lungo tempo, fino al primo Ottocento, la Barberia era accomunata alla pirateria, dei corsari saraceni. he però erano accreditati anche diplomaticamente, con le lettere corsare” – avevano cioè diritto di abbordaggio. Ma erano prevalentemente turchi, sotto la denominazione “ottomani” - anche cristiani, più o meno rinnegati. I berberi sono gente di terra, agricoltori e allevatori. Combattivi anche, e battaglieri, come si vede dagli Stati che in continuazione crearono nei secoli, fino all’occupazione coloniale del Maghreb, cominciata dalla Francia in Algeria nel 1831, e proseguita con la Tunisia nel 1881.
Lo sbarco francese in Algeria cominciò in risposta a incursioni barbaresche. Nel 1825 perfino una flotta sardo-piemontese aveva forzato il porto di Tripoli di Libia: scopo della spedizione imporre al bey le scuse per avere oltraggiato la bandiera sabauda esposta al consolato. Una prima “guerra di Libia”.
Una “prima guerra barbaresca” fu combattuta dagli Stati Uniti, durante la presidenza Jefferson, 1801-1805, per garantire alle navi americane, non più protette dalla Marina britannica dopo l’indipendenza, il passaggio attraverso il Mediterraneo. In una seconda guerra barbaresca, o di Algeri, nel 1815, la Marina americana, spalleggiata da quella britannica e quella olandese, impose al bey di Tripoli di la cessazione delpizzo”, la taglia imposta ai legni commerciali per navigare liberamente nel Mediterraneo. 
Un revival berbero, avviato dopo l’indipendenza dell’Algeria sessant’anni fa, è attivo un po’ in tutto il Maghreb, non in contrasto con i governi, a predominanza araba, ma appena tollerato. Da qualche tempo è vivace soprattutto nel campo culturale, linguistico. E ove possibile - in Marocco e in Algeria, i due paesi dove il berbero è riconosciuto lingua ufficiale, rispettivamente dal 2011 e dal 2016 - di un principio di bilinguismo, all’insegnamento primario.
Si stima che la popolazione di lingua berbera sia al 40 per cento in Marocco, al 30 per cento in Algeria, e al 10 per cento in Libia. Si parla berbero anche nel deserto egiziano occidentale, prospiciente alla Cirenaica. E a sud del Sahara, in Mali, Niger, Ciad e Burkina Faso. Per lo più a opera dei tuareg, le cui parlate, variamente denominate, sono dialetti berberi – un dialetto berbero, zenaga, è parlato anche in Mauritania.
Qualcuno ha contato fino a 5 mila dialetti berberi. Si vogliono berberi anche sant’Agostino, e Zinedine Zidane. E da qualche anno si impone un’altra denominazione per berbero, parola inevitabilmente associata a barbaro (anche in arabo): per dire berbero si dice da qualche anno imaziy, “uomo libero”, plurale imaziyen. E per la lingua si cerca d’imporre il termine tamaziyt.


Massimo Fagioli – Morto poco prima del covid, nell’anonimato, fu una figura di peso a Roma negli anni 1960-1970, psicoanalista critico di Freud, teorico e animatore dell’analisi collettiva. Delle sedute di analisi collettive, sul tipo dell’Anonima Alcolisti. Un’influenza che Marco Bellocchio mette bene in rilievo, evocando i rapporti col fratello maggiore Piergiorgio, sul “Venerdì di Repubblica” il 24 marzo, passati a causa di Fagioli dallo strettissimo all’insofferente, e mai veramente più riannodati: “I nostri rapporti si diradarono, dopo la sfortuna di avere avuto una fortuna troppo precoce, quando iniziai a seguire il percorso dell’analisi collettiva di Massimo Fagioli, psichiatra radicalmente antifreudiano. Piergiorgio venne al Festival di Locarno, che presentava una retrospettiva completa del mio lavoro e anche una mostra dei miei quadri di gioventù, di cui lui fece una presentazione nel catalogo. E dove fu presentato il film di Massimo Fagioli Il cielo della luna che raccolse a Locarno tutti i “fagioliani”. Piergiorgio se ne andò irritato dalla presenza di Fagioli che era l’opposto di Amleto, il suo eroe antieroe, ma ancor di più attonito dai fagioliani che lo avevano seguito fin lì per applaudirlo e adorarlo. Non li capiva. E soprattutto: non capiva più me. Mi scrisse una lettera molto dura e io, che ero in un profondo coinvolgimento fagioliano (sia pure con alcune perplessità), non la presi bene. …. Dopo la mia separazione da Fagioli (non rinnegato), i nostri apporti sono ripresi, seppure con un’intensità minore che in passato”.
Lo psicologo (parapsicologo) aveva rotto un’armonia, invece di rinsaldarla. Non per colpa: è che il suo approccio fu fortemente divisivo, e fortemente anche avversato. C’era Lacan negli anni del suo debutto, con la psicoanalisi selvaggia, come molta cultura anche universitaria in quegli anni, c’era la psichiatria in ebollizione (si arriverà presto alla legge Basaglia), e Fagioli ci giocò un ruolo, a Roma molto ampio.
L’analisi collettiva nacque casualmente nel 1975, e si tenne alla Sapienza di Roma, luogo centrale dell’ortodossia, all’istituto di Psichiatria, dove Fagioli aveva l’incarico di supervisore degli specializzandi. Attività che svolgeva con un seminario a settimana. Affollandosi i seminari anche di non psichiatri, com’era l’uso in quegli anni all’università, di auto-formazione, Fagioli moltiplicò i seminari, fino a quattro a settimana. L’analisi collettiva sedusse molti dei partecipanti: gratuita, e anche anonima – relativamente: gli intervenuti non declinavano le generalità. Si moltiplicò – l’affollamento richiamava la curiosità. E divenne invisa all’Istituto di Psichiatria, che a fine 1980 revocò l’incarico a Fagioli, precludendogli gli spazi nella città universitaria - continuerà la pratica nel suo studio privato, a Trastevere.
Con Bellocchio Fagioli ha lavorato ai film “Diavolio in corpo”, “La condanna” “Il sogno della farfalla”. All’uscita di “Diavolo in corpo” risale la condanna di Fagioli da parte della critica dominante, legata al Pci – contro Fagioli furono utilizzate le accuse mosse da destra contro Braibanti, che la stessa opinione di sinistra negli stessi anni combatteva, quelle di dilettantismo e di plagio. Il successivo “La condanna”, Orso d’argento al festival di Berlino nel 1991, fu denunciato per apologia di stupro.
Lo stesso Fagioli farà cinema, un paio di docufilm, musica, scultura, allestimenti, anche col giovanissimo Sgarbi, e poesia. Ma senza più il richiamo forte degli inizia, degli anni 1970-1980. Un’ultima celebrazione ebbe al Parco della Musica nel 2015 o 2016, qualche anno prima della morte nel 1917, con l’invito “abbracciamoci” al pubblico che affluiva.
 
Tedeschi-Francesi – La guerra tra russi e ucraini, che durerà cent’anni, a meno di conflitto maggiore, ha messo in ombra e probabilmente cancellerà quella tra francesi e tedeschi, da Luigi XIV a Hitler, per due secoli e mezzo. Ma, come ora tra russi e ucraini, riesce difficile separare etnie e interessi, se non come questioni di clan, di sottotribù – il nazionalismo è difficile da definire (registrare, delimitare), come si sa in Italia, dopo un secolo e mezzo e oltre di unità. Se i tedeschi sono francesi era tema dieci anni fa di “Gentile Germania”, il libro-reportage su cosa i tedeschi sono (e non sono). Ma come tutti i nazionalismi, anche questo è probabilmente inesauribile, nuovi aggiornamenti si propongono.
La maggior parte dei tedeschi parla francese, i franchi.
Nicholas Fréret voleva i franchi tedeschi, come erano all’origine.
Molti tedeschi si sono voluti fino al Settecento francesi. Non solo Heine. Il barone d’Holbach, il cavaliere Grimm della “Correspondance littéraire - il “piccolo profeta” della sua amante madame d’Epinay e del di lei amico diletto abate Galiani. Il giovane Anacharsis Cloots, il nobile prussiano che si ribattezzo Jean-Baptiste du Val-de-Grâce, rivoluzionario prima di essere ghigliottinato,  “oratore del genere umano”, “cittadino dell’umanità”, “nemico personale di Dio”. Gli antisemiti Vacher de Lapouge, Drumont.
I tedeschi sono in realtà “francesi” anche in questo, nota Savinio (“Scatola sonora”, 137-8): “I Tedeschi, tre volte in meno di un secolo, hanno mosso guerra ai Francesi. Per vincerli? No. Per distruggerli? No. Per manducarli a scopo eucaristico. Per infranciosarsi (per indiarsi… Dieu est-il français?” - con una coda: “In altri tempi, e quando non la Francia ma l’Italia era la sirena di turno, i Tedeschi, e con lo stesso fine eucaristico, cercavano di manducarsi l’Italia (Goethe)”.
L’antisemitismo teutonico è anche ben francese, fino a Drumont, il più bravo e cattivo di tutti, e a Bernanos (ne parla molto J. Roth, “Al bistrot dopo mezzanotte”, l’antologia francese degli anni di Roth inviato in Francia – non ancor a esule – pp. 230 segg.). Fino all’ultima guerra: furono francesi i rastrellamenti di ebrei, censiti uno per uno, anche di pochi quarti, oppure di passaggio (quelli che si erano rifugiati in Francia per sfuggire a Hitler, soprattutto gli intellettuali, Hannah Arendt, Walter Benjamin, lo stesso Roth). Collaboratori volenterosi in questo campo degli occupanti germanici dopo la drole de guerre. Perseguitavano gli ebrei anche se tentavano di lasciare la Francia, ai porti d’imbarco, Le Havre, Marsiglia, alla frontiera con la Spagna – per esempio Walter Benjamin. Ancora nel 1944, con la Germania in rotta, all’Est, a Sud e sullo stesso fianco Ovest, si facevano denunce di singoli ebrei e arresti a Parigi. Max Jacob, che pure era buon cristiano da molti anni, molto pio, fu arrestato il 24 febbraio 1944 all’uscita dalla basilica dove aveva servito messa, la messa del mattino: morirà nel campo di concentramento per ebrei di Drancy.
Nell’anno 49 a.C., del ritorno di Cesare dalla Gallia, “un gran numero di Germani – centoventimila venne riferito – ha attraversato il Reno e si è stabilito nelle terre degli Elvezi, una tribù bellicosa, la cui risposta è stata di spostarsi a loro volta verso ovest, all’interno della Gallia, in cerca di nuovi territori” (R.Harris, “Conspirata”, p. 336).
Stefan George, che ha rifatto la poesia germanica, solo da grande a Berlino scelse il tedesco, essendo cresciuto col francese lungo il Reno, dopo aver fatto tesoro a Parigi di Mallarmé e Verlaine. Lo stesso Rilke.
Molta letteratura d’appendice nell’Ottocento, decine di migliaia di pagine, divide la Francia tra franchi oppressori e galli onesti lavoratori, oppressi.
S.Weil, “L’enracinement”, pp.138-43 racconta l’atroce conquista della Francia sotto la Loira da parte dei francesi-franchi - i tedeschi di un tempo erano i francesi, nella Francia attuale sotto la Loira, di Albigesi e trovatori che non erano francesi, in Borgogna, nelle Fiandre, in Sicilia: “La Franca Contea, libera e felice sotto la lontanissima sovranità spagnola, si batté nel Seicento per non diventare francese. La popolazione di Strasburgo si mise a piangere quando vide le truppe di Luigi XIV entrare nella sua città in piena pace, con una trasgressione della parola data degna di Hitler”.
Nella conquista feroce del Sud i francesi-franchi hanno creato l’Inquisizione, per meglio perseguitare i felici popoli sottomessi.
Jünger, che è nazionalista sensibile, voleva dare “tutto Stendhal per un poesia di Hölderlin”. Poi si pentì, e riscrisse il romanzo. Ma fu l’edizione originale a fare il successo di “Cuore avventuroso”.
La Linea Maginot, la vantata postazione bellica allestita dalla Francia nei vent’anni tra le due guerre, fronteggiavano sul Reno l’artiglieria e i corazzati tedeschi con i cannicciati nel diario di Junger, “paraventi” o “contrevents” di canne.
Le Männerbunde inventate da Höfler, le leghe maschili, e i berserkir, Dumézil e i francesi invidiano
ai tedeschi, i feroci guerrieri del dio norreno Voden, “furore”.
Nerval al Reno ha il grido: “Germania, nostra madre a tutti!”

astolfo@antiit.eu

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